Gli SOC8, le nuove linee guida World Professional Association for Transgender Health (WPATH) aggiornate a settembre, hanno portato con sé molte discussioni, in gran parte allarmistiche e parziali, per il capitolo dedicato all'adolescenza e soprattutto per la rimozione di precisi limiti d’età nel caso sia indicato fornire trattamenti medici e chirurgici di affermazione di genere. Ma per comprendere questa svolta è utile provare comprendere l’approccio - e quindi dell’operato - della WPATH alla luce dello stato della ricerca.
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Il 15 settembre, la World Professional Association for Transgender Health (WPATH) ha aggiornato il Gold Standard delle cure per la salute delle persone transgender e gender diverse (tgd). Le linee guida della WPATH consistono fondamentalmente in un insieme di indicazioni cliniche, basate sui migliori studi scientifici disponibili e l’expertise professionale, con lo scopo di formare e orientare il personale e i programmi sanitari a livello internazionale. In questo senso, forniscono raccomandazioni sia in merito ai trattamenti più efficaci, che alle buone pratiche sanitarie e i comportamenti più adatti (inclusi aspetti linguistici e culturali) per promuovere dignità e sicurezza nell'approccio alla salute delle persone tgd.
A un mese dalla pubblicazione delle nuove linee guida (SOC8), il capitolo dedicato all’adolescenza ha lasciato dietro di sé (specialmente nei media di lingua inglese) un polverone di invettive, dietrologie allarmiste e resoconti parziali, in qualche caso anche su testate professionali e di settore, come il British Medical Journal. L’aspetto più critico è certamente la rimozione di precisi limiti d’età nel caso sia indicato fornire trattamenti medici e chirurgici di affermazione di genere richiesti da adolescenti. Segue poi la raccomandazione di coinvolgere la parentela stretta (madri, padri, tutori, ecc.) a meno che il loro coinvolgimento non sia «ritenuto dannoso per l'adolescente», contemplando dunque la possibilità della loro esclusione dal quadro di valutazione e trattamento. A ben vedere, però, poco o niente è stato riportato in merito alla logica sottostante queste nuove raccomandazioni. In Italia, la notizia è stata a malapena ravvisata e non approfondita. Eppure, gli SOC8 marcano un cambio di passo significativo nell’approccio alla salute di adolescenti tgd. Ma per comprendere meglio questa svolta è utile mettere da parte (per un momento) il contesto del dibattito pubblico e politico, e provare a farsi un’idea dell’approccio e quindi dell’operato della WPATH alla luce dello stato della ricerca.
Chi sono e quante sono le persone tgd?
L’identità di genere è un concetto entrato relativamente da poco nell’uso comune. Proviene dalla psicologia e indica il «senso profondo, interno e intrinseco che una persona ha del proprio genere», laddove “profondo, interno e intrinseco” non sono aggettivi poeticizzanti, bensì definiscono un elemento costitutivo della psiche di qualunque persona. Si parla di incongruenza o diversità di genere, quando una persona sviluppa un’identità di genere differente dal genere che le viene assegnato, tipicamente alla nascita in base all’osservazione degli organi genitali esterni (per approssimazione, il “sesso biologico”).
È ancora molto difficile stimare quanto spesso si presenti questo fenomeno a livello mondiale. Tuttavia, i dati reperibili sono in crescita: mentre le strutture sanitarie occidentali riferiscono una media dall’0,02 allo 0,1% della popolazione, le indagini più ampie vanno dallo 0,3-4,5% tra le persone adulte fino al 2,5-8,4% tra quelle più giovani. La crescita dei dati, così come il balzo tra le percentuali di persone adulte e giovani, non deve stupire, in quanto è solo di recente che si è iniziato a fare indagini sistematiche su larga scala, mentre parallelamente sono aumentate sia l’informazione e la visibilità mediatica delle persone tgd, che le policies protettive nei loro confronti, favorendo un fenomeno di emersione.
Di cosa parliamo quando parliamo della loro salute?
