fbpx Fusione fredda: chi compra a scatola chiusa? | Scienza in rete

Fusione fredda: chi compra a scatola chiusa?

Primary tabs

Read time: 6 mins

La fusione fredda torna a far parlare di sé. Il protagonista degli ultimi risvolti della vicenda di Andrea Rossi e Sergio Focardi (scomparso di recente) si chiama R5: é il prototipo di un reattore analogo all'E-Cat di Rossi, non altrettanto popolare ma con il quale condivide un percorso comune. Per capire di cosa stiamo parlando è utile però fare qualche passo indietro.

Da Fleishmann a Rossi


Fusione fredda (cold fusion) è il nome che Martin Fleishmann e Stanley Pons scelsero nel 1989 per battezzare il fenomeno osservato in una cella elettrolitica con cui annunciarono a una conferenza all'Università di Salt Lake City di aver ottenuto una reazione nucleare a basse temperature tra atomi di idrogeno e di nichel. Scelta che si rivelò, a detta dello stesso Fleishmann, incauta. Finora, infatti, non c'è stata nessuna verifica sperimentale definitiva che confermi e spieghi un fenomeno che ha poco a che fare, in realtà, con la fusione nucleare calda, se non per il principio di ottenere energia attraverso la trasformazione di due nuclei atomici. Occorrono milioni di gradi kelvin nel caso delle reazioni di fusione nucleare, mentre per la cosiddetta fusione fredda servirebbe molta meno energia e temperatura quasi ambiente, grazie a un catalizzatore (generalmente palladio). Sarebbe più corretto, a detta di molti, parlare di reazioni LENR (Low Energy Nuclear Reactions).
Ciononostante, anche forse per l'impatto comunicativo della formula 'fusione fredda', la scoperta ha continuato col tempo a caricarsi delle speranze di una rivoluzione energetica risolutoria dei fabbisogni mondiali. Diversi sono stati i tentativi di replica delle prove di Fleishmann e Pons, i centri di ricerca nati con l'obiettivo di studiarla, come il Glenn Research Center della Nasa, e le polemiche sollevate attorno al caso -  fin da subito, con le critiche sull'affidabilità della pubblicazione del 1989.

In Italia, la fusione fredda è legata ai nomi di Francesco Scaramuzzi dell'ENEA di Frascati e a Giuliano Preparata dell'Università di Milano.
Da qualche anno è però l'Energy CATalyzer di Rossi e Focardi (che aveva iniziato gli studi con Francesco Piantelli) il riferimento più immediato quando si parla di fusione fredda. L'ingegnere bolognese ha annunciato in diverse occasioni di essere riuscito a produrre energia termica in eccesso con il suo reattore, con il rilascio di particelle di rame e nichel e senza ulteriori scorie residue. Tutto questo in autonomia, in modalità homemade, nei capannoni dell'industria di famiglia, l'EFA srl. Mentre è cresciuta la schiera di sostenitori e curiosi che vogliono saperne di più, anche la ricerca 'ufficiale' ha iniziato a rivendicare chiarezza. E' stata l'Università di Bologna a chiedere insistentemente di aprire la scatola dell'E-Cat, coperta però da segreto industriale, anche in vista di un accordo fatto con un'azienda greca, la Defkalion, che avrebbe sancito poi la rottura (è il 2011) del patto con l'EFA di Rossi.

Scatola chiusa, ma in diretta web


Mentre Andrea Rossi annunciava un nuovo partner industriale e una nuova data di produzione in massa di E-Cat, lo scorso 22 luglio si è celebrato l'ennesimo esperimento alla presenza di testimoni. Sotto i riflettori, anzi le telecamere, è finito l'R5, prodotto proprio dalla Defkalion: dai laboratori della Defkalion Europe di Milano e in streaming web ospitato da Triwù,  sono stati effettuati due test sul reattore: il primo per giornalisti, il secondo, il 23 luglio, alla presenza di tecnici, tra cui Luca Gamberale e il giornalista scientifico del NY Teknik Matts Lewan. Durante la trasmissione, l'R5 è stato fatto funzionare per più di un'ora, per mostrare le caratteristiche del reattore e le differenze rispetto all'E-Cat, soprattutto, a detta dei tecnici, per ciò che riguarda i parametri di sicurezza del dispositivo. 
Dalle telecamere del web non è arrivata però nessuna novità rilevante e molti sono i dubbi ancora irrisolti, tra cui le tecniche di misura utilizzate e le caratteristiche della reazione osservata. I pochi dettagli tecnici disponibili a conclusione dei test si possono consultare proprio nella pagina personale di Lewan, il quale si è mostrato moderatamente entusiasta, e nel protocollo Defkalion disponibile: energia termica di 5,5 Kw di picco di potenza emessa a fronte di 1,3 Kw di alimentazione del dispositivo. La fonte di alimentazione del dispositivo, va detto, non è stata ancora dichiarata ufficialmente.
Per la stessa ragione, lo stesso Rossi ha ricevuto una nuova ondata di critiche all'inizio di giugno, in base ai dati di una dimostrazione 'indipendente' pubblicata su arXiv (piattaforma di pubblicazione open access e libera dalle responsabilità del peer review, ma che continua ad essere citata come prova dell'attendibilità degli esperimenti).

