fbpx Un appello per l'abolizione del termine razza | Scienza in rete

Un appello per l'abolizione del termine razza

Tempo di lettura: 3 mins

Signor Presidente della Repubblica

Signor Presidente del Senato

Signora Presidente della Camera dei Deputati

Signor Presidente del Consiglio dei Ministri

Nel corso degli ultimi cinque decenni, la ricerca nei settori dell’antropologia biologica e della genetica ha dimostrato sperimentalmente che il concetto tassonomico di razza non può essere applicato alla nostra specie: Homo sapiens. In tassonomia infatti quel concetto, che definisce la categoria della classificazione biologica posta al di sotto della specie, esprime il rapporto di parentela, ovvero di antenato-discendente, esistente tra le popolazioni.
Nel corso del Settecento, dell’Ottocento e della prima metà del Novecento invece quel concetto, e le conseguenti classificazioni razziali dell’umanità, non ha risposto a quel dettato: cioè non è stato in grado di stabilire i rapporti di parentela tra i gruppi umani. Al contrario, esso ha permesso di ricostruire i rapporti ecologici esistenti tra le popolazioni.
E ciò perché si basava, e non era possibile per gli scienziati fare diversamente, sui caratteri morfologici: principalmente sul colore della pelle. Ma in tal modo si è posto fuori dal suo significato scientifico.
Veniamo a un esempio. Secondo l’antropologia classica, e le sue classificazioni razziali, da una parte si collocava la maggiore parentela tra gli europei e gli asiatici e dall’altra quella tra gli africani e gli australiani: la divisione cioè era tra popoli di pelle chiara e di pelle scura. La recente ricerca molecolare invece ha dimostrato che gli asiatici sono geneticamente più simili agli australiani, perché quei popoli si sono separati dalla popolazione africana, che è la popolazione madre di tutta l’umanità attuale, in epoca più antica rispetto a quando lo hanno fatto gli europei.
Ovvero, gli europei sono geneticamente più prossimi agli africani perché sono stati un’unica popolazione per un tempo più lungo.

Il concetto di razza è stato abbandonato in antropologia biologica e in genetica perché inidoneo a ricostruire il rapporto antenato-discendente tra le popolazioni umane: che è il compito precipuo della tassonomia. Le differenze morfologiche che si osservano tra i popoli, e si osservano perché esistono, sono invece di natura ambientale, vale a dire ecologica. Gruppi diversi in ambienti simili tendono a somigliarsi anche se geneticamente molto lontani tra loro.
Sostenere che le razze umane non esistono non significa affatto misconoscere le differenze biologiche esistenti tra i diversi popoli dell’umanità. Significa solo ritenere che quelle differenze non possono essere analizzate e tantomeno comprese attraverso lo strumento scientifico del livello tassonomico della razza.
Ciò non riguarda il problema del razzismo, perché quest’ultimo non ha natura scientifica, o per meglio dire non attiene alle scienze sperimentali.
I biologi assolvono il loro compito studiando la storia evolutiva umana nell’ambito della più generale evoluzione della vita e non sono usciti dalla loro sfera di competenza quando hanno dimostrato per via sperimentale che il concetto di razza non può essere applicato alla nostra specie.
Sul razzismo devono – se non vogliono tradire la loro funzione – affermare che esso non ha alcuna base scientifica e rapportarsi a quella grave degenerazione da cittadini.

Auspichiamo che il termine razza, per l’uomo, sia eliminato dalla Costituzione e dagli atti ufficiali del nostro Paese, così come è avvenuto in Francia.

Cordiali saluti.

 

Bibliografia
Barbujani G., L’invenzione delle razze, Bompiani, Milano, 2006.
Biondi G., Rickards O., Race: The extinction of a paradigm, Annals of Human Biology, 34, pp. 588-92, 2007.
Idd., L’errore della razza, Carocci editore, Roma, 2011.
Cavalli-Sforza L.L., Menozzi P., Piazza A., Storia e geografia dei geni umani, Adelphi, Milano, 1997.
Chiarelli B., Race: A fallacious concept, International Journal of Anthropology, 10, pp. 97-105, 1995.
Id., Race: What is it?, L’Anthropologie, 34, pp. 225-9, 1996.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Gestazione per altri: dignità vo cercando…

gestazione per altri

L’8 aprile scorso il Dicastero per la dottrina della fede ha emesso la dichiarazione Dignitas infinita, che tra i molti no sui temi dell’autodeterminazione contiene anche la condanna alla gestazione per altre persone, anzi il papa in persona esorta a dichiararla reato universale. Peccato che ancora una volta ci si riferisca alla sola versione “in affitto”, ignorando le esperienze che sono ormai di tante persone: gestanti, genitori e figli e figlie di un progetto solidale. Si guarda altrove per non dover affrontare la realtà dei nuovi modi per essere genitori.

Crediti immagine: Immagine di freepik

«Io non mi sono mai, in tutta la mia vita, sentita un “prodotto”, questa è la parola che più mi ha fatto soffrire, che più mi ha fatto arrabbiare». Lia Giartosio Goretti, nata 18 anni fa grazie a un percorso di gravidanza per altri e felicemente parte di una famiglia con due padri e un fratello (a sua volta figlio di GPA) ha portato questa convinta testimonianza alla giornata di lavori “Famiglie e diritti universali.