Oggi l’incongruenza di genere viene definita una condizione nella Classificazione internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati (OMS, ICD-11). Non viene, dunque, considerata un fenomeno intrinsecamente patologico, nel senso che di per sé non procura nessun danno agli individui. Al contempo però, l’incongruenza di genere viene ancora stigmatizzata in molte società del mondo - e a volte negata nei suoi fondamenti scientifici, bollati con il marchio di “ideologia” o “teoria del gender”. Questa stigmatizzazione può contribuire a casi di abuso e violenza ma, soprattutto, porta spesso a sviluppare minority stress, in sostanza livelli elevanti di stress e disagio psicologico o anche disforia di genere. Quest’ultima è definita come una peculiare condizione di salute mentale nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5-TR), e in questo senso è funzionale alle logiche di attivazione della maggior parte dei servizi sanitari nazionali. Quest’insieme di sintomi socialmente indotti ha tipicamente valenza cronica e sono statisticamente associati a tassi di depressione, tendenza al suicidio e all’autolesionismo notevolmente superiori alla media della popolazione cisgender (ossia, chiunque non sia tgd). A conti fatti, non potendo “trattare” il fenomeno della stigmatizzazione nelle società umane, le cure per la salute delle persone tgd si concentrano sul trattamento curativo e preventivo della sintomatologia indotta e correlata attraverso le cosiddette terapie di “affermazione di genere”. Queste intervengono soprattutto su aspetti della corporalità che influiscono pesantemente sulla percezione psico-sociale tipicamente legata alla stigmatizzazione (si pensi agli organi genitali, ma anche ad altri aspetti socioculturalmente impattanti come la voce). Pertanto, possono includere terapie ormonali e interventi chirurgici. Tuttavia, in alcuni casi sono sufficienti anche altri tipi di interventi molto meno invasivi.
Le terapie affermative di genere vengono chiamate tali in quanto supportano l’identità di genere sviluppata dalla persona tgd. In questo senso, sono diametralmente opposte alle terapie “avversative”, note anche come “terapie di conversione”. Storicamente, queste ultime sono state sperimentate a lungo - e in alcuni contesti vengono ancora praticate - seguendo il presupposto (infondato) di correggere o guarire l’identità di genere. Difatti, dai primi studi scientifici della seconda metà dell’800 fino a tempi recenti, l’incongruenza di genere è stata considerata come una malattia o un disturbo mentale in sé (confondendola spesso, tra l’altro, con l’orientamento omosessuale, considerato altrettanto patologico). Di conseguenza, per decenni sono stati elaborati diversi approcci terapeutici nel tentativo di allineare l’incongruenza dell’identità di genere al sesso biologico (a volte facendo ricorso anche a pratiche come l’elettroshock). Tuttavia, gli approcci di conversione, non solo si sono rivelati inconsistenti nei loro presupposti scientifici e diagnostici, ma, quando applicati, hanno causato un aumento significativo dei problemi psicologici nelle persone tgd, correlati a loro volta da un aumento dei casi di suicidio. Pertanto, sia la WPATH che i principali enti sanitari internazionali ne condannano l’utilizzo.
Il nuovo approccio della WPATH
Gli SOC8 escono a dieci anni dall’ultimo aggiornamento (SOC7), in seguito a un lavoro di elaborazione e sintesi ampiamente documentato per garantirne la trasparenza. Le nuove linee guida sono fondamentalmente il frutto di un confronto incrociato tra analisi dei nuovi dati e revisione della letteratura scientifica disponibile, nonché delle esperienze e delle circostanze cliniche. Artefice di questo lavoro è stato un comitato internazionale e multidisciplinare composto da circa 120 membri, esperti in diversi ambiti pertinenti, dall’assistenza sanitaria alla ricerca, inclusi alcuni stakeholder. Per la stesura delle linee guida si è ricorso, infine, al metodo Delphi in modo da raggiungere il consenso professionale del comitato su ogni singola formulazione del testo.
La presenza di stakeholder (circa il 13% del comitato), con esperienza di health advocacy nella cosiddetta comunità transgender in diverse parti del mondo, rappresenta una delle novità metodologiche. Questa è stata introdotta per ampliare la prospettiva sui fattori non clinici che influenzano le decisioni di salute, sia in richiamo al principio sanitario dell’inclusione del punto di vista di pazienti sulle proprie questioni di salute, sia per assicurare una maggiore adattabilità delle linee guida ai differenti contesti a livello globale. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante. La comunità medico-scientifica ha, infatti, ormai riconosciuto che «l’espressione di caratteristiche di genere, incluse le identità di genere, che non sono stereotipicamente associate al sesso assegnato alla nascita è un fenomeno umano comune e culturalmente diverso». Tuttavia, la maggior parte dell’expertise, degli studi e delle evidenze scientifiche riguardo le persone tgd proviene di fatto dal mondo occidentale. Ciò ha imposto al comitato la necessità di tarare, per quanto possibile, i dati e i risultati degli studi. Inoltre, di formulare le nuove linee guida in modo da ridurne il possibile attrito con la varietà delle realtà politico-sanitarie a livello globale. Coerentemente con quest’approccio, uno dei principi cardine dichiarato dagli SOC8 è la “flessibilità” delle linee guida stesse. Di qui, l’invito esplicito al personale e ai programmi sanitari a modificarle eventualmente (in virtù di particolari situazioni individuali, mancanza di risorse, necessità di strategie specifiche di riduzione del danno, ecc.) e in aperta comunicazione, al fine di promuovere la buona pratica sanitaria del processo decisionale informato.
