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Scienza e politica ai tempi del calore

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Crediti: Jaymatri/Pexels. Licenza: CC0 License

Molti sono giustamente preoccupati dell'apparente declino della scienza e delle competenze nella sfera pubblica, e altrettanto giustamente invocano la necessità di aumentare gli sforzi per diffondere la mentalità scientifica, intesa come antidoto al prevalere dei pregiudizi e alle varie chiusure sovraniste e populiste che stanno interessando anche l'Italia[1].

Il punto è come fare. Bruno Latour, nel suo libro Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica (Raffaello Cortina Editore, 2018), per esempio, ritiene irrealistico riportare “tutta questa brava gente in una bella aula di una volta, con tanto di lavagna e compiti sul banco”. Anche perché quello a cui assistiamo oggi sembra proprio il rifiuto dell’idea regolativa della scienza e una ben decisa rivendicazione dell’autonomia della politica, della morale, del più banale dei comportamenti da qualsiasi considerazione razionale e scientifica.

La gente - scrive provocatoriamente Latour - crede ai fatti alternativi perché vive in mondi alternativi. Vive, per esempio, negli Stati Uniti, la più grande potenza scientifico-tecnologica mondiale dove il suo presidente nega l’esistenza del cambiamento climatico, si schiera con i negazionisti, e mette ai vertici delle agenzie ambientali lobbisti del carbone e del petrolio. Se brucia mezza California la colpa è delle “leggi ambientaliste” californiane, non del cambiamento climatico.

Per Trump e per tutto un certo versante delle attuali élite la scienza non è la soluzione. La scienza è il problema, perché richiama a una realtà spiacevole, mette in discussione, impone cambi di rotta.

Secondo Latour il nuovo Regime Climatico sancito definitivamente dalla XXI conferenza di Parigi del 2015 segna un punto di rottura epistemologica e politica importante[2]. A un certo punto le élite si rendono conto che non è più possibile continuare come se niente fosse. O si accetta la sfida di una nuova politica economica e un quasi immediato ri-orientamento energetico, oppure... non resta che negare l’esistenza del problema. Che siano gli altri a risolverlo, se ci credono.

Il disvelamento della realtà climatica - a lungo mascherata dal negazionismo - coglie un po’ tutti di sorpresa, e cominicia a porre interrogativi inquietanti sulla qualità della vita in un futuro non toppo lontano[3] [4]. E secondo Latour a questo shock sono in parte riconducibili molte pulsioni sovraniste e populiste. Anche la chiusura ai migranti - in un certo modo testimoni e vittime di un pianeta instabile - rientra nella Grande Negazione della nuova realtà climatica che ci attende.

L’epoca moderna come si era configurata fino a quel momento (emersione di interi paesi dalla povertà, estensione del benessere e riduzione delle disuguaglianze, globalizzazione e democratizzazione del pianeta) collassa come un castello di carte, e nella particolare narrazione allestita da Latour può dare vita a due soluzioni. Una è l’acting out trumpiano, che nega il problema con una fuga in avanti verso il massimo sfruttamento delle risorse (finché c’è tempo...) e contemporaneamente si mette a coltivare un ritorno al Locale semiautarchico, all’erezione di muri per fermare gli immigrati. La Scienza, se porta le verità scomode del Nuovo Regime Climatico, viene derubricata a strumento di manipolazione in mano a potenze nemiche da contrastare in ogni modo (la Cina, nella narrazione trumpiana).

L’altra risposta sono le piccole patrie messe in atto dal sovranismo europeo, sia nella versione antieuropea della Brexit in Inghilterra, sia in quella del gruppo di Visegrad che ormai va dalla Polonia di Kacynsky all’Italia di Salvini, dove il Locale delle tradizioni e delle caricature di razza inscenano la parvenza di una comunità che si protegge dai pericoli del Globale.

Le riflessioni talvolta solo abbozzate da Latour tracciano una possibile rotta nel coltivare una dimensione terrestre, capace di ridare senso a un Locale non posticcio (“plurale” lo chiama), aperto alle migrazioni e alla sperimentazione di nuovi assetti produttivi, anzi generativi. Secondo Latour si tratta di non accontentarsi delle grandi astrazioni ("la Terra vista da Sirio", come scrive provocatoriamente), ma di recuperare la realtà del nostro pianeta in crisi anche attraverso nuove pratiche scientifiche più basate sull'osservazione di ciò che ci circonda, quasi delle "inchieste", per certi versi simili ai "cahiers de doléances" della Francia pre-rivoluzionaria volti a far emergere i punti di crisi dell'incerto stato ambientale del nostro pianeta.

“Una delle stranezze dell’epoca moderna è avere avuto una definizione così poco materiale, così poco terrestre, della materia” argomenta Latour. “Come chiamare materialista gente che potrebbe ritrovarsi quasi senza accorgersene su un pianeta a +3,5 gradi sull’orlo di una sesta estinzione di massa?” (traduzione nostra).

Come suggerisce il titolo originale del libro, ora si tratta di decidere “Dove toccare terra”, azzardando una prima idea di rotta che nessuno ancora conosce per certo. Nemmeno Latour, che però ha la bella impudenza di ragionarne in questo coraggioso brogliaccio politico-scientifico.

 

Note

1. Lucia Votano, La scienza che sa unire, La Repubblica, 8 agosto 2018.
2. Il termine "Regime climatico" è stato introdotto da Latour, in Face à Gaia. La Decouverte, Paris, 2015.
3. "Halfway to boiling: the city at 50C", The Guardian 13 Agosto 2018.
4. Si veda l'appello di 700 scienziati francesi, Liberation 7/9/2018 nonché l'allarme lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite, BBC online.

 


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