fbpx I vaccini contro Covid-19 vanno considerati beni pubblici globali | Scienza in rete

Per salvarci rendiamo i vaccini anti-Covid beni pubblici globali

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Su un punto la scienza è molto chiara: nessuno si salva da solo. E la variante Omicron, identificata in Sudafrica, ci ricorda una volta di più che la risposta per contenere e frenare la pandemia deve essere davvero globale e garantire l'equità nell'accesso e nella distribuzione del vaccino.

Crediti immagine: Diana Polekhina/Unsplash

Il 1° dicembre 2021, i 194 paesi membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno raggiunto un consenso per negoziare una convenzione internazionale al fine di rafforzare la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie. Una conclusione passata un po’ sotto silenzio, eppure è significativo che l'OMS abbia raggiunto questa decisione in occasione della Giornata mondiale contro l'HIV/AIDS. L’infezione da HIV/AIDS ha dimostrato con una chiarezza inequivocabile che, per affrontare le crisi epidemiologiche, c’è necessità di un'azione pubblica coordinata piuttosto che caratterizzata da modelli convenzionali di interlocuzione bilaterale con aziende farmaceutiche. Questa è una lezione che il mondo, finora, nell'affrontare il contrasto a Covid-19, non è riuscito a interiorizzare e imparare.

Uno dei modi per rendere significativa questa convenzione sarebbe infatti di garantire che l'equità nell’accesso e nella distribuzione del vaccino sia posta al centro del trattato, congiuntamente a un piano di cooperazione internazionale che intenda investire nella capacità di produzione di vaccini nel Sud del mondo. La “variante preoccupante” identificata il 24 novembre in Sudafrica e denominata dall’OMS Omicron, ci ricorda, una volta di più, quanto la risposta per contenere e frenare l’attuale pandemia da SARS- Cov-2 debba essere davvero globale e indica la solidarietà come un imperativo morale oltre che di interesse per i singoli Paesi. La scienza è assolutamente chiara su questo: nessuno si salva da solo, nessuno è al sicuro finché non lo saremo tutti.

Copertura vaccinale: 62,7% i ricchi, 4,7% i poveri

Eppure, i dati continuano a essere sconfortanti. Il 62,7% dei vaccinati con almeno una dose risiede nei Paesi a reddito alto e medio-alto, mentre i Paesi più poveri registrano una copertura media del 4,7%. COVAX, la piattaforma istituita per la distribuzione equa e globale dei vaccini soprattutto nei Paesi a economie svantaggiate, al 6 dicembre, aveva distribuito soltanto 610 milioni di dosi a 144 Paesi su una proiezione annuale già ridimensionata a 1,4 miliardi di dosi. A ben guardare, il problema non risiede tanto nell'offerta globale ma nell'accesso adeguato e nella distribuzione equa. Secondo le ultime previsioni, entro la fine di dicembre saranno state prodotte più di 12,2 miliardi di dosi di vaccino Covid-19 in tutto il mondo, abbastanza per vaccinare almeno una volta tutto il pianeta. Tuttavia, la mappa mondiale della distribuzione dei vaccini ci restituisce un’immagine fortemente sbilanciata. Alla fine del 2021 Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Regno Unito, pur tenendo conto dei vaccini necessari per somministrare la terza dose all’80% della popolazione sopra i 12 anni, disporranno di un surplus di 1,2 miliardi di dosi. L'Uganda, per contro, si sarà assicurata solo lo 0,44 di dosi per adulto. Di fatto i Paesi ricchi hanno ricevuto un numero di vaccini pro capite di 16 volte superiore alle nazioni più povere, secondo l'analisi del Financial Times.

Il fallimento delle donazioni

La ridistribuzione delle dosi in eccesso, nei tempi adeguati e non a ridosso della scadenza, potrebbe costituire una momentanea misura (con tutte le difficoltà) per sanare questo squilibrio. Tuttavia, non può rappresentare da sola la soluzione strutturata e di lungo periodo tale da consentire ai Paesi più poveri di uscire dalla logica della donazione-beneficenza e di rendersi autonomi. Dallo scoppio della pandemia a oggi erano state promesse 1,8 miliardi di dosi ai Paesi a medio e basso reddito, ne sono state donate solo 261 milioni. Proprio nello scarto tra queste due cifre risiede il fallimento della politica delle donazioni dei vaccini verso i Paesi poveri, la sola che abbia raccolto finora il consenso maggiore, e comunque lontana dall’essere realizzata.

