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L’IRA di Biden inaugura una corsa agli armamenti per l’energia pulita

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Crediti: National Renewable Energy Lab via Flickr CC BY-NC-ND 2.0

Il primo febbraio la Commissione europea ha presentato il Green Deal Industrial Plan for the Net-Zero Age considerata la risposta europea all’Inflation Reduction Act (IRA), il più grande investimento pubblico della storia statunitense per la lotta al riscaldamento globale, approvato il 16 agosto 2022. Il piano europeo si inserisce nel contesto del Green Deal europeo e del REPowerEU, e si basa su quattro pilastri: contesto normativo prevedibile e semplificato, accelerazione dell’accesso ai finanziamenti, miglioramento delle competenze e libero scambio per catene di approvvigionamento resilienti. Il quadro sarà completato dal Critical Raw Materials Act, la legge sulle materie prime critiche, che mira a garantire un accesso sufficiente a quei materiali, come le terre rare, che sono vitali per la transizione energetica. Dietro l’accelerazione ai finanziamenti si nasconde in realtà un punto controverso tra gli stati membri, ovvero l’allentamento delle norme sugli aiuti di Stato, tema su cui la Commissione sta consultando gli Stati membri.

Dall’altra parte dell’Atlantico, l’IRA di Biden stanzia fondi per 737 miliardi di dollari, di cui 369 sotto forma di sussidi per promuovere tecnologie per l’energia pulita come veicoli elettrici, batterie, idrogeno, accumulo di energia e trasmissione, prodotte negli Stati Uniti. Per quanto riguarda i veicoli elettrici, non solo devono essere assemblati negli USA, ma, per ottenere i sussidi, anche i minerali critici e le batterie devono essere sempre acquistati da aziende presenti negli Stati Uniti o da un paese con cui gli Stati Uniti hanno un accordo commerciale preferenziale. Inoltre, l’IRA scoraggia l'approvvigionamento da paesi ad alto rischio come la Cina. Questi ultimi aspetti hanno provocato la reazione di altri paesi che hanno cercato di rispondere con azioni analoghe scatenando quella che alcuni definiscono una vera propria "corsa agli armamenti per l'energia pulita", come la definisce nel suo report Carbon Brief.

L'IRA di Biden... e l'ira di Macron e Scholz

Dopo una prima fase, in cui il piano di Biden era stato accolto positivamente sia a livello nazionale sia internazionale, i primi a protestare sono stati i sudcoreani nel mese di settembre 2022, poiché i veicoli elettrici prodotti da Hyundai in Corea del Sud resterebbero esclusi dal credito d'imposta previsto dall'IRA. Sul fronte europeo i più attivi sono stati il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron. Già a fine ottobre i due erano d’accordo sul fatto che l'UE non poteva rimanere ferma se Washington portava avanti il ​​suo piano. Sempre il presidente francese a dicembre ha accusato l’IRA di “frammentare l’Occidente”.

Il piano americano, infatti, esclude dal mercato anche prodotti europei, e sebbene Biden neghi che questo fosse l’obiettivo, alcune aziende europee hanno iniziato a investire negli Stati Uniti. La BMW ha annunciato un investimento di quasi 2 miliardi di dollari nella Carolina del Sud alla fine dello scorso anno, mentre Enel ha annunciato che costruirà una fabbrica di moduli e celle fotovoltaiche negli Stati Uniti per un investimento stimato di circa un miliardo di dollari e che dovrebbe creare 1500 posti di lavoro, con una capacità produttiva iniziale di almeno 3 GW all’anno e che può aumentare fino a 6 GW, il doppio dello stabilimento aperto a Catania che, con la sua produzione di 3 GW e 1000 posti di lavoro, tra diretti e indiretti, è il più grande d’Europa. Northvolt, una azienda svedese leader in Europa nel settore delle batterie a litio, ha dichiarato di voler espandere la produzione in America. Iberdrola, una società energetica spagnola, sta investendo il doppio in America rispetto all'Unione Europea. In tanti temono che la combinazione tra alti costi energetici in Europa e sussidi americani esponga il Vecchio Continente al rischio di deindustrializzazione di massa.

La reazione europea, in ordine sparso

La preoccupazione per gli effetti dell’IRA è giunta sino a Bruxelles. Infatti, il 25 ottobre 2022 Bjoern Seibert, capo di gabinetto della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ha incontrato a Berlino il vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Mike Pyle, per discutere una serie di questioni prioritarie, tra cui la ricostruzione dell'Ucraina. Inoltre, durante l'incontro, Seibert e Pyle hanno lanciato la task force USA-UE sull'Inflation Reduction Act per affrontare le preoccupazioni sollevate dall'UE in relazione all'IRA.

Il 25 novembre dello scorso anno, il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis, durante il discorso tenuto alla riunione del Foreign Trade Council, ha affermato che molti dei "sussidi verdi" dell'IRA «discriminano le industrie automobilistiche, delle rinnovabili, delle batterie e ad alta intensità energetica dell’UE» e ha chiesto che le società e le esportazioni dell'UE siano «trattate negli Stati Uniti nello stesso modo in cui le società e le esportazioni americane sono trattate in Europa».

A inizio dicembre era circolata l’ipotesi che l’UE sollevasse la questione dell'IRA presso l'Organizzazione mondiale del commercio, mentre il presidente francese ha rilanciato l'idea, già proposta nel 2017, di un "Buy European Act". In un discorso al World Economic Forum di Davos, la von der Leyen ha affermato che l'UE deve aumentare i fondi per le tecnologie pulite per contrastare la politica di aiuti americana e ha proposto modifiche temporanee alle norme sugli aiuti di Stato.

