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Tre punti del dibattito Boiron – Garattini

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Come fa ad agire qualcosa che non esiste?

Vediamo: è cominciato tutto in Germania, alla fine del '700, là, allora, girava una storiella “muoiono più persone di cure che di malattia” ed era vero. Così Samuel Hahnemann si era fatto l'idea che una sostanza che produce certi sintomi può essere usata per malattie che danno gli stessi sintomi (similia similibus curentur) in piccolissime quantità. E allora il principio attivo veniva diluito un numero enorme di volte. E’ come mettere una goccia di rimedio omeopatico in un contenitore di acqua grande 50 volte più della terra: la possibilità di trovare una molecola del principio originale è pressoché nulla. E lo sanno anche i sostenitori dell'omeopatia. Ma c'è lo scuotimento che trasferisce le proprietà della sostanza al solvente. Persino “Nature” uno dei grandi giornali di scienza, nell'88, ha pubblicato un lavoro sulla memoria dell'acqua. Era di ricercatori francesi ma s'è visto molto presto che era un imbroglio. I revisori di Nature ne furono  affascinati, l’editor John Maddox no. “La memoria dell’acqua, troppo bello per essere vero” pensa Sir John. Ma non vuole perdere l’occasione di essere al centro del dibattito che quegli esperimenti avrebbero generato. Sullo stesso numero di Nature esce un editoriale non firmato “L’articolo di questa settimana dimostra che è possibile diluire una soluzione acquosa che contiene un anticorpo indefinitamente, senza che la soluzione perda le proprietà biologiche di quell’anticorpo. Tengano presente i lettori che questa osservazione non ha nessun riscontro nelle leggi della fisica. Certamente nessuno dovrà usare i dati di questo lavoro per “malign purposes”, a scopi maligni. Quelli che credono nell’omeopatia potrebbero essere portati a usare questi dati a supporto delle loro tesi. Non sarebbe giustificato e sarebbe probabilmente uno sbaglio”.

Dedicare tempo agli ammalati ed effetto placebo

L'omeopatia non “cura”, ma quelli che praticano l'omeopatia dedicano tempo agli ammalati, li sanno ascoltare, più di quanto non facciano tanti medici. Questo sì che è “medicina”. Ma all’Università non si insegna a parlare con gli ammalati, a coinvolgerli, ad allearsi con loro per combattere il loro male. Certi medici lo fanno, naturalmente. Se lo facessero tutti, e se avessimo in Italia una classe medica credibile e determinata, spazio per  dottori “alternativi” non ce ne sarebbe più.

Anche l'idea di prendere qualcosa che ti potrebbe guarire (effetto placebo) certe volte ti fa star meglio. C’è una ragione  scientifica per l’effetto placebo? Certo ha solide basi di fisiologia ed è supportata da tanti studi clinici. Però somministrare a un malato  qualcosa che non contiene nulla con la scusa che forse  beneficerà dell’effetto placebo, rompe il rapporto  di fiducia che dovrebbe stabilirsi  fra l’ammalato e il suo medico. Non si può fare.  Chi lo fa viola una delle regole  su cui si fonda la medicina: un rapporto aperto, consapevole e di fiducia  fra l’ammalato e il suo medico.

Effetto transitorio e di rinforzo

Chi cura gli ammalati con prodotti omeopatici dice che ci sono molti studi che ne dimostrerebbero l’efficacia. Per lo meno per certi mali da poco,  forse per brevi periodi, e mai  se uno è davvero malato o comunque insieme alle cure vere. Hanno ragione? Studi ce ne sono, è vero ma nessuno di questi ha mai fornito prove sufficienti a raccomandare l’omeopatia per alcun tipo di disturbo (è la conclusione della rivista Effective Health Care che esamina l’efficacia degli interventi medici). “Ma se milioni di italiani ricorrono alle medicine alternative  un motivo ci sarà”.  Qui bisogna intendersi. Milioni di persone che curano il diabete o lo scompenso  di cuore con la pranoterapia  o l’ayurvedica o milioni di persone che quando hanno  il mal di schiena o l’influenza usano l’omeopatia? “Ma se la medicina non può fare nulla, perché non dare all’ammalato la possibilità di curarsi in un altro modo come garantisce la Costituzione?”. Anche qui  bisogna intendersi. La Costituzione garantisce il diritto alla salute, non alla cura.  E poi, che cos’è una “cura”? Qualcosa  che guarisce o quanto meno che migliora la qualità di vita, ed è logico che lo si dovrebbe poter dimostrare. Però, per le medicine alternative  non ci sono dati di laboratorio che suggeriscano un meccanismo d’azione plausibile, né dati sull’animale che indichino che funziona e nemmeno studi  sui volontari che dimostrino che non fa male. Se fossero farmaci, senza queste evidenze,  non si potrebbe nemmeno cominciare a studiarli negli ammalati. Perché queste regole  non devono valere anche per le medicine alternative? “Ma almeno non fanno male”, si dice. Per l’omeopatia è vero, la sostanza da cui si parte  è diluita  così tanto che il prodotto finale non contiene nulla. Ma di omeopatia chi è davvero malato può anche  morire se incontra qualcuno che lo convince ad abbandonare le sue cure.  E’ successo tante volte, in tante parti del mondo, non dovrebbe succedere mai più.


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