fbpx Alluvioni in Liguria, il cambiamento climatico non c'entra | Scienza in rete

Alluvioni in Liguria, il cambiamento climatico non c'entra

Primary tabs

Read time: 3 mins

Gli eventi che hanno colpito la Liguria negli ultimi giorni non sono un’eccezione: l’Italia è un Paese che da sempre deve fronteggiare la ‘fragilità’ del suo territorio e il drammatico bilancio di danni e vittime conseguente. E’ quanto emerge da un bilancio stilato dall' IRPI-CNR - Istituto di Ricerca e Protezione Idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

1960-2010 è il periodo coperto per la cronologia dei danni provocati dalle frane e alluvioni nella nostra penisola: 4.122 morti, 84 dispersi, 2.836 feriti in totale. In particolare le frane hanno provocato 3.407 morti, 15 dispersi e 1.927 feriti - includendo anche i disastri del Vajont (9 ottobre 1963) e quello della Val di Stava (9 luglio 1985) - mentre le vittime delle inondazioni sono state 715, i dispersi 69 ed i feriti 909.

Il direttore del IRPI-CNR Fausto Guzzetti, conferma la forte predisposizione del nostro territorio in questo senso, in seguito ai dati raccolti: 

“I dati fanno parte di un ‘catalogo’, un lavoro che l’Ispra pubblica ormai da molti anni, uno dei quadri più accurati a livello internazionale su quelli che sono i danni diretti alle persone per cause naturali, in particolare frane e alluvioni. Uno degli elementi di interesse che siamo riusciti a rilevare è che in Italia, nell’ultimo secolo, ci sono stati pochissimi anni senza nessuno di questi eventi: quasi sempre, stagionalmente, si sono verificate frane, alluvioni o entrambe con conseguenti vittime. Un’analisi più tecnico-scientifica ci porta a dire che non è possibile stabilire con certezza un trend legato ai cambiamenti climatici. L’andamento di questi eventi è una specie di sinusoide e non c’è, ad esempio, una correlazione diretta col numero di vittime (a fronte, invece, di un triplicarsi della popolazione negli ultimi decenni)".

Ci sono elementi che hanno in qualche modo limitato i danni possibili, per una regione comunque ad alto livello di rischio. 

“Per quanto riguarda i danni registrati negli ultimi giorni, va ricordato che la Liguria è una regione non nuova a questi tipi di fenomeno: lo scorso anno si sono registrati dati analoghi a Ceriana o a Sestri Ponente, ad esempio. Questo succede, in particolare, per la conformazione geografica ligure unita all’alta densità di popolazione e alla distribuzione di strutture e infrastrutture lungo i fiumi e a fondovalle. Tuttavia è anche vero che la regione ha reagito paradossalmente bene, con un numero di frane per km2 relativamente non molto alto. E’ presto per trarre delle conclusioni, ma uno dei motivi può essere la presenza di terrazzamenti per coltivazione. Dove invece questi sono crollati, hanno provocato grossi danni, espellendo detriti, terra e materiale fine, contribuendo al fenomeno alluvionale.”

L’Ispri è inoltre impegnata con la Protezione Civile per obiettivi di ricerca applicata, con l’obiettivo di ottimizzare le previsioni di frane e alluvioni. 

“Da circa due anni l’istituto collabora con la Protezione Civile per un sistema di ‘annuncio frane’: due volte al giorno vengono effettuate delle previsioni meteorologiche quantitative sulle 129 aree di allertamento della Protezione Civile. Insieme ad altri (Cnr e non solo) il nostro Istituto è uno dei centri riconosciuti come ‘di competenza’ dalla Protezione Civile, sulla base di una collaborazione per ricerche di tipo applicativo. Uno dei progetti su cui stiamo lavorando riguarda la valutazione del livello di rischio per le varie regioni italiane: quanto è più probabile il livello di perdita di vite umane in seguito a questi eventi in Umbria piuttosto che in Lazio o in Piemonte? Si tratta, in sostanza, di una classifica regionale anche per individuare degli hot spot a maggiore tasso di rischio. Una ricerca innovativa, da questo punto di vista".

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Gli ippopotami di Escobar: il dilemma tra etica ambientale ed etica animale delle specie invasive

Immagine di un ippopotamo a bocca spalancata in acqua

Pablo Escobar, noto boss del narcotraffico, ha lasciato in eredità non solo un impero criminale, ma anche un grosso problema ambientale. Dopo la sua morte, gli ippopotami che aveva importato per il suo zoo privato sono stati abbandonati e la loro popolazione è cresciuta esponenzialmente, causando gravi danni all'ecosistema colombiano. Nonostante i tentativi di sterilizzazione, la soluzione più praticabile sembra essere l'eutanasia, una misura che solleva significativi dilemmi etici tra il dovere di preservare l'ambiente e quello di proteggere gli animali.

Crediti immagine: modificato da Alvaro Morales Ríos/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0 DEED

La figura di Pablo Escobar è ben nota ed è stata resa ulteriormente celebre da film e serie televisive. Meno nota è una parte dell’eredità che il grande boss del traffico mondiale di cocaina ha lasciato e che, a distanza di quasi vent’anni dalla sua morte, pone un problema etico tra la tutela dell’ambiente e quella degli animali.