Sette Paesi dell'UE, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Austria, Irlanda, Estonia e Slovacchia, il 27 gennaio, hanno inviato una lettera al vice presidente della Commissione UE Valdis Dombrovskis in cui si oppongono a nuovi fondi comuni dell'Unione per sostenere la transizione verde, come risposta ai sussidi previsti dall'IRA. Tra le ragioni che hanno spinto i firmatari ad assumere questa posizione vi è il timore di causare “inutili tensioni” con gli Stati Uniti, il rischio che i sussidi mettano in pericolo la "parità di condizioni" del mercato unico scatenando una competizione di sussidi tra i singoli Stati membri dell’Unione, oltre ad essere dannosi per le finanze pubbliche. Inoltre, un altro elemento di perplessità per questi paesi, è che «fino ad ora sono stati utilizzati solo circa 100 miliardi di euro dei 390 miliardi di euro di sovvenzioni del Piano di ripresa e resilienza» e che «c’è ancora una capacità di prestito inutilizzata disponibile nel PNRR».

Il piano europeo pubblicato il primo febbraio include proposte per aumentare i livelli di aiuti di Stato per consentire all'Europa di competere con gli Stati Uniti come hub di produzione di veicoli elettrici. Von der Leyen ha proposto di allentare le regole sugli aiuti di Stato per gli investimenti nelle energie rinnovabili fino alla fine del 2025, riconoscendo anche che non tutti i paesi dell'UE saranno in grado di offrire sussidi nella stessa misura della Francia o della Germania. Gli Stati membri dell'UE decideranno se vogliono sostenere le proposte della Commissione al vertice del 9-10 febbraio.

Le risposte di UK, Canada e potenze asiatiche al protezionismo USA

Anche nel Regno Unito la misura statunitense ha suscitato un certo clamore, sebbene in misura ridotta rispetto all’UE. Per esempio, parlando all'incontro annuale del World Economic Forum a Davos, il segretario agli affari Grant Shapps ha descritto l'IRA come «pericolosa perché potrebbe scivolare nel protezionismo». Sullo stesso tono il cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt: «Sì, abbiamo qualche preoccupazione per l'Inflation Reduction Act e il motivo è che crediamo nel libero scambio». Un articolo del Daily Telegraph ha rilevato che il Regno Unito rischia di finire "nel fuoco incrociato" in una guerra di sussidi tra UE e USA. Secondo Bloomberg il Regno Unito esprime le sue preoccupazioni privatamente agli Stati Uniti e i ministri degli affari e del commercio hanno tenuto riunioni con le loro controparti statunitensi per affrontare la questione. Nel frattempo, il partito laburista all'opposizione ha iniziato a spingere per un'azione più decisa.

Il Canada ha annunciato l'intenzione di istituire «un credito d'imposta fino al 30% per gli investimenti in tecnologie pulite, batterie e idrogeno pulito». Tuttavia, dopo le preoccupazioni iniziali, in cui i canadesi temevano che i crediti d'imposta sui veicoli elettrici fossero applicate solo alle case automobilistiche statunitensi, la formulazione finale dell’IRA parlava di società "nordamericane", aprendo così a Canada e Messico.

La Cina, se da una parte critica fortemente la misura americana, accusando gli Stati Uniti di provocare una guerra commerciale, dall’altra cerca una sponda nell’Unione Europea. Anche il ministro del commercio della Corea del Sud si rivolge all’UE per collaborare contro il provvedimento americano, sottolineando la "struttura miope" e "discriminatoria della legge" che potrebbe colpire i produttori europei e coreani. Tuttavia, il ministro osserva anche come alcune delle proposte dell’UE siano simili all’IRA.

In India la questione non ha suscitato grande attenzione mediatica. Tuttavia, il governo ha risposto con un budget che pone in primo piano la "crescita verde" e le sovvenzioni per la produzione interna di rinnovabili. In un articolo sulla rivista Time, Amitabh Kant, lo sherpa indiano del G20, ha descritto l'IRA come «l’atto più protezionista mai redatto al mondo». Kant ha invitato gli Stati Uniti a ripensare la propria legislazione e a trovare una via d'uscita per i propri partner fidati, inclusa l'India. L'India ricopre l'attuale presidenza del G20 e Kant ha affermato di voler utilizzare il forum per discutere problemi, risolvere divergenze e sviluppare le regole per l’idrogeno verde che l'India vuole esportare nel mondo.

Una NATO della transizione energetica

Nonostante le critiche, gli Stati Uniti hanno difeso l’IRA rassicurando gli alleati e offrendo qualche concessione in occasione di incontri bilaterali, come avvenuto con il presidente Macron. Ma per la maggior parte gli Stati Uniti rimangono irremovibili sul fatto che la legge sia in realtà un enorme vantaggio per altri paesi. L'enorme investimento americano nell'IRA ridurrà il costo della tecnologia dell'energia pulita non solo per gli Stati Uniti ma anche per il resto del mondo. In tal modo, dicono i funzionari americani, gli Stati Uniti stanno pagando il conto dei costi di ricerca e sviluppo dell'energia verde per tutti gli altri.  Ciò che si va prospettando sarebbe insomma una sorta di NATO della transizione energetica.

In questo scenario, rimane incerto quale possa essere l’effetto di questa corsa ai sussidi nella lotta al cambiamento climatico. Secondo l’EU Observer, gli esperti sono divisi tra chi sostiene che questa gara ai sussidi potrebbe tradursi in una corsa al ribasso, poiché le aziende potrebbero minacciare di trasferirsi all'estero a meno che non ricevano sussidi sempre più alti, e chi ritiene invece che il pianeta possa trarre vantaggio da questa competizione verde.

 


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