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Gli occhi dei satelliti puntati sulla crisi climatica

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I satelliti sono strumenti essenziali per monitorare il cambiamento climatico e quindi capire come intervenire per tutelare la Terra. Ne hanno parlato esperti della European Space Agency e dell’Agenzia Spaziale Italiana all’evento: “Il pianeta che cambia: uno sguardo dall'alto”, organizzato dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci.

Certe volte osservare da lontano ci consente di veder più chiaramente. Soprattutto se si può osservare al di là di quanto è visibile a occhio nudo. Per questo i satelliti artificiali sono alleati fondamentali anche per capire lo stato di salute del nostro pianeta: i loro sguardi, negli infrarossi e nelle microonde, possono ricostruire infatti campi gravitazionali, flussi oceanici e altri aspetti utili per monitorare la crisi climatica e capire le azioni da mettere in atto per tutelare la Terra. Questo il tema dell’incontro: Il pianeta che cambia: uno sguardo dall'alto, tenutosi il primo ottobre durante la PreCOP26 al Museo della scienza e della tecnologia di Milano. «Vi deluderò, questa volta parlerò della Terra» ha esordito l’astronauta Luca Parmitano mostrando le sue foto del ghiacciaio del Gorner e immagini della terra prese dalla stazione spaziale a una sala piena di ragazzi delle scuole. Che una volta tanto parevano invece molto incuriositi, perché la carrellata delle immagini satellitari mostrate dai vari relatori - in prevalenza dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e della European Space Agency (ESA) - hanno dato concretezza all’eco-ansiety che ha serpeggiato a Milano nelle manifestazioni di Youth4Climate. «Il satellite non mente» ha detto Laura Candela (Unità Downstream e Servizi Applicativi e Responsabile Coordinamento degli Utenti, ASI), che insieme agli altri rappresentanti della due agenzie ha passato in rassegna i diversi programmi di osservazione satellitare terrestre, che ormai costituiscono la voce più importante degli investimenti di ricerca delle due agenzie. Uno sguardo che non è più solo guidato dalla curiosità ma che si è tramutato negli anni in «uno sguardo di cura» verso un pianeta che si trova ormai nel mezzo non di un “cambiamento” ma di una “crisi” climatica, come ha ben sintetizzato Elena Grifoni-Winters di ESA.

L'ESA si occupa dell'osservazione della Terra sin dal 1977. Negli ultimi 40 anni ha lanciato diversi tipi di satelliti, che hanno aiutato ad approfondire la conoscenza scientifica e a monitorare il cambiamento climatico. Credit: ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0

Cosa possiamo vedere con i satelliti

Sono molti i satelliti che aiutano a valutare lo stato di salute della Terra. Situati in genere a 800 chilometri d’altezza, al limite dell’atmosfera terrestre, sono dotati di tecnologie che consentono loro di vedere molto più di quello che osserviamo noi che stiamo rasoterra, anche a dispetto dalle condizioni meteo e della luce solare.

I satelliti Copernicus, firmati ESA, monitorano terra, oceano e atmosfera. Sentinel-1A, Sentinel-1B, Sentinel-2A e Sentinel-2B danno informazioni sulla superficie terrestre, sull’estensione della vegetazione, la navigabilità e altri aspetti relativi al territorio, utili anche in caso di emergenze. Sentinel-3A, Sentinel-3B e Sentinel-6 si occupano principalmente dei mari, monitorandone la topografia, il colore, la temperatura: è grazie a loro che conosciamo bene l’impatto del riscaldamento degli oceani e il loro innalzamento pari a 3-5 mm ogni anno. Sentinel-4, Sentinel-5P e Sentinel-5 valutano invece la composizione e la qualità dell’aria, vedendo nell’infrarosso e nell’ultravioletto. Ci hanno informato, quindi, dell’aumento pari al 9% della CO2 atmosferica avvenuto negli ultimi 15 anni.

Anche altre missioni dell’ESA sono utili al monitoraggio del clima, come Aelous, che consente l’osservazione dei venti, e Swarm, dedicata alle mappature del campo magnetico terrestre e delle correnti elettriche presenti nell’atmosfera. GOCE monitora il campo gravitazionale terrestre, aiutando a comprendere la circolazione oceanica, implicata nel cambiamento climatico perché distribuisce calore sulla superficie terrestre. SMOS, infine, analizza l’umidità dei suoli e la salinità dei mari, per capire lo stato di salute delle acque e degli ecosistemi.

Altri satelliti artificiali utili per il monitoraggio della Terra sono stati sviluppati in Italia. L’ASI è infatti madre dei satelliti dell'operazione COSMO-SkyMed, che sfruttano radar per monitorare coste, acque, vegetazione e catastrofi ambientali come le inondazioni. Sono utili, ad esempio, per realizzare mappe e gestire i raccolti e le situazioni di emergenza. È opera dell’ASI anche PRISMA, capace di indagare la composizione di ciò che osserva. Grazie a questo satellite ci è possibile, ad esempio, valutare lo stato delle risorse naturali e l’inquinamento della Terra.

Il 30 ottobre 2016, un terremoto di magnitudo 6,5 ha colpito il Centro Italia. Le immagini di Copernicus Sentinel-1 raccolte tra il 25 ottobre e l'1 novembre hanno consentito di misurare con precisione lo spostamento del suolo. Credit: modified Copernicus Sentinel data (2016)/ESA/CNR-IREA, CC BY-SA 3.0 IGO

I satelliti e la cittadinanza scientifica

La straordinaria mole di dati fornite dai satelliti (c he il presidente ASI Giorgio Saccoccia si è peritato di quantificare in «20 milioni di Divine Commedie al giorno») si sommano alle misurazioni effettuate sulla Terra per realizzare un modello digitale del nostro pianeta. Da qualche anno i ricercatori lo chiamano Digital Twin Earth, una «Terra gemella» alla nostra elaborata grazie all’intelligenza artificiale, che probabilmente consentirà di prevedere e conseguentemente rispondere ai cambiamenti generati da scenari modellistici molto più accurati di quelli attualmente usati dai climatologi. Già oggi sappiamo, ad esempio, che nei prossimi 40 anni scompariranno un buon numero dei 32.000 ghiacciai osservati dai satelliti ESA, o che atolli come le Maldive verranno sommerse. Ma saranno i nuovi sviluppi generati dall’insieme di osservazione satellitare e applicazioni di intelligenza artificiale che ci metteranno in grado di capire dove e quando si verificheranno questi e altri eventi estremi e forniranno le basi documentali per azioni di adattamento e resilienza più mirate e tempestive.

Come ha sottolineato il direttore del Museo Leonardo da Vinci, Fiorenzo Galli, l’osservazione continua di questo «pianeta bello e fragile» sta già radicando nella comunità più attenzione alle emergenze ambientali, e in definitiva una maggiore cittadinanza scientifica.


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