La Bellezza e L'Epistemologia

Pubblicato il 21/07/2009Read time: 4 mins

Vorrei proporre una definizione della bellezza basata sulla nostra immersione in un contesto sistemico e in un vasto processo coevolutivo: la bellezza si manifesta ed è da noi riconosciuta grazie all'interazione e al reciproco adattamento dinamico tra noi e il contesto ambientale. Questo sistema si evolve nel tempo e così pure l'adattamento, quindi la bellezza ha carattere storico e dipende dalle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dell'ambiente, dalle caratteristiche psicobiologiche degli umani, ma anche dagli specifici contesti culturali e geografici. Il riconoscimento della bellezza è soggettivo, ma la comune natura degli umani e le loro esperienze condivise la rendono intersoggettiva.

La dinamica interattiva oggetto-soggetto

La bellezza sembra possedere un carattere soggettivo (non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace): il soggetto partecipa alla costruzione della bellezza. Per esempio nell'Infinito di Leopardi il contributo del soggetto deriva non solo dalla contemplazione, ma anche dalla "finzione", cioè dalla costruzione (di spazi, silenzi, quiete), che il soggetto opera "nel pensier", vale a dire nell'immaginazione:

Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura...

Ciò che è precluso alla vista viene creato davanti all'occhio della mente. Si sottolinea dunque l'importanza dell'implicito, del non visto, del non esibito: non è suggestiva solo la manifestazione totale dell'oggetto, ma anche l'accenno, la visione parziale o velata, il dire e non dire, che concede ampio spazio alla fantasia (ri)creatrice.

La bellezza e il corpo

E' facile riconoscere il legame tra la bellezza dei corpi e l'attrazione fisica, che spesso sfocia nella congiunzione carnale, nella procreazione e nella propagazione della specie. Un legame dunque tra bellezza, sessualità, fregola, innamoramento, riproduzione ed evoluzione. Insomma, l'utile unito al dilettevole. La bellezza (dei corpi) pare un fattore evolutivo fondamentale, dotato di un grande valore di sopravvivenza. Del resto anche Charles Darwin (1809-1882) parlava di "selezione sessuale" legata alla bellezza. Per esempio la coda del pavone è ingombrante e svantaggiosa nella lotta per la vita. D'altra parte la sua raffinata bellezza ha l'importante funzione di allettare la femmina, e offre quindi un vantaggio riproduttivo evidente.

Nel mondo vivente la bellezza è profusa senza risparmio ed è un segno della nostra consanguineità immersiva con il mondo biologico. Questo mondo fa sfoggio della sua lussureggiante ricchezza, così diversa dal rigore anoressico dei logici, che rifuggono dalla moltiplicazione degli enti. Fu Guglielmo d'Occam (1285-1349) a inventare il famoso "rasoio" con cui estirpare tutto ciò che la logica ritiene superfluo, sovrabbondante, eccedente. Ma l'abbondanza, presente in biologia con sfarzosa varietà, si riscontra in tutte le opere dell'uomo: arte, moda, gastronomia, architettura, letteratura. Tranne che nella scienza, almeno tendenzialmente.

Estetica ed epistemologia

Il rapporto interattivo tra soggetto e oggetto in estetica, per cui non si ha bellezza senza che vi sia un soggetto che quella bellezza crea e ammira, presenta una forte analogia con il rapporto soggetto-oggetto nell'ambito della conoscenza, ambito in cui si va facendo strada una visione costruttivista o interazionista che supera sia il realismo (la realtà esiste indipendentemente dal soggetto, il quale la conoscerebbe adeguandovisi progressivamente) sia l'idealismo (tutto ciò che è reale è contenuto a priori nella nostra mente).