Ma quindi, il capitolo sull’adolescenza?
La creazione di un capitolo dedicato esclusivamente all’adolescenza risponde principalmente a tre ragioni: 1) l’aumento esponenziale delle percentuali di riferimento, 2) l’aumento degli studi in materia su questa fascia di popolazione e 3) le questioni peculiari riguardo lo sviluppo individuale in questa fascia d'età. Scorrendo le specifiche in merito a questi tre aspetti, ci si rende conto sia della loro effettiva rilevanza, sia dei margini di incertezza che ancora li contornano, non ultimo il fatto che non è ancora chiaro in che modo si sviluppi psico-fisiologicamente l’identità di genere. A ragion veduta, la stessa WPATH incoraggia caldamente di promuovere ancora la ricerca in merito.
Passando alle novità più dibattute, le precedenti linee guida diversificavano alcuni criteri minimi a seconda dei tipi di trattamento: reversibili, parzialmente reversibili, irreversibili. Semplificando molto, per i trattamenti ormonali affermativi (estrogeni o testosterone) non era necessario il consenso genitoriale, ma si presupponeva che l’adolescente avesse raggiunto l’età giuridica per le decisioni di salute, con riferimento ai 16 anni, validi in molti paesi (soprattutto occidentali). Per (quasi) tutti i trattamenti chirurgici, invece, era necessario aver raggiunto la maggiore età nel proprio paese. Nella bozza preliminare degli SOC8 rilasciata a dicembre 2021 era stata proposta inizialmente un’altra griglia temporale predefinita, la quale già riduceva l’età minima per i diversi interventi: almeno 14 anni per il trattamento ormonale affermativo, 15 anni per la mascolinizzazione del torace, 16 per la chirurgia facciale, ecc. Eccezioni erano previste in caso di ragioni significative nel quadro del trattamento. Il testo definitivo degli SOC8, invece, ha eliminato totalmente la griglia cronologica. Le uniche due indicazioni temporali esplicite, presenti nella nuova “Dichiarazione delle Raccomandazioni”, sono che «l'esperienza di diversità o incongruenza di genere sia marcata e sostenuta nel tempo». E nel caso di interventi chirurgici, che «l'adolescente abbia seguito almeno 12 mesi o più, se necessario, di terapia ormonale affermativa».
Il nuovo testo però è molto più prodigo nell’esposizione delle specifiche. Le peculiarità del periodo dell’adolescenza giocano un ruolo considerevole in questo caso. Difatti, non è solo percezione comune che si tratti di un’età di grande esplorazione identitaria, slanci avanti e brusche marce indietro. Di conseguenza, la prima specifica dichiara: «è importante stabilire se l’adolescente abbia vissuto diversi anni di persistente diversità o incongruenza di genere prima di iniziare trattamenti meno reversibili come ormoni o interventi chirurgici di conferma del genere». D’altro canto, gli studi scientifici attestano che lo sviluppo del corpo procede spesso in modo sfalsato rispetto allo sviluppo cognitivo, emotivo e psico-sociale. Inoltre, i percorsi individuali sono molto differenti tra loro: c’è chi matura prima e chi matura dopo le capacità necessarie per confrontarsi con tali decisioni di salute, indipendentemente dall’età anagrafica. Coerentemente con ciò, si raccomanda di eseguire una «valutazione biopsicosociale completa» specifica sul caso, continuativa e graduale, calibrando di volta in volta la progressione nella fornitura di interventi più o meno reversibili, in base agli elementi a disposizione. L’approccio alla salute di adolescenti tgd cambia, dunque, baricentro. Viene ridotto notevolmente lo strumento di un quadro temporale predefinito, poco aderente alla realtà dei singoli individui, lasciando più spazio (nonché responsabilità) alla valutazione caso per caso da parte del personale sanitario competente.