La soluzione è la produzione locale

Omicron che riparte dal Sudafrica induce a ripensare, drasticamente, alla risposta globale fornita sin qui. Dovrebbe essere ormai evidente che una strategia globale per combattere la pandemia deve includere un piano per proteggere i Paesi più poveri e che si rendono indispensabili scelte coraggiose e una visione di ampio respiro che possa sostenerle. I governi e la comunità internazionale dovrebbero concordare sul fatto che i vaccini e le conoscenze necessarie per produrli sono beni pubblici globali e che, in caso di pandemia, i diritti di proprietà intellettuale, inclusi i segreti commerciali, i dati e il know-how necessari per produrre e fornire vaccini, terapie e tutte le altre misure di contrasto alla pandemia possano essere condivisi o resi disponibili attraverso misure obbligatorie. Per garantire che vi sia una capacità di produzione sostenibile di vaccini in ogni regione del mondo, i governi dovrebbero anche impegnarsi a mettere a disposizione finanziamenti per espandere la capacità di produzione nelle regioni attualmente poco servite, prima tra tutte l'Africa subsahariana, dove la produzione di vaccini è praticamente inesistente. L’ha ben capito la Cina che, cogliendo l’occasione offertale dalla pandemia di Covid-19 e giocandola in chiave geopolitica, conclude accordi con il continente africano sotto forma di donazioni o di sostegno alla produzione locale.

Il nodo della proprietà intellettuale

D’altra parte, gli hub di trasferimento tecnologico che l'OMS sta creando per condividere la tecnologia dei vaccini mRNA sono un passo nella giusta direzione, ma è necessaria una maggiore capacità di sviluppo, un maggiore coinvolgimento dei diversi governi sia in termini politici che economici, un investimento concreto delle imprese farmaceutiche nella condivisione di tecnologia e know-how per consentire ai paesi a basse risorse di diventare più autonomi nella loro risposta alle pandemie. A oggi nessuna impresa farmaceutica produttrice di vaccini mRNA già approvati e consolidati ha condiviso la propria tecnologia con la piattaforma messa a punto dall’OMS. Eppure, secondo i dati emersi da una recente ricerca di Medici senza frontiere nel solo continente africano ci sarebbero almeno 7 produttori attualmente pronti e disponibili a produrre vaccini contro Covid-19. La dodicesima Conferenza interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che si sarebbe dovuta tenere a partire dal 30 novembre ed è stata sospesa per via dell’aggravarsi della situazione epidemiologica, presentava al centro del dibattito proprio la deroga ai diritti di proprietà intellettuale proposta da India e Sudafrica nell’ottobre del 2020. La forte opposizione che UE, Svizzera, UK, Canada hanno riservato a questa proposta e il tentativo di limitare la deroga alle flessibilità già contenute all’interno dell’accordo TRIPS hanno determinato una situazione di stallo nel negoziato e sui tavoli della diplomazia internazionale nonostante le indicazioni positive espresse sia dall'OMS che dall’Independent Panel for pandemic preparedness and response.

Quando i negoziati in seno all’OMC riprenderanno (ma non si ha idea di quando) sarà essenziale spingere per un cambiamento strutturale, favorendo il trasferimento tecnologico e politiche di innovazione e industriali che portino a un ruolo attivo dei governi. A dispetto delle affermazioni, il settore farmaceutico difficilmente andrebbe in crisi e subirebbe perdite, anche a fronte di una momentanea sospensione dei diritti della proprietà intellettuale, che sarebbero comunque adeguatamente compensati dal versamento di royalties. È una questione di volontà e di scelte: vaccini, terapie e altri prodotti farmaceutici utili a contrastare l’infezione da Covid-19, devono essere considerati beni pubblici globali, e di conseguenza si tratta di trovare il modo per garantire l'accesso al sapere scientifico e alle competenze produttive indispensabili. Altrimenti, non ne usciremo.

 


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