In buona misura, il mondo che chiamiamo "dato" è una nostra costruzione, o meglio una con-costruzione, una mutua e risonante eccitazione estetica (di carattere multimediale!), nel senso etimologico del termine (aisthánomai = sentire) che s'invera nel momento dell'interazione tra noi e la realtà. Secondo Francisco Varela (1946-2001), l'interazione costruttiva e coimplicata tra soggetto e oggetto di cui sto parlando è sempre all'opera. I processi sensomotori, la percezione e l'azione sono inseparabili dalla cognizione in quella che Varela chiama visione "enattiva":

La realtà non viene dedotta come un dato: dipende dal percettore, non perché il percettore la "costruisce" secondo la propria fantasia, ma perché ciò che viene considerato come mondo pertinente è inseparabile dalla struttura del percettore. Quindi la percezione non è semplicemente inquadrata nel mondo circostante e da esso vincolata, ma contribuisce anche all'enazione di questo mondo circostante. Organismo e ambiente sono legati insieme in una reciproca descrizione e selezione.

Questo passo si potrebbe riformulare sostituendo "bellezza" a "realtà" che esso non perderebbe di efficacia esplicativa.

Ho detto che un oggetto non è bello in sé, ma solo con riferimento a un soggetto (e questa soggettività si amplia in un'intersoggettività). In questo senso la bellezza si colloca in quel vasto territorio esplorato da Gregory Bateson (1904-1980) di cui fanno parte l'informazione, l'ordine, la complessità e in genere i fenomeni della comunicazione, in cui sono essenziali la presenza e l'attività del soggetto: la bellezza ha dunque carattere relazionale.

La Bellezza, l'Etica e l'Arbitrarietà dei codici

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Il legame tra estetica ed etica

Propongo ora una definizione di tipo naturalistico-evolutivo e sistemico dell'estetica (intesa come plesso di capacità-attività sensibili, in particolare di fronte agli oggetti belli):

  • L'estetica è la percezione soggettiva (ma condivisa) del nostro legame immersivo con l'ambiente, legame caratterizzato da una profonda ed equilibrata armonia dinamica. Questo legame si esplica nel riconoscimento, in primo luogo sensibile ed emotivo, degli oggetti belli.

Vorrei fare un importante passo ulteriore, asserendo che, nella mia visione naturalistica, l'estetica è legata a doppio filo con l'etica. Per l'etica propongo questa definizione:

  • L'etica è la capacità, soggettiva e intersoggettiva, di concepire e compiere azioni capaci di mantenere sano ed equilibrato il legame immersivo con l'ambiente. Queste azioni mantengono e incrementano la bellezza.

Etica ed estetica sono due facce della stessa medaglia perché derivano dalla forte coimplicazione sistemica ed  evolutiva tra specie e ambiente e sono entrambe "rispecchiamenti" in noi di questa coevoluzione. Se l'estetica è il sentimento (inter)soggettivo dell'immersione armonica (cioè vitale) nell'ambiente e l'etica è il sentimento (inter)soggettivo di rispetto per l'ambiente e di azione armonica con esso, allora l'etica ci consente di mantenere l'estetica e l'estetica ci serve da guida nell'operare etico. Etica ed estetica affondano le loro radici nella nostra storia evolutiva, anzi nella coevoluzione tra noi e l'ambiente.

Questo innesto evolutivo primordiale riguarda gli oggetti belli, mentre i concetti belli, per esempio quelli che alcuni ritrovano nella matematica, sono molto più recenti sotto il profilo della filogenesi, quindi il riconoscimento della loro eventuale bellezza è più difficile, passa per la razionalità, è meno spontaneo e richiede un addestramento individuale specifico: nel caso degli oggetti naturali, questo addestramento l'hanno compiuto per noi le generazioni passate.

Si noti che c'è nelle definizioni proposte uno slittamento dal soggettivo all'intersoggettivo. Ciò è giustificato dalla comune natura e storia degli umani, a partire dai determinanti fisici e chimici fondamentali, attraverso le radici genetiche e biologiche condivise, fino alle esperienze esistenziali. La carica dell'elettrone, la forza di gravità, la massa del protone e via dicendo: tutte queste caratteristiche hanno condizionato la nascita e lo sviluppo della vita sulla terra e si sono impresse in noi, tanto da giustificare il detto, risalente a Vitruvio (80-23 a. C.) e caro agli alchimisti, secondo cui il macrocosmo (il mondo) e il microcosmo (l'uomo) si corrispondono.