Riguardo alla, pur legittima, domanda se non sarebbe stato comunque opportuno che le linee guida stabilissero almeno dei limiti di età arbitrari in via prudenziale, come si fa per esempio con la patente o il consenso sessuale, vanno fatte presente tre considerazioni, di natura bioetica, medico-clinica e politico-sanitaria. La prima è che «consentire la progressione di effetti irreversibili della pubertà in adolescenti che sperimentano l'incongruenza di genere non è un atto neutrale, dato che ciò può avere effetti dannosi immediati e duraturi per tutta la vita». A tal proposito si ricordi quanto già detto sulla valenza cronica della disforia di genere associata a depressione, suicidalità e autolesionismo. La seconda considerazione riguarda la ricerca del miglior approccio per adattare il quadro clinico. «Per adolescenti che abbiano sperimentato incongruenza di genere da breve tempo, la transizione sociale e altri supporti medici […] possono fornire un certo sollievo, oltre a ulteriori informazioni all'équipe clinica in merito alle esigenze di cura di genere». Per quanto ancora pochi in termini statistici, i migliori studi disponibili riportano percentuali estremamente basse di “detransizione” (1,9-3,5%), ossia di interruzione e inversione della terapia di genere. Inoltre, studi recenti indicano che ci sono adolescenti che detransizionano, ma comunque non si pentono di aver iniziato il trattamento, in quanto l’hanno vissuto come parte del loro processo di comprensione. Infine, l’ultima considerazione riguarda il ruolo globale della WPATH e il principio cardine della flessibilità menzionato in precedenza. La definizione della maggiore età, dell’età del consenso, o le condizioni di età che regolano l’accesso ai diversi servizi sanitari possono variare di molto da paese a paese. Basti pensare che nel Regno unito la maggiore età è 18 anni, ma già in Scozia è 16, in altre nazioni è 21, come in Madagascar, in altre ancora varia addirittura a seconda del genere come in Iran: 9 anni quella femminile, 15 quella maschile. Nell’ottica sovrannazionale adottata dalla WPATH, stabilire a priori una griglia temporale predefinita non è quindi producente.
In quest’ordine di idee può essere facile comprendere anche il senso di contemplare l’esclusione genitoriale dal quadro di trattamento, nel caso questa possa essere dannosa per l’adolescente. Sulla base degli studi, gli SOC8 riconoscono che «il sostegno genitoriale e familiare è un fattore predittivo primario del benessere giovanile ed è protettivo per la salute mentale di giovani tgd». Pertanto, se ne incoraggia caldamente il coinvolgimento nel processo di valutazione e definizione del quadro del trattamento, mantenendo una comunicazione aperta e informata lungo tutto il percorso. Al contempo, in virtù dell’origine sociale dei problemi di salute nelle persone tgd, nel caso che il contesto parentale sia eccessivamente “rigettante”, viene contemplata la possibilità che «l’adolescente possa richiedere il coinvolgimento di sistemi più ampi di sostegno e advocacy per andare avanti con il supporto e l'assistenza necessari». Dunque, non viene raccomandato che il personale sanitario disponga del potere legale di esautorare la tutela genitoriale, quanto la possibilità che, su richiesta dell’adolescente, le istituzioni competenti possano farsi carico del suo benessere.
Per concludere, alla luce del nuovo approccio alla salute incentrato sulla valutazione biopsicosociale completa caso per caso, merita sottolineare che gli SOC8 prevedono 7 requisiti minimi di varia natura (diagnostica, valutazione psico-emotiva, consenso informato, ecc.) affinché sia raccomandato l’inizio di una qualsiasi terapia, anche minima, di affermazione di genere. Inoltre, vi sono 15 raccomandazioni riferite al personale sanitario stesso, specialmente in merito al tipo di formazione e specializzazione necessarie, nonché di procedure e buone pratiche sanitarie per un adeguato approccio valutativo e terapeutico. Specialmente in questo consiste il Gold Standard delle cure per la salute di adolescenti e persone tgd.
E ora?
Al netto di tutto, nessun servizio sanitario nazionale è obbligato ad accogliere le nuove linee guida della WPATH (diversi non lo hanno fatto neanche con le precedenti, o solo in parte). Certo, la buona pratica in ambito medico-scientifico suggerirebbe di avviare un processo di confronto, valutazione e aggiornamento sia a livello internazionale da parte dell’OMS, che a livello di istituzioni nazionali, nonché di personale sanitario competente - come del resto suggerito esplicitamente dagli SOC8. Il rischio è che il rimpallo caotico e strumentale dell’attuale dibattito pubblico e politico sulle persone tgd finisca per contaminare radicalmente questo percorso.
Dal punto di vista italiano poi, la situazione è già impantanata di per sé. Nel 2020 il lancio del progetto infotrans (patrocinato da ISS e UNAR) ha costituito un passo avanti, tardivo ma importante, nella centralizzazione e promozione della rete di servizi, includendo, tra l’altro, il riconoscimento (parziale) degli SOC7. Ciononostante, rimangono vari ostacoli nell’aggiornamento del sistema sanitario e, soprattutto, una briglia legislativa. L’esempio più eclatante è il mancato aggiornamento della legge 164/1982. Di fatto, indipendentemente dalle linee guida cliniche, chi ha bisogno di un intervento chirurgico di genere deve ricorre all’avvocatura, attraversare un processo e ottenere una sentenza (e siamo in Italia). Uno scoglio non da poco per ottenere un trattamento di cura, e in ogni caso un iter contemplato solo per le persone adulte. Alla fine, ad andarci di mezzo (ancora una volta) è la salute di persone tgd, fin dall’adolescenza.