fbpx No embrionali in UE | Scienza in rete

No embrionali in UE

Primary tabs

Read time: 4 mins

La sentenza della Corte Europea riguarda un caso piuttosto intricato che cercherò di riassumere in breve. Nel 1997, lo scienziato Oliver Brüstle, attuale direttore dell’Istituto di Neurolobiologia Ricostruttiva dell’Università di Bonn, richiese all’ufficio brevetti tedesco il riconoscimento della proprietà intellettuale su una linea di precursori neurali derivata da embrioni umani (Anon. 2010). Negli anni successivi il Prof. Brüstle dimostrò in più di una pubblicazione la capacità di queste cellule di attecchire con successo nel cervello di vari organismi modello (ratti e topi principalmente), dando luogo cioè a neuroni, astrociti e oligodendrociti, perfettamente funzionali (Brustle et al. 1998). Da un punto di vista biologico, questi esperimenti confermarono l’idea che, nel sistema nervoso centrale adulto, siano ancora presenti quei segnali molecolari tipici dell’embriogenesi, attraverso i quali la complessa architettura del cervello si forma, piazzando, per così dire, cellule specializzate a partire da precursori multipotenti al posto giusto per un corretto funzionamento del cervello stesso. Le prospettive mediche di tale scoperta consistono nella possibilità di sviluppare un protocollo terapeutico che preveda l’introduzione di tali precursori nel cervello di persone affette da malattie neurodegenerative, così da fornire un ricambio cellulare al tessuto cerebrale e rallentare o invertire i danni funzionali provocati dalla malattia (Brüstle e McKay 1996).

La legittimità del brevetto detenuto da Brüstle, fu contestata in una causa legale intentata nel 2004 da Greenpeace contro il ricercatore tedesco. La sentenza di ieri rappresenta l’atto finale di questa disputa ed accoglie la richiesta di Greenpeace di annullare il brevetto.

Da un punto di vista legale, la sentenza non sorprende affatto in quanto si colloca all’interno di una ormai consolidata giurisprudenza europea sul tema della non-brevettabilità di biotecnologie di origine embrionale/fetale. In Europa infatti, stando alla Direttiva 98/44/EC del 1998 sulla protezione legale delle invenzioni biotecnologiche, non è possibile brevettare invenzioni per la cui realizzazione sia necessario distruggere embrioni umani – nonostante l’utilizzo di embrioni umani non sia illegale in molti paesi europei, come la Spagna e il Regno Unito.

Ciò detto, il dibattito su questo tema rimane aperto, acceso e quantomai interessante.

Da più parti, anche in ambienti accademici, si sostiene che decisioni di questo tipo siano salutari per la scienza, in quanto comporterebbero maggiore libertà di ricerca e minori oneri sia economici che legali nello sviluppo dell’innovazione biomedica. A tal proposito però, vorrei far osservare che i brevetti costituiscono un valido incentivo all’investimento da parte di privati nel lungo e costosissimo processo di sviluppo clinico di farmaci e terapie innovative, incluse quelle di natura cellulare. Sebbene sia convinto io stesso della possibilità e dell’opportunità di modelli di innovazione alternativi a quelli basati sulla difesa ad oltranza della proprietà intellettuale, mi permetto di segnalare che il dibattito su questo tema rischia a volte di assumere tinte ideologiche. Da una parte, scienziati e industria biotecnologica sono alleati nel promuovere una visione liberale della scienza moderna, orientata da meccanismi di libera concorrenza, e sugellata del ricorso alla proprietà intellettuale, quale motore dell’innovazione e giusta ricompensa per gli innovatori e chi scommette su di loro. Dall’altra, gli avversari del modello liberale, vedono con sospetto ogni relazione che la scienza intrattiene con l’industria, e concepiscono quest’ultima come portatrice di interessi commerciali che, per definizione, sarebbero antitetici a quelli della cittadinanza e dei pazienti. Tra questi due estremi, deve però ancora svilupparsi un dibattito maturo sulle prospettive scientifiche, mediche ed economiche della biotecnologia in Europa. È auspicabile inoltre che tale dibattito, anziché essere delegato alle aule di tribunale, coinvolga intellettuali, cittadini comuni, associazioni di pazienti e tutti i portatori di legittimi interessi e di idee innovative circa lo sviluppo di nuove tecnologie mediche.

In particolare sembra opportuno che la comunità scientifica inizi ad interrogarsi su come viene percepito al suo esterno il rapporto, pur necessario, tra ricercatori e industria privata. Il caso Brüstle suggerisce che, se il tema della brevettabilità delle invenzioni biomediche assume connotazioni così controverse, è forse necessario iniziare a ripensare l’attuale modello di innovazione per il bene della scienza e dei pazienti che, da questa, attendono innovazioni e nuove cure.

Anon. 2010. «Lagging laws». Nat Neurosci 13 (1) (Gennaio): 1. doi:10.1038/nn0110-01.
Brustle, Oliver, Khalid Choudhary, Khalad Karram, Anita Huttner, Kerren Murray, Monique Dubois-Dalcq, e Ronald D.G. McKay. 1998. «Chimeric brains generated by intraventricular transplantation of fetal human brain cells into embryonic rats». Nat Biotech 16 (11) (Novembre): 1040-1044. doi:10.1038/3481.
Brüstle, Oliver, e Ronald DG McKay. 1996. «Neuronal progenitors as tools for cell replacement in the nervous system». Current Opinion in Neurobiology 6 (5) (Ottobre): 688-695. doi:10.1016/S0959-4388(96)80104-8.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Il soffocamento delle università e l’impoverimento del Paese continuano

laboratorio tagliato in due

Le riduzioni nel Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) limitano gli investimenti essenziali per università e ricerca di base: è una situazione che rischia di spingere i giovani ricercatori a cercare opportunità all'estero, penalizzando ulteriormente il sistema accademico e la competitività scientifica del paese.

In queste settimane, sul tema del finanziamento delle università e della ricerca, assistiamo a un rimpallo di numeri nei comunicati della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e del MUR (Ministero della Università e della Ricerca). Vorremmo provare a fare chiarezza sui numeri e aggiungere alcune considerazioni sugli effetti che la riduzione potrà avere sui nostri atenei ma anche sul paese in generale.