Inoltre pare che la vita sulla terra abbia avuto un'origine unica, tanto che il DNA di tutti i viventi è lo stesso. Su queste premesse e sul fatto che le esperienze individuali sono molto simili tra loro, si può sostenere con una certa ragione che gli uomini sono più o meno uguali e che perciò sono in grado di sentire e di pensare più o meno allo stesso modo. Fatta salva, naturalmente, l'insostituibile e insopprimibile individualità (e valore) di ciascuno.

Se così non fosse, il tentativo sempre rinnovato di comunicare, di dialogare, di narrare non avrebbe alcun esito. Invece qualche esito ha. Non possiamo entrare nel segreto ripositorio delle menti altrui, ma per analogia con la nostra mente possiamo congetturare con un certo successo ciò che gli altri pensano. Questa intersoggettività conspecifica si può estendere anche all'estetica e all'etica: le cose belle e le azioni buone sono riconosciute tali da (quasi) tutti.

Amiamo i tramonti, le montagne innevate, le sgargianti livree dei pesci tropicali, il corpo flessuoso delle nostre compagne perché nel corso dei millenni i nostri progenitori hanno contemplato migliaia e migliaia di queste immagini, imprimendole in sé come sigilli inestirpabili carichi di senso e di valore. In questo senso la bellezza di un oggetto non viene percepita, piuttosto viene (platonicamente) riconosciuta. Forse non sappiamo dare la definizione di bello, ma sappiamo riconoscere il bello quando lo vediamo.

L'arbitrarietà dei codici

Molti sarebbero d'accordo nel riconoscere che oggi l'estetica si trova in una situazione di crisi. Alcuni si chiedono addirittura se l'homo technologicus, cioè l'ibrido uomo-tecnologia in cui si sta trasformando l'homo sapiens sapiens abbia ancora bisogno di bellezza e in particolare di arte. Non so rispondere, ma il problema si pone. Posso tuttavia indicare una possibile causa di questa crisi: l'arbitrarietà dei codici. Come ci ha fatto capire bene la teoria dell'informazione, in genere i segni e i codici dell'uomo sono arbitrari, nel senso che l'associazione tra un oggetto (significato) e un segno (significante) che lo rappresenta è del tutto libera. Per esempio l'oggetto "albero" non ha nulla a che fare con la parola "albero" o con la parola "arbre" o "fa" o "tree" o "Baum" ecc. Scoperta questa arbitrarietà, ci si è chiesti se i codici rappresentativi usati nell'arte e considerati "naturali" non fossero per caso anch'essi arbitrari, e si è visto che la loro asserita naturalità era dovuta semplicemente alla tradizione, all'uso, all'antichità. La dimensione temporale e la sedimentazione storica sono state ignorate e si è decretato che tutti i codici sono arbitrari: a questo punto, un codice vale l'altro e si possono introdurre i codici rappresentativi più capricciosi.

In musica, in architettura nelle arti figurative e in parte anche nella narrativa l'estetica tradizionale (da non chiamare più naturale) è stata scardinata: di qui le invenzioni cubiste, futuriste, astrattiste, combinatorie, tonali, dodecafoniche...

Poi, è ovvio, quest'orgia di arbitrarietà è stata temperata da una più matura riflessione: i codici inventati "tanto per provare" si sono dimostrati meno efficaci, meno gradevoli, meno validi sotto il profilo emotivo e suggestivo. Così i vecchi codici naturali sono stati in parte rivalutati, si è visto che sono più consoni alla nostra fisiologia e alla nostra psicologia, che si sono evolute in interazione con la formazione di quei codici: insomma i codici tradizionali sarebbero i più adatti al loro ambiente (che è costituito dagli umani) e sarebbero dunque il frutto di una "selezione" di tipo darwiniano. Ma non ci può essere un ritorno al passato, quindi la situazione attuale è all'insegna della confusione tra vecchio ripudiato e nuovo non ancora consacrato.