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Il ruolo dell’effetto cul-de-sac nell’alluvione in Emilia-Romagna

operazioni di soccorso in alluvione 2023

Dopo l’Emilia-Romagna, quest’anno è il Friuli ad essere colpito dalla pioggia intensa, dove i costi umani ammontano già a due vittime e centinaia di sfollati. Uno studio della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) aggiunge ora un nuovo tassello alla comprensione di ciò che è accaduto nell’emiliano nel 2023 e nel 2024. Si tratta dell’"effetto cul-de-sac”: un’area di bassa pressione ha convogliato aria umida verso la regione per giorni, rimasta intrappolata tra le montagne, portando così a precipitazioni continue. Ne abbiamo parlato con Enrico Scoccimarro, a capo dello studio.

Immagine di copertina: operazioni di soccorso a Coccolia di Ravenna. Crediti: Gabriele Dibiase/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0

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Tornano l’inverno, il conto alla rovescia per il Natale e insieme tornano le paure per allagamenti e inondazioni. Secondo l’ISPRA oltre 8 milioni di persone in Italia vivono in Regioni (Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria) fortemente esposte al rischio di frane e alluvioni, pari a circa il 14% della popolazione (rispettivamente, il 2,2% e il 11,2%). In base a un nuovo studio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), condotto da Enrico Scoccimarro, nel 2023 l’Emilia-Romagna non è stata colpita dalla classica “bomba d’acqua”. Le cause sono da ricercare in un fenomeno più lento, definito dai ricercatori "effetto cul-de-sac”: un ciclone stazionario (un’area di bassa pressione), rimasto intrappolato tra la Corsica e l’Italia centrale per giorni, ha alimentato l’arrivo di aria umida in Emilia-Romagna da sud-est. Quest’acqua, rimasta bloccata dall’orografia locale, è diventata un serbatoio perfetto per la pioggia continua che ha provocato, infine, l’alluvione. In base ai dati emersi dallo studio, pubblicato su Scientific Reports, negli ultimi vent’anni questi fenomeni sono diventati più probabili di quanto fossero quarant’anni fa.

Figura 1 – A destra, la popolazione a rischio frane. A sinistra, la popolazione a rischio alluvioni su base comunale. Fonte: Rapporto ISPRA, 356/2021

Non un evento estremo, ma tre giorni di pioggia media e continua

L’Italia non è nuova a fenomeni meteorologici di questo tipo, soprattutto nel periodo primaverile. «Di solito, in queste stagioni i cicloni transitano in poche ore e, quando si verificano eventi di questa portata, tutta l’acqua che c’è in atmosfera cade nel giro di un giorno», spiega Scoccimarro. «In questo caso, invece, due alte pressioni ai lati hanno bloccato il ciclone per tre giorni, mantenendo costanti per giorni i flussi associati sull’Adriatico (Figura 1) e, da sud-est verso nord-ovest, indotti dal moto ciclonico (antiorario)».

E così, mentre l'acqua cadeva sull’Emilia-Romagna, i venti di scirocco (da sud-est) spingevano umidità verso la regione, riempiendo simultaneamente questo enorme secchio immaginario sulla zona che non si esauriva mai. 


Figura 2 – Il pannello mostra la differenza della convergenza di umidità tra due periodi (1979–1999 e 2000–2020): i colori blu indicano un aumento, rosso una diminuzione. Il riquadro nero indica l’area dove si concentrano i cicloni stazionari considerati dallo studio, con le stelle nere che identificano quelli per il periodo 1979–1999, quelle rosse per il 2000–2020, mentre quelle bianche segnalano differenze statisticamente significative tra i due periodi. Le frecce evidenziano le aree dove l’afflusso di aria umida convogliata dai cicloni tende oggi a concentrarsi maggiormente, indicando una crescente predisposizione del territorio a eventi di questo tipo. Fonte: CMCC, 2025.

«Se guardiamo le serie temporali orarie e giornaliere, quello che è accaduto in Emilia-Romagna non è stato un evento precipitativo estremo», continua il ricercatore. «Anche perché non ci sono stati momenti di convezione profonda (fulmini o saette). Se si considerano, invece, le serie temporali dei dati accumulati su tre giorni emerge un evento che si verifica una volta ogni 500 anni».

