Nel complesso, il giudizio sul decreto non può che essere positivo, perché per la prima volta si parla di merito, termine sconosciuto al sistema universitario Italiano. Ma non basta: non basta se continueremo ad avere 95 università (di cui quasi la metà gravemente indebitate), più di 5000 corsi di laurea, più di 600 facoltà, più di 300 sedi di atenei distaccate e minuscole, quasi sempre senza aule e laboratori e basate su corsi telematici per lo più virtuali. Per non parlare dello scandalo delle lauree lampo, concesse da molte università (private soprattutto, ma purtroppo anche pubbliche) sulla base del riconoscimento di crediti formativi attenuti lavorando nelle amministrazioni pubbliche.
Ministro Gelmini, un nuovo progetto di riforma dell’università deve essere realmente radicale, e dare un forte segnale di discontinuità. Il Gruppo 2003, già nel 2005 durante la discussione della legge 230 sull’università, aveva presentato proposte innovative alla 7a Commissione del Senato, che affrontavano il nodo centrale di un’università Italiana “alla canna del gas”: la totale assenza di incentivi (dentro l’università) e di competizione (tra le università).
La proposta di base era e rimane quella delle TRE ABOLIZIONI:
- abolizione dei concorsi,
- abolizione del posto fisso nelle università,
- abolizione del valore legale del titolo di studio.
Queste TRE ABOLIZIONI e la realizzazione del seguente DECALOGO costituirebbero la vera riforma: e si tratta di cose “normali”, che esistono normalmente non solo nell’Eldorado America, ma in tutti i principali paesi Europei:
- Libera scelta di ogni università sul livello delle retribuzioni, con criteri meritocratici (produzione scientifica, brevetti, didattica innovativa).
- Libere assunzioni (ogni università assume chi vuole e come vuole), assumendosene la responsabilità e le conseguenze.
- Liberalizzazione dei percorsi di carriera: ogni università promuove chi e come vuole, assumendosene la responsabilità e le conseguenze.
- Liberalizzazione della didattica: ogni università sceglie di insegnare ciò che vuole, e le scelte vengono premiate o penalizzate dalle iscrizioni degli studenti e dal mercato del lavoro.
- Rafforzamento dell’esame di stato, in termini di capacità di valutazione ed efficacia selettiva, per controbilanciare ed integrare l’abolizione del valore legale del titolo di studio.
- Liberalizzazione delle tasse e dei contributi: ogni università decide autonomamente la loro entità, sulla base della sua capacità di offerta e di attrazione.
- Utilizzazione di parte dei fondi derivati dalle tasse per istituire un sistema di prestiti agli studenti meritevoli e bisognosi.
- Attribuzione di ogni finanziamento sulla base degli indicatori di produttività scientifica condivisi da tempo dalla comunità internazionale (peer-review, site visits, study sections).
- Istituzione di corsi in lingua inglese, per la internazionalizzazione dell’attività didattica e dei dottorati di ricerca.
- Valutazione indipendente delle università da parte dell’Agenzia Italiana per la Ricerca Scientifica.
Tutte cose ormai così dette e stradette - finora del tutto inutilmente - che a scriverle ci si sente come un disco inceppato!