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Il piano radon. Ovvero, le nozze coi fichi secchi

In un'epoca di tagli alla ricerca, eseguiti con la precisione e l'accuratezza di una mietitrebbia imbizzarrita, non ci si può aspettare che la prevenzione venga incentivata. Neppure quando si tratta di inquinanti che fanno migliaia di morti all'anno, e di misure il cui rapporto costi efficacia è assolutamente favorevole, come nel caso del radon.

Il radon è un gas radioattivo che si sprigiona dal terreno e ristagna negli ambienti chiusi. In Italia è presente in concentrazioni maggiori rispetto alla media europea e provoca 3.000 morti all'anno per tumore al polmone. Per arginarlo, nel 2002 l'Istituto superiore di sanità preparò un Piano nazionale radon che, da quanto si legge sul sito, «consiste in un insieme coordinato di azioni volte a ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon in Italia». Con un costo stimato di 12,5 milioni di euro per sei anni, il piano aveva obiettivi molto ambiziosi, necessari per ottenere un effetto importante sulla mortalità. Accanto al monitoraggio capillare della situazione, si prevedevano azioni di coordinamento fra le regioni, campagne di bonifica per gli edifici esistenti e di prevenzione per quelli di nuova costruzione, studi epidemiologici, collaborazioni internazionali, corsi di formazione per gli operatori che avrebbero poi dovuto agire sul territorio, mappatura delle scuole e dei luoghi di lavoro, campagne di sensibilizzazione e altro ancora. Il piano è coordinato da Francesco Bochicchio, uno dei principali consulenti dell'OMs in materia, autore di decine di pubblicazioni sull'argomento.

Per avere i fondi necessari, nel 2002, il Ministero della salute si rivolse a quello dell'economia, gestito allora da Giulio Tremonti, che però neppure rispose (sebbene l'ex ministro provenga da una delle regioni dove l'inquinamento da radon è maggiore). Nel 2005 – tre anni, e novemila morti dopo – si trovarono comunque 800.000 euro (WOW!) e il piano poté per lo meno partire. Un secondo finanziamento è arrivato a febbraio di quest'anno: 250.000 euro (RI-WOW!), sufficienti a malapena a pagare gli stipendi. In tutto, insomma, il progetto ha ricevuto meno del 10 per cento di quanto aveva chiesto.
Di azioni, in questi anni, ne sono in realtà state fatte molte: basta scorrere l'elenco sul sito. Ancora una volta, l'inventiva dei ricercatori italiani ha permesso di fare quasi le nozze coi fichi secchi. Quasi. All'appello mancano per esempio le azioni di bonifica e prevenzione, sparsamente presenti qui e là in Italia, grazie a piani regionali. E così, a 10 anni dall'ideazione del progetto, i 3.000 morti sono rimasti gli stessi. 

(Margherita Fronte)

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