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Primarie, una candidatura per università e ricerca

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L'agenda Monti per l'università è un punto di riferimento. Dice esattamente cosa non bisogna fare in futuro. Dice anche quali danni dovrà recuperare il prossimo governo di centrosinistra. E soprattutto la portata della svolta che occorre imprimere alla politica della conoscenza nel nostro Paese. Per questo obiettivo ho deciso di presentarmi alle primarie dei parlamentari a Roma il 30 dicembre. Vorrei continuare la mia battaglia a favore dell'università e della ricerca, ma stavolta per contribuire ad ottenere risultati concreti col governo Bersani.

I tagli di Monti

Il 21 dicembre la fine del mondo non c'è stata ma è arrivato un colpo micidiale all'università italiana. E' stata approvata la legge di stabilità. Not in my name. Era l'ultimo voto alla Camera e certo non potevo darlo ad una legge che taglia tutte le voci di finanziamento. Innanzitutto quella principale sul Fondo di finanziamento ordinario (FFO) che mette in dissesto i bilanci di decine di atenei. Si tratta di circa 300 milioni, cioè un taglio del 5%. Poiché oltre il 90%  del fondo copre le spese fisse degli stipendi, quel taglio, che sembra di poche unità percentuali, incide pesantemente su beni e servizi con riduzioni di oltre il 50%. Se si aggiungono i tagli già imposti dalla Gelmini la legislatura si chiude con una diminuzione di circa un miliardo di euro rispetto al livello di 7,5 miliardi, che è il massimo storico raggiunto col governo Prodi. Nello stesso periodo i professori universitari sono diminuiti di diecimila unità, circa il 16% dell'organico.

A tutto ciò si aggiunge il taglio più odioso sul diritto allo studio con un dimezzamento rispetto al fondo dell'anno precedente, che pure non è bastato neppure a dare le borse agli studenti aventi diritto. E' benzina sul fuoco mentre calano le immatricolazioni; ormai i figli delle famiglie meno abbienti vengono scoraggiati a proseguire gli studi. Colpita anche la ricerca universitaria con una riduzione del 20% del fondo PRIN già molto esiguo. Infine è rimasto il taglio così detto del bosone di Higgs – perché fu introdotto il giorno dell'annuncio del prestigioso risultato scientifico - che è rimasto a carico degli Enti di ricerca. Occorre ricordare che tutte queste mannaie ai bilanci degli atenei sono state giustificate all'inizio da Tremonti con l'esigenza del rigore della spesa pubblica. Ma si è trattato di un falso. Infatti i tagli, già nella finanziaria del 2009, servirono a pagare la promessa elettorale dell'eliminazione dell'Ici e l'avventura dell'Alitalia. Poi la tassa della casa è tornata pesantemente, ma senza restituire fondi all'università e la compagnia di bandiera è di nuovo in pericolo di fallimento avendo già sprecato i generosi regali di Berlusconi.

Purtroppo il governo Monti non solo non ha cambiato strada, ma l'ha percorsa addirittura con maggiore determinazione, assestando colpi ancora più gravi. Il ministro Profumo conclude nel peggiore dei modi il suo deprimente mandato ministeriale. Patetiche le sue dichiarazioni allarmate degli ultimi giorni, come se fosse stato su Marte mentre il governo approvava il disegno di legge di stabilità.

L'establishment contro l'università solo in Italia

Il governo dei professori ha avuto certamente il merito di ricostruire la credibilità internazionale del paese, ma è stato il più cinico nei confronti del proprio mondo. C'è da domandarsi perché. Hanno portato la situazione al punto più critico, ma forse anche più chiaro. E venuto allo scoperto un orientamento consolidato dell'establishment che ritiene sufficiente un sistema universitario più piccolo dell'attuale. Dall'economia italiana, infatti, viene una domanda di formazione e di ricerca inferiore alla media europea e di conseguenza il fondo per l'università può essere anche ridotto e molte sedi possono chiudere. In altri paesi tale politica verrebbe osteggiata proprio dall'establishment. Da noi invece i poteri economici e politici insistono su questa linea bassa di sviluppo e fanno finta di non vedere che proprio essa è la causa della crisi di produttività e dello stesso deficit pubblico.

Nel sapere c'è l'avvenire italiano

Il nuovo governo di centrosinistra dovrà seguire una via diversa, molto più difficile e per certi versi in controtendenza. Se l'Italia non innalza la domanda di formazione non migliora neppure il rango tecnologico, cioè perde posizioni nella divisione internazionale del lavoro, si condanna ad un declino economico e civile. E’ insensato regolare l'offerta proprio sull'attuale debolezza italiana. Quindi, si dovrebbe scontare per un periodo non breve un'eccedenza di formazione, mentre si opera con una nuova politica economica e culturale che consenta al sistema produttivo e all'organizzazione sociale di raggiungere gradualmente la qualità di un grande paese come vorremmo ancora essere.

Solo in questa prospettiva di crescita sociale, culturale ed economica i problemi dell'università e della ricerca potranno essere portati a soluzione. Solo con una svolta politica rispetto al governo tecnico si può cominciare ad investire in conoscenza.


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