fbpx Tornano le illusioni della memoria dell'acqua | Scienza in rete

Tornano le illusioni della memoria dell'acqua

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Sir John Maddox (è stato direttore di Nature per 22 anni) di scienza ne capiva e sapeva divulgare le cose della scienza come nessun altro. Capita - era il 1988 - che Nature pubblichi un lavoro di scienziati francesi sulla memoria dell’acqua. I revisori ne sono affascinati, Maddox no. “La memoria dell’acqua, troppo bello per essere vero” pensa Sir John. Ma non vuole perdere l’occasione di essere al centro del dibattito che quegli esperimenti avrebbero generato. Sullo stesso numero di Nature esce un editoriale non firmato in cui si legge:

«L’articolo di questa settimana dimostra che è possibile diluire una soluzione acquosa che contiene un anticorpo indefinitamente, senza che la soluzione perda le proprietà biologiche di quell’anticorpo.
Tengano presente i lettori che questa osservazione non ha nessun riscontro nelle leggi della fisica. Certamente nessuno dovrà usare i dati di questo lavoro per “malign purposes”, a scopi maligni. Quelli che credono nell’omeopatia potrebbero essere portati a usare questi dati a supporto delle loro tesi. Non sarebbe giustificato e sarebbe probabilmente uno sbaglio».

Quasi 25 anni dopo la storia si ripete. L’occasione è il report di una conferenza tenuta da Montagnier nel dicembre 2010 e pubblicato su Journal of Physics. La stessa cosa Montagnier l’aveva pubblicata su un nuovo giornale Interdisciplinary Sciences – Computational Life Sciences (né l’uno né l’altro rispondono ai criteri dei lavori scientifici, di fatto finora queste pubblicazioni non hanno avuto l’approvazione della comunità scientifica). Emergerebbe che particelle di DNA batterico, non più integre, possano ricreare il batterio originale in colture di linfociti umani privi del batterio da cui si era partiti. L’idea è che certe sequenze di DNA siano capaci di trasmettere all’acqua onde elettromagnetiche che poi saprebbero ricostruire il batterio. Le implicazioni finali di questi studi - che assomigliano moltissimo a quelli di Benveniste - andrebbero, secondo gli autori, molto al di là delle malattie infettive perché dicono «segnali elettromagnetici sono stati trovati in Alzheimer, Parkinson, Sclerosi Multipla, neuropatie, malattia di Lyme e artrite reumatoide».

Tutto molto vago però, almeno a giudicare con i criteri della scienza. Questi scritti non parlano di omeopatia. Ma se le onde elettromagnetiche catturate dall’acqua ricreano nanostrutture che assomigliano al DNA originale perché non pensare che qualcosa del genere potrebbe spiegare gli effetti dell’omeopatia? La tentazione è forte. Ma c’è una regola nella scienza e nella medicina che non andrebbe mai disattesa. Quando sembra di avere in mano qualcosa che va contro l’opinione comune – insomma qualcosa di troppo nuovo o troppo bello per essere vero - gli esperimenti andrebbero ripetuti. Se altri laboratori confermeranno quello che ha visto Montagnier cercheremo di capire e ne riparleremo.

Per adesso gli studi di Montagnier non spiegano eventuali effetti dell’omeopatia che nessuno per altro finora ha mai dimostrato. Gli omeopati dicono che non è così e che ci sono molti studi che dimostrerebbero l’efficacia delle loro terapie. Studi ce ne sono, ma nessuno di questi ha mai fornito prove sufficienti a raccomandare l’omeopatia per alcun tipo di disturbo (è la conclusione di Lancet e di Effective Health Care che esamina l’efficacia degli interventi medici). E non solo, per l’omeopatia non c’è nulla di quello che si chiede per qualunque farmaco cioè dati di laboratorio che suggeriscano un meccanismo d’azione plausibile, dati sull’animale che indichino che funziona e studi sui volontari che dimostrino che non fa male.

“Ma quando la medicina non può fare più nulla perché non dare all’ammalato la possibilità di curarsi in un altro modo?” Qui bisogna intendersi, che cos’è una cura? Qualcosa che guarisce o quanto meno che migliora la qualità di vita e lo si dovrebbe poter dimostrare. “Non funzionerà ma almeno non fa male”. L'omeopatia no, effetti negativi non ne ha proprio, la sostanza da cui si parte è talmente diluita che la soluzione finale non contiene nulla. Ma di omeopatia chi è davvero malato può anche morire. E’ capitato tante volte, malati di leucemia e linfoma per esempio o di malattie autoimmuni o di altre malattie gravi a cui medici o cultori di omeopatia hanno suggerito di sospendere terapie che li avrebbero guariti. Sono successi disastri. E’ così che l’omeopatia può far male o anche malissimo.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Superdiffusore: il Lancet ricostruisce la storia di una parola che ha avuto molti significati

Un cerchio tutto formato di capocchie di spillo bianche con al centro un disco tutto formato da capocchie di spillo rosse

“Superdiffusore”. Un termine che in seguito all’epidemia di Covid abbiamo imparato a conoscere tutti. Ma da dove nasce e che cosa significa esattamente? La risposta è meno facile di quello che potrebbe sembrare. Una Historical review pubblicata sul Lancet nell’ottobre scorso ha ripercorso l’articolata storia del termine super diffusore (super spreader), esaminando i diversi contesti in cui si è affermato nella comunicazione su argomenti medici e riflettendo sulla sua natura e sul suo significato. Crediti immagine: DALL-E by ChatGPT 

L’autorevole vocabolario Treccani definisca il termine superdiffusore in maniera univoca: “in caso di epidemia, persona che trasmette il virus a un numero più alto di individui rispetto alle altre”. Un recente articolo del Lancet elenca almeno quattro significati del termine, ormai familiare anche tra il grande pubblico: