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Strategia e libertà

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"Non esiste strategia senza libertà, senza che vengano dati gli strumenti per poterla costruire": come abbiamo fatto per Marta Cartabia, presidentessa della Corte Costituzionale, pubblichiamo anche il discorso di Elio Franzini, rettore dell'Università Statale di Milano in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico

Signora Presidente della Corte costituzionale, Signora Ministro Bonetti, signor Presidente della Regione, signor Sindaco, signor Prefetto, autorità civili, militari e religiose tutte, cari rettori, docenti, dirigenti, personale tecnico, amministrativo e bibliotecario, cari studenti, cari ospiti, grazie per essere qui, vicini alla nostra Università. Un grazie particolare a tutti coloro che in Unimi hanno reso possibile questa giornata e che ogni giorno tengono in piedi la nostra istituzione: li vedo qui tra le quinte e sono coloro che non si siedono mai.

Il breve video appena mostrato ha offerto una sintetica e veloce rassegna di alcuni aspetti del piano strategico della Statale, che sarà per tre anni il filo conduttore dei nostri percorsi di crescita. Molti altri dati, dalle nuove proposte di percorsi didattici ai successi della ricerca, a partire dai nostri vincitori di ERC e di altri bandi internazionali, dovrebbero essere mostrati e sono in parte visibili alle mie spalle.

È giusto, è corretto che queste cerimonie servano alle università per mostrare quel che sono, sul piano nazionale e locale. Vi è sempre il rischio di dimenticare qualcosa, e qualcosa di importante. Per tale motivo, è stata distribuita a tutti i partecipanti la prima versione del piano strategico, insieme a un piccolo ricordo della giornata. Nell’autunno di quest’anno ospiteremo la visita per l’accreditamento della sede da parte di Anvur. Siamo ben consapevoli, che questo non è un orpello burocratico tra i tanti, ma un passaggio essenziale (per il quale ringrazio il Nucleo di valutazione e il Presidio di Qualità) perché l’università diventi sempre più un luogo dove siano protagoniste le politiche della qualità, un luogo dove gli studenti e il personale tutto possano sentirsi davvero a casa propria. Come tutti gli atenei, si sta cercando di rendere la centralità dello studente non soltanto una fortunata espressione, bensì un obiettivo concreto, che proprio per tale motivo richiede lavoro e senso critico. Allo stesso modo, il mantra contemporaneo della sostenibilità ambientale è per noi un impegno quotidiano, che si è tradotto in azioni, nella consapevolezza che quel che si fa, per lo studente, l’ambiente, la vita di noi tutti, è sempre troppo poco e serve come stimolo, anche senza soffermarsi in eccesso su un elenco dei pur rilevanti risultati.

Non intendo infatti inondare il pubblico di numeri, ma solo ricordare che, nel percorso di avvicinamento al centenario di UNIMI, nel 2024, percorso in cui saremo aiutati dal Coordinamento dei Professori Emeriti, cerchiamo di darci obiettivi al tempo stesso semplici e ambiziosi, convinti che la linearità dei comportamenti e delle azioni, la loro trasparenza e dialogicità, siano gli strumenti più adeguati per un miglioramento costante della nostra istituzione.

Va allora detto, in primo luogo, che stiamo proseguendo sulle strade indicate lo scorso anno. L’assegnazione della gara d’appalto per la costruzione del Campus Mind, che riusciremo a operare entro poche settimane, è senza dubbio una tappa importante, che richiederà un impegno pluriennale e sforzi progettuali sempre rinnovati: torno a ribadire che disegnare un’area nuova non è soltanto un’operazione contabile o il soddisfacimento di ambizioni personali, ma un percorso difficile, condiviso e al tempo stesso problematico, che potrà avere successo se, e solo se, ne comprenderemo sino in fondo tutte le criticità, senza le quali non si espliciteranno le opportunità. Ma questo obiettivo, e anche ciò vorrei ribadire, non ci ha fatto dimenticare Città Studi, un luogo che non intendiamo affatto abbandonare: stiamo infatti operando un’ampia revisione dei costi di mantenimento, che forse avrebbe dovuto essere prodromica, per poter riprogettare il piano che porterà la Statale a uno sviluppo tripolare, concentrando le varie sedi territoriali, comprendendo sino in fondo le potenzialità di un’area e i suoi possibili sviluppi, nazionali e internazionali. Senza dimenticare che quest’anno accademico vede l’apertura definitiva della sede di Lodi, splendido sito della nostra Veterinaria.

Come più volte sottolineato, un futuro efficace e innovativo si ha soltanto quando non si dimentica il passato ma, al contrario, lo si ricorda e sostiene, consapevoli che le istituzioni devono identificarsi con la propria storia, che si costruisce ogni giorno, sempre di nuovo. In quest’ottica, di necessaria continuità tra passato e futuro, l’altro progetto annunciato lo scorso anno – il gruppo di lavoro Unimi 2040 guidato da Marino Regini - ha prodotto straordinari lavori di analisi, già presentati all’Ateneo, e che pubblicheremo durante l’anno, dando peraltro avvio a una nostra University Press. Posso assicurare tutti, in primo luogo le istituzioni dei territori che ci ospitano, che su vari piani, dalla didattica alla ricerca sino al trasferimento delle conoscenze e la terza missione, vedrete nel 2020 molte novità dalla nostra Università. E alcune vi stupiranno, anche perché, orgogliosi di noi stessi, siamo consapevoli che non siamo soli, e che la nostra forza deriva da un sistema, le altre università a noi vicine, o meno vicine, con le quali vogliamo sempre più collaborare, per crescere insieme – come Milano e la Lombardia ci impongono ogni giorno, anche quando non sempre sono consapevoli della forza propulsiva che le Università possono avere. Le università di un medesimo territorio, e non solo, devono fare “sistema”, avere il coraggio di istituire forme sinergiche senza le quali non potremmo essere pienamente quel “motore d’Europa” che, anche sul piano della ricerca e del trasferimento delle conoscenze, dobbiamo essere.

Perché è evidente che il destino di un’Università non è, non può più essere, quello regionale o nazionale, perso in sterili e artificiose contrapposizioni come quelle tra Nord e Sud. La nostra università deve porsi sempre più come un polo attrattivo per l’Europa, progettando, come è stato fatto, e li vedete alle mie spalle, nuovi corsi, spesso in inglese che si aggiungono ai già numerosi esistenti. Sul piano della internazionalizzazione, inoltre, ricordiamo la nostra posizione nella LERU, la lega delle 23 Università di ricerca europea, e ribadiamo che il consorzio 4EU+, l’alleanza con le Università di Paris Sorbonne, Heidelberg, Varsavia, Praga, Copenhagen, sulla quale potrei dilungarmi per ore, non solo è stata formalmente istituita, ma si sta trasformando in una legal entity, che sarà in grado di disegnare un autentico modello – per la didattica, la ricerca, la governance – di un’università europea adeguata a una sempre più necessaria “cittadinanza europea” dei nostri studenti.

Non mi soffermo oltre su ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo, consapevoli peraltro che il problema dei problemi del nostro Paese, cioè il diritto allo studio, sul quale abbiamo operato notevoli passi avanti, non può vedere le università sole, con provvedimenti contingenti ed estemporanei, che non supportano a sufficienza sia le università sia le Regioni. Ebbene, in questa progettualità, alla base della nostra progettualità, vorrei sottolineare solo due parole, che sono al centro del piano strategico che vi è stato distribuito, e che meglio di tutti i numeri disegnano quel che sarà il nostro futuro. Queste due parole, senza le quali non si ha né democrazia né futuro, sono strategia e libertà, e sono parole chiave.

In momenti di crisi, del pensiero e della politica, è infatti compito primario dell’Università interrogare se stessa e il mondo che la circonda. Non è una dinamica autoreferenziale, ma il tentativo di comprendere dove si è persa la strada, dove si è bloccato il cammino, dove l’elogio dei sentieri interrotti si è dissolto in frammenti lontani dai fondamenti stessi del vivere. Conoscere significa mettere in atto operazioni soggettive e intersoggettive in grado di comprendere e ordinare il mondo di cui abbiamo esperienza, così come si manifesta attraverso fenomeni collettivi. Interrogarsi su queste operazioni non significa tipicizzare il mondo e le cose, ma indagare il presupposto di ogni conoscenza possibile e reale, che precede – ne è condizione di possibilità – i singoli atti conoscitivi.

È certo difficile determinare, per un Ateneo multidisciplinare e complesso, una strategia unitaria: l’unica possibile deriva da un approccio che cerchi di trasformare obiettivi specifici in scopi comuni, ritenendo la differenza un punto di forza purché coniugata secondo principi condivisi guidati da un’unica ispirazione, senza enfasi e senza ambizioni superiori alle forze. Nella consapevolezza, sempre viva, che un’Università è un corpo organico di cui sono parte – ho detto sono parte, non fanno parte – gli organi di governo, i docenti, il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario, gli studenti. Senza questa consapevolezza, senza un’idea della assoluta pariteticità delle istanze, del lavoro, delle esigenze non potremo comprendere che obiettivi comuni e condivisi richiedono una sinergia che può derivare soltanto da un’idea unitaria di università.

La nostra Università, in estrema e ripetuta sintesi, se vuole comprendere che strategia è costruzione progressiva di obiettivi secondo un modello progettuale pluriennale, deve perseguire e monitorare il diritto allo studio, i percorsi formativi degli studenti, l’interdisciplinarietà delle scienze come autentica sfida, un progetto di offerta didattica che compensi il rapporto tra percorsi triennali e magistrali, una internazionalizzazione capace sia di instaurare rapporti con università europee sia di attrarre studenti sia di favorirne la mobilità. Digitalizzare processi, documenti e archivi per una maggiore efficienza dei servizi, integrare e rendere interoperabili le infrastrutture informatiche di Ateneo, sviluppare le piattaforme tecnologiche per una sempre più spiccata condivisione della ricerca, mettere al centro la ricerca di base e le esigenze dei più giovani, cercare l’eccellenza attraverso percorsi assunzionali non casuali, rafforzare le già essenziali collaborazioni con il mondo della Sanità, che vede Unimi al centro della Sanità cittadina e del suo complesso sistema formativo, promuovere l’apertura e la condivisione dei risultati non solo con gli altri scienziati ma con la società intera, proseguire i progetti di open Science in cui siamo già modello europeo, sono finalità che Unimi deve sempre di nuovo costruire, cercando al tempo stesso di comunicare, al proprio interno e fuori di sé, il proprio lavoro e i propri percorsi di qualità. Ma come può farlo?

In uno straordinario discorso preparatorio del Concilio Vaticano II (11 settembre 1962), che ho citato nel Piano strategico, Giovanni XXIII ricorda che la vitalità di un’Istituzione si pone nella sua capacità di avere chiari gli obiettivi della propria struttura interiore – vitalità ad intra. Ma coglierà davvero lo scopo della sua missione se, e solo se, a essa aggiungerà una vitalità ad extra, attenta cioè “alle esigenze e ai bisogni dei popoli”, a un’etica collettiva. È per tale motivo che l’Università deve essere “inclusiva”: perché la qualità dei suoi percorsi interni formativi e scientifici ha come fine ultimo il miglioramento generale di una società e di una cultura. L’Università proprio perché inclusiva deve essere un magnete per un nuovo movimento sociale e formativo, che mira a un’identità che è tale solo se raccoglie una molteplicità di differenze. Perché non esiste strategia senza dialogo, nella consapevolezza che ogni università, e in particolare una come la nostra che vuole porsi al centro dell’Europa, è sempre in costruzione. Ma è proprio qui, nel suo aprirsi all’esterno, che il “sistema università” spesso non ha risposte, e che vede la propria libertà imbrigliata e priva di speranze progettuali.

Perché non esiste strategia senza libertà, senza che vengano dati gli strumenti per poterla costruire. Avere tra noi la Presidente della Corte costituzionale, oltre a essere un grandissimo onore, per cui la ringraziamo di cuore, è un richiamo vivente a valori che non possiamo dimenticare, che sono il fondamento stesso del nostro vivere democratico, la forza della legalità e della trasparenza. Valori che la professoressa Cartabia ci ricorderà. Libertà non è una parola astratta, ma termine che si radica in profondità nella storia millenaria dell’università europea, ed è una condizione di possibilità per il nostro destino.

Max Weber, in un saggio di cent’anni fa, “Scienza come professione”, dove il termine Beruf significa anche vocazione, compito e dunque destino e dovere, ricordava che la scienza non è soltanto, come a volte qualcuno crede, un esercizio di calcolo che viene compiuto nei laboratori o nelle cartoteche statistiche. È qualcosa cui non si giunge solo con il freddo intelletto, bensì coltivando le idee “con tutta l’anima”. Idee che sorgono soltanto, aggiunge Weber, “sul terreno di un duro lavoro”.

Non si possono presentare facili soluzioni: ma quel che forse manca oggi alla politica della scienza, travolta da istanze pseudoscientifiche o alla ricerca di pseudoinnovazioni e di miracolose ricette, è la capacità di comprendere che libertà e strategia sono conquiste che l’università non può ottenere da sola. Nella sconfortante ultima legge di bilancio, dove la parola università è pressoché assente, deve non è dedicata a essa un solo pensiero e una sola strategia, è stata minata, con il silenzio, la nostra libertà. Come hanno ben scritto CUN e CRUI, è in atto un’ulteriore erosione della quota di risorse a scapito di altre spese indifferibili, come la manutenzione, la sicurezza, la crescita del turn over. Non bastano contingenti e posteriori foglie di fico o pur ottimi e necessari spacchettamenti ministeriali, che peraltro hanno affidato l’Università alla persona giusta, a cambiare la situazione: l’Università non vive di annuali piani straordinari, invocati come panacea quando sono soltanto pannicelli caldi, bensì di progetto, di disegno, di investimento per il futuro. Ignorarlo, e quest’anno come non mai, significa ignorare la progettualità del Paese, il suo futuro, il suo destino.

Si è messo in discussione, appunto ignorandolo, quel che l’Università può dare al tessuto sociale e culturale: l’esercizio di uno spirito critico che sempre ha accompagnato la vicenda della cultura, non solo moderna. Non si tratta di riflettere su un episodio, pur molto attuale, e ancora bruciante, ma su una situazione concettuale: è forse allora giunto il momento, di fronte al silenzio regressivo di chi, pur dovendo guardare e vedere, non guarda e non vede, di rivolgersi a quella che il poeta Valéry chiama “politica dello spirito”. Una politica che può nascere, che deve nascere, dalla società civile, dai corpi intermedi, e che deve trovare nella scienza il proprio costante e quasi ossessivo punto di riferimento: l’università non è un mero “gruppo di interesse”, ma un’istituzione che, come tutte le istituzioni solide e serie, deve mirare a interessi collettivi, costruendo un tessuto culturale e sociale all’interno del quale il bene comune e generale soppianti i privilegi contingenti. La ricerca scientifica è questa prospettiva di futuro, l’università è il campo dialogico in cui le scienze diventano anche formazione. E la formazione è appunto la capacità costruttiva di rendere dialogiche e produttive le differenze che abitano il pensiero, e che un’economia senza strategia e senza progetto non coglie. È il terreno su cui è possibile delineare e organizzare le qualità intellettuali dell'uomo, che derivano da molteplici, specifiche ma differenziate, situazioni e influenze storiche.

La scienza è l'elemento nodale e centrale, quello propriamente qualitativo, quell'azione "sottile e potente" cui dobbiamo, ancora a parere di Valéry, "la parte migliore della nostra intelligenza, la sottigliezza, la solidità del nostro sapere", contrapposto a quel “perfetto e definitivo formicaio” che sta diventando il nostro mondo. È alla scienza che dobbiamo una serie di numerose virtù, come la nettezza, la purezza, la distinzione delle nostre discipline, arti, letterature. In sintesi, l’università è ciò che fornisce un metodo alla ricerca scientifica, mostrandola per quel che è, un sistema di riferimenti capace di costruire un'armonia fra le differenze, in primo luogo fra le differenti esigenze che vivono all'interno dello spirito stesso.

Nel 1809, il grande ispiratore dell’Università moderna, Wilhelm von Humboldt, sosteneva un principio che oggi in molti, a iniziare dalla politica, sembrano non comprendere. La conoscenza, la scienza sono sempre “utili”: il sapere è l'orizzonte ultimo che non ha bisogno di giustificazione, perché soltanto entro la sua prospettiva e tramite i suoi strumenti è possibile porre il problema del senso di ogni altra cosa. Proprio per tale motivo, aggiunge Humboldt, gli istituti scientifici superiori sono al vertice della vita culturale e morale di una nazione - aperti alle sollecitazioni di tutti, ma senza essere al servizio di nessuno. Se non si comprende questa esigenza metodica non si vede la strada che il metodo stesso indica. La nostra università, oggi, presentando la sua strategia, vuole così ricordare che senza una strategia per la ricerca, senza fondi per la ricerca, la didattica, il diritto allo studio, l’internazionalizzazione, il progresso e l’innovazione, non è la singola università che muore, ma un Paese, che diventa asfittico, chiuso in dispute talmente ridicole da non meritare neppure la definizione di ideologie. Non dobbiamo avere paura – docenti, personale, studenti – nel ribadire ogni ora, con forza, disperazione e passione, la nostra funzione, malgrado l’oblio che l’avvolge.

Sempre Weber chiude il saggio che ho prima citato ricordando un passo biblico tratto dal libro di Isaia: “Una voce chiama da Seir in Edom: sentinella, a che punto è la notte? E la sentinella risponde: verrà il mattino, ma è ancora notte; se volete domandare, ritornate un’altra volta”. Ebbene, noi vogliamo ribadire, con Weber, che “attendere ed anelare non basta” e dobbiamo fare altrimenti se vogliamo davvero essere liberi: ci metteremo al nostro lavoro, uscendo dalla notte, e adempiremo, speriamo non da soli, a quella che Goethe chiama “la richiesta di ogni giorno”. Ma ciò è possibile, come ricorda ancora Weber, soltanto “quando ognuno abbia trovato e obbedisca al demone che tiene i fili della sua vita”. Trovare, insegnare ai nostri studenti, questo demone positivo e strategico, che renda finalmente le università libere di costruire e progettare, è l’augurio che, aprendo il novantacinquesimo anno della propria storia, la nostra Università vuole rivolgere a tutti coloro che lavorano in essa e per essa.

Nessuno di noi sa dire quando e se arriverà il mattino: ma è importante, costitutivo del suo stesso essere, che un’università sempre si interroghi sul senso del tempo, della storia, della vita. Dobbiamo essere, noi tutti, sentinelle, perché abbiamo a cuore il luogo in cui abitiamo, consapevoli che è nostro compito cercare di avere la visuale più sgombra, quella che la ricerca impone, ricerca che è modello e simbolo di libertà, pace e rispetto, in cui le diversità si toccano e imparano a conoscersi.

 


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