Chiusa tra Alpi e Appennini

Un altro aspetto da considerare è che l’Emilia-Romagna — e la Pianura Padana in generale — è un bacino semi-chiuso, circondato a sud dagli Appennini e a ovest dalle Alpi. «Il termine cul de sac si riferisce proprio al fatto che le condizioni orografiche intorno all'Emilia Romagna, le Alpi e gli Appennini hanno fatto sì che la regione diventasse un punto di convergenza d’acqua, intrappolando cioè questo flusso continuo di aria umida che arrivava da sud-est», spiega ancora Soccimarro.

Valori di pioggia tra 3 e 20 mm/h, mantenuti per decine di ore, sono stati sufficienti a provocare allagamenti. Secondo le stime, nell’intero periodo solo in collina sono stati raggiunti 500 millimetri, pari a circa la metà della pioggia che cade in un anno. «Anche perché questi venti tendono a favorire l’accumulo d’acqua nella parte nord dell’Adriatico, aumentando il livello medio mare alla foce dei fiumi e inibendo l’uscita dell’acqua». Infatti, dal 15 al 18 maggio sono stati registrati picchi di marea di quasi 90 centimetri e onde fino a tre metri e mezzo di altezza.

Figura 3 – Precipitazione cumulata osservata dal 1 al 17 maggio 2023, con indicazione dei valori puntuali e dei confini dei territori comunali. Fonte: ARPAE Regione Emilia-Romagna, Rapporto 2023/13 del 16-18 maggio 2023.

Un parametro per i sistemi di allerta precoce

Il team ha sviluppato un nuovo indicatore, la cyclone density persistence, che permette di monitorare la presenza e la persistenza di questo tipo di cicloni, con lo scopo di migliorare le previsioni di eventi precipitativi continui, sia nel breve che nel lungo termine. Tuttavia, questo è uno dei tanti pezzi da mettere insieme nel puzzle per analizzare, comprendere e – si spera – mitigare in futuro eventi come quello che ha interessato l’Emilia-Romagna. In base ai risultati emersi dallo studio, a causa del riscaldamento globale negli ultimi vent’anni questi fenomeni sono diventati più probabili di quanto fossero quarant’anni fa. E tra i fattori in analisi bisogna considerare anche – come fa notare Scoccimarro – il ruolo della saturazione del suolo, l’assenza di condizioni utili per drenare l'acqua, l’ingabbiamento dei fiumi e così via. Per esempio, solo le frane sono state circa 80.000, fra grandi e piccole.

«Al CMCC stiamo testando quanto il nostro modello numerico di simulazione sia capace di rappresentare la cyclone density persistence, integrandolo nel nostro Seasonal Forecasting System», spiega il ricercatore. Un sistema che, lanciato oggi, può dare una stima di come sarà l’andamento medio dei prossimi mesi, nonché della prossima stagione. «A oggi però si tratta di sistemi nascenti, che non raggiungono ancora la risoluzione spaziale delle previsioni meteo (dell’ordine di pochi chilometri), che riescono a rappresentare bene i cicloni. Una metrica di questo tipo applicata all’output di un modello usato per il meteo, potrebbe fornire una previsione sul breve periodo di questa tipologia di eventi, ma la skill è tutta da valutare e tutt’altro che semplice».

Eventi simili all’alluvione del 2023 stanno diventando più probabili e più pericolosi, anche perché molti territori italiani non sono stati progettati per gestire grandi quantità d’acqua. Infrastrutture che ostacolano il drenaggio anziché favorirlo, corsi d’acqua ristretti o modificati, superfici sempre più impermeabilizzate e una scarsa preparazione a gestire eventi lenti ma persistenti contribuiscono a rendere regioni come Emilia-Romagna e Friuli – e l’Italia in generale – intrinsecamente fragili. Di fatto, lo studio del CMCC evidenzia la necessità di rafforzare monitoraggio, sistemi previsionali e strategie di adattamento in tutto il Mediterraneo. Una necessità resa ancora più urgente dal fatto che la nostra area è considerata un hotspot climatico globale, tra i punti del pianeta che si stanno riscaldando più in fretta.

 

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