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Paura della scienza, dalla religione ai no-vax

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Immagine: Paul Fürst, Der Doctor Schnabel von Rome (Fonte: Wikipedia)

Tempo di lettura: 6 mins

Non stupisce che gli evangelici siano contro la scienza. L’interpretazione letterale delle Sacre Scritture rappresenta un forte legame identitario nei gruppi cristiani che si sentono minacciati dalla laicizzazione della cultura. Nella Bible Belt, che va dal Kansas alla Louisiana, l’evoluzionismo è una teoria al pari di quella creazionista e, per salvare il racconto della Bibbia, si può insegnare che l’universo sia stato creato 6.000 anni fa, che le leggi della fisica non siano costanti nel tempo e che i dinosauri continuassero a circolare fino al Medioevo, come d’altra parte dimostrerebbero le pitture che raffigurano San Giorgio e il drago.

Paura della scienza. L’era della sfiducia dal creazionismo all’intelligenza artificiale (Treccani, 2022), di Enrico Pedemonte, è un viaggio “nei luoghi dove si annida la paura nella scienza”, un viaggio fatto di persone e di incontri, di battaglie vinte e perse, di riflessioni su soggetti e oggetti dell’impresa scientifica. La recensione di Renata Tinini.

Conoscendo le leggi spietate del profitto, possiamo capire che gli industriali siano stati spesso contro la scienza. Il marketing delle aziende è riuscito, nel corso dell’ultimo secolo, a vendere soluzioni radioattive per curare l’artrite e il diabete, a reclamizzare i raggi X contro la depressione e dentifrici al radio per denti più bianchi, nonostante i danni delle radiazioni fossero già ampiamente noti. Le strategie utilizzate dall’industria, pur nelle diverse declinazioni, condividono una tecnica: disinformare. Lo fa l’industria del tabacco che semina dubbi sull’effettiva dannosità del fumo con investimenti milionari in progetti destinati a creare incertezze e scetticismo tra il pubblico, lo fa l’industria degli aerosol che difende i CFC erigendosi a paladina del capitalismo e del libero mercato contro gli scienziati bolscevichi che, a detta degli stessi industriali, vorrebbero minare l’American way of life. E lo sta facendo ancora per ammorbidire la necessaria transizione climatica. 

Che anche gli ambientalisti siano stati a più riprese contro la scienza è una conseguenza della polarizzazione emotiva che si è creata relativamente al rapporto uomo-natura e al nostro diritto di manipolare il vivente. Possiamo brevettare esseri viventi? Il Golden Rice salverà veramente la vita di milioni di bambini o le aziende biotech ci stanno ricattando per conquistare nuovi mercati? Possiamo fidarci della Monsanto che durante la guerra del Vietnam produceva il defoliante usato dalle truppe americane contro i vietcong?

I no-vax hanno ovviamente sfiducia nella scienza. Alcuni perché credono ancora nella validità dello studio di Andrew Wakefield sulla correlazione tra vaccini e autismo, nonostante sia stato ampiamente e più volte smentito. Altri perché vedono nei vaccini, soprattutto in quelli recenti contro Covid-19, “armi biologiche”, o addirittura “armi di distruzione di massa”, in un cortocircuito tra posizioni anti potere e anti scienza che dilaga grazie alla pervasività dei social. Talvolta le posizioni si mescolano: gli evangelici sono no-vax perché i vaccini sarebbero sviluppati con feti abortiti, chi diffida del capitalismo guarda con sospetto alla velocità con cui sono stati creati i vaccini.

I filosofi spesso si sono distinti per la pratica del sospetto. In questo esercizio del dubbio metodico, talvolta l’esito non sono le cartesiane idee chiare e distinte ma un attacco al potere che userebbe la scienza per instaurare uno stato d’eccezione, arrivando a paragonare il Green Pass alle leggi razziali, come recentemente sostenuto da Giorgio Agamben. La scienza è la nuova religione da abbattere, strumento subdolo del totalitarismo che controlla attraverso la medicina il corpo vivente di noi umani. Siamo lontani anni-luce dall’esaltazione illuministica della scienza, grimaldello contro la superstizione e viatico kantiano per “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità”. La lettura sociologica derubrica il discorso scientifico a narrazione, a costruzione intersoggettiva socialmente condivisa. Bruno Latour - appena mancato - ha contribuito a seppellire le pretese di verità e oggettività. La post-verità non aiuta la scienza.

Ma il vero affondo di Enrico Pedemonte al lettore di Paura della scienza. L’era della sfiducia dal creazionismo all’intelligenza artificiale (Treccani, 2022) arriva al sesto capitolo, dove ci viene detto che anche gli scienziati sono contro la scienza. L’ossimoro non vuole seminare sconcerto ma riportare lo scienziato alla sua umanità, che in questo caso va intesa come fallibilità. Gli scienziati sbagliano, mentono, truffano, manipolano. Non tutti, anzi pochissimi, ma ne basta uno per incrinare il santino. Gli scienziati devono pubblicare tanto e in fretta, le peer review non sono sempre attendibili, la crescente privatizzazione della ricerca scientifica fa sì che la si associ al potere e non al bene pubblico. Sono i finanziamenti privati a decidere i progetti di ricerca e si stanno erodendo i quattro pilastri su cui secondo il sociologo Robert Merton si regge la fiducia nella scienza: universalismo, comunalismo, disinteresse e scetticismo organizzato.

Il direttore di The Lancet, Richard Horton - lo stesso che aveva pubblicato il discusso articolo di Wakefield sulla correlazione tra vaccino e autismo - auspica un “giuramento di Ippocrate” per gli scienziati, tema già espresso da Bertolt Brecht nel suo Vita di Galileo, dove lo scienziato pisano così si rivolge ad Andrea Sarti:

Se io avessi resistito, i fisici avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile al giuramento d’Ippocrate: il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell’umanità. (…) Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza

Il viaggio di Pedemonte nei luoghi dove si annida la paura nella scienza è fatto di persone e di incontri, di battaglie vinte e perse, di riflessioni su soggetti e oggetti dell’impresa scientifica, visti con il rigore dello scienziato e la curiosità del giornalista (ma anche con la curiosità dello scienziato e il rigore del giornalista sul campo). Laureato in fisica, Enrico Pedemonte è stato a lungo temuto e venerato caposervizio scienza de L'Espresso, quando L'Espresso era L'Espresso.

Verso la fine il libro compie un’apparente deviazione e si avventura nel campo forse più affascinante e inquietante dell’impresa scientifica: la cosiddetta intelligenza artificiale. Tra progetti antropologici che mirano a una simbiosi tra vita fisiologica e intelligenza artificiale, visioni di “soluzionismo tecnologico” in cui i dati sono il nuovo petrolio, applicazioni di riconoscimento facciale utilizzate dai governi, algoritmi che stravincono a scacchi e a Go, database open source di strutture proteiche, il lettore non sa se esultare o preoccuparsi. Verso la fine del libro si tirano le fila di quello che, ormai è chiaro, più che un excursus nella scienza è stato una riflessione sul potere e sull’uso della scienza che il potere ha fatto e sta facendo. La rete è un grande esperimento di anarchia o è il luogo dove i poteri (politici, economici) si esercitano attraverso la propaganda e la manipolazione? Il flusso ininterrotto di informazioni vere e false aiuta la democrazia o è un modo per annegarla nell’indistinto?

Se è ancora valido il motto di Francis Bacon “sapere è potere”, chi detiene oggi la conoscenza? E quindi il potere?

 


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