Stavolta, qualche dubbio è stato fatto pervenire subito, in diretta, anche dagli spettatori dalla conferenza Iccf-18, in Missouri - dedicata interamente alle novità sulla cold fusion - collegati in diretta streaming. Alcuni di questi hanno fatto sapere di non apprezzare molto l'assenza di tecnici super partes per il controllo delle operazioni, e il fatto che le osservazioni fossero ancora una volta a scatola chiusa. Gli organizzatori si sono subito affrettati a precisare che gli esperimenti e la diretta avevano uno scopo puramente dimostrativo/espositivo, senza la pretesa di essere un test rivelatore di qualcosa di specifico. Far vedere la macchina in funzione e non come e se funziona, insomma.
Se nessuna conferma è arrivata dell'efficacia delle reazioni Lenr del concorrente, ex alleato di Rossi, l'evento ha offerto però una nuova occasione per riportare alla luce un dibattito finora relegato a un ambiente di addetti ai lavori e curiosi. Da molti mesi i due reattori attirano l'attenzione della ricerca scientifica e, soprattutto, della ricerca industriale che ne protegge gelosamente il segreto in attesa di accordi commerciali soddisfacenti. 
Il dibattito e le polemiche sui due tipi di congetture ("è una rivoluzione", "e' una bufala") hanno raggiunto una fetta più ampia di pubblico a caccia di notizie e di osservatori esperti forse anche grazie all'evento organizzato da Triwù, con l'evidente vantaggio della diretta:
"L'intento non era quello di far vedere che funziona e come, ma far vedere presso un largo pubblico una cosa di cui si sente parlare da molto tempo" ha dichiarato Gamberale a Moebius-Radio 24 durante la trasmissione del 4 giugno "Grazie al pubblico che è intervenuto in diretta abbiamo constatato delle criticità, che ci hanno spinto a rivalutare le procedure di misura".

Un nuovo episodio mediatico sulla fusione fredda potrebbe a questo punto essere utile a chiarire alcuni aspetti del dibattito. Viste altre recenti querelle che toccano il dialogo tra scienza e società, con la fusione freddda si potrebbe investigare fino a che punto, per esempio, il pubblico si fida davvero delle 'scatole chiuse' e quale differenza c'è, se c'è, tra queste. In questo scenario si potrebbe azzardare facilmente, infatti, il collegamento a un altro tipo di pubblico, forse più rumoroso, come quello del Caso Stamina. In entrambi i casi si tratta di fiducia conquistata con suggestione mediatica, non supportata fino in fondo da conferme scientifiche, e con promesse che hanno a che fare con fattori chiave della qualità di vita (salute e energia pulita, sebbene sia meno immediata la percezione di quest'ultima come "vitale").

Forse non c'è da aspettare molto, perché c'è chi intanto ha già sfidato Defkalion a replicare l'esperimento (leggi qui).


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Biodiversità urbana: com'è cambiata e come proteggerla

Anche le metropoli possono essere ambienti ricchi di specie: secondo un recente studio sono ben 51 le specie di mammiferi che vivono a Roma, alcune di esse sono specie rare e protette. Nel corso degli ultimi due secoli, però, molte specie sono scomparse, in particolare quelle legate alle zone umide, stagni, laghetti e paludi, habitat importantissimi per la biodiversità e altamente minacciati.

Nella foto: Parco degli Acquedotti, Roma. Crediti: Maurizio.sap5/Wikimedia Commons. Licenza: CC 4.0 DEED

Circa la metà della popolazione mondiale, vale a dire ben 4 miliardi di persone, oggi vive nelle città, un fenomeno che è andato via via intensificandosi nell’epoca moderna: nell’Unione Europea, per esempio, dal 1961 al 2018 c’è stato un costante abbandono delle zone rurali e una crescita dei cittadini, che oggi sono circa i