fbpx 4 aprile: il perché di una giornata mondiale contro mine e bombe inesplose | Scienza in rete

4 aprile: il perché di una giornata mondiale contro mine e bombe inesplose

Tempo di lettura: 8 mins

Nell'attuale frangente geopolitico è più che mai significativa la ricorrenza del 4 aprile, la Giornata mondiale di promozione dell’azione contro le mine e gli ordigni bellici inesplosi, istituita dalle Nazioni Unite con l'intento di mantenere all'ordine del giorno un argomento d'interesse planetario.

 

In copertina: Los Desatres de la Guerra, Francisco Goya. Crediti: Wikimedia Commons

Negli attuali frangenti geopolitici è più che mai significativa la ricorrenza del 4 aprile, la Giornata mondiale di promozione dell’azione contro le mine e gli ordigni bellici inesplosi, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2005 con l'intento di mantenere all'ordine del giorno un argomento d'interesse planetario. Dopo ogni guerra, comincia un lungo lavoro di sminamento e di spolettamento: l'ONU calcola che, per ogni giorno di combattimenti, ce ne vogliano trenta di bonifica degli ordigni inesplosi, comprese le bombe sganciate dagli aerei. Chi pone in atto un bombardamento sa, a priori, che non tutti gli ordigni sganciati esploderanno: una parte di essi (fino al 25%) sprofonderà nel terreno minacciando, nei decenni futuri, i figli e i nipoti dei nemici.

In Italia, gli incidenti da esplosivi bellici non si sono ancora esauriti (il bilancio del 2023 è di 5 morti, tra cui un bambino di dieci anni, e di diversi feriti) e i ritrovamenti continuano: tra il 2017 e il 2022, l'esercito ha svolto più di 13.000 interventi. Secondo i dati dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra (ANVCG), il territorio italiano è contaminato da oltre 250.000 ordigni bellici inesplosi: 25.000 sono bombe d'aereo, interrate tra i cinque e gli otto metri di profondità e gli altri sono mine, granate, bombe a mano e munizioni di armi pesanti sepolte o abbandonate sul fondo di fiumi dalle truppe in ritirata.

620 morti per sminare l'Italia dopo la guerra

È la lunga eredità della decisione di Mussolini, proclamata il 10 giugno 1940: «La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia; scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano». A partire dal giorno successivo, col primo bombardamento della RAF su Genova, fino al 4 maggio 1945, data dell'ultimo bombardamento sulle colonne tedesche in fuga, le forze alleate sganciarono sull'Italia 378.891 tonnellate di bombe (il 13,7% del totale europeo). Due milioni di mine, di 60 tipi diversi, furono trovate e disinnescate sul territorio nazionale subito dopo la fine delle ostilità, soprattutto lungo la linea Gotica e le zone di Cassino e di Anzio. Quell'imponente bonifica fu costosa in termini di uomini (620 morti e 844 feriti o mutilati tra gli sminatori), di tempo e di mezzi, in carenza dei quali gli ordigni trovati in prossimità delle zone portuali vennero semplicemente gettati in mare. Il fondale, d'altronde, ne era già pieno: andandosene, l'esercito americano aveva abbandonato nei mari italiani quantità mai specificate di armamenti, tra cui bombe contenenti fosgene, cloruro di cianuro e cianuro idrato.

Oggi esistono centinaia di modelli di mine terrestri antiuomo, la cui detonazione si basa su vari principi come pressione, rilevazione di movimento, suono o vibrazioni. Dal 1999, l’uso, la produzione, la vendita e il trasferimento di mine anti-persona sono vietati dalla Convenzione di Ottawa, che impegna gli Stati a distruggerne gli stock e a bonificare le aree minate. La Convenzione è stata ratificata da 164 Stati (Stati Parti); non è stata firmata da 33, tra i quali Arabia Saudita, Cina, Emirati arabi, India, Iran, Israele, Pakistan, Russia, Siria e Stati Uniti. Per il ruolo cruciale nell'ideazione e nella stesura della Convenzione di Ottawa, nel 1997 è stato assegnato il Premio Nobel per la pace alla coalizione di organizzazioni non governative International Campaign to Ban Landmines (ICBL) fondata nell'ottobre del 1992 da Jody Williams. L'ICBL monitora la produzione, l'installazione e il rinvenimento delle mine nel mondo e il rispetto delle clausole del trattato di Ottawa da parte dei paesi firmatari; il monitoraggio riguarda anche le munizioni a grappolo.

Più di 4.000 morti all'anno da mine

Nel novembre 2023, il Landmine & Cluster Munition Monitor ha presentato a Ginevra il suo 25° rapporto annuale, relativo all'anno 2022. La lista aggiornata dei paesi produttori di mine antiuomo comprende Armenia, Cina, Cuba, India, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Singapore, Corea del Sud e Vietnam. Nessuno di questi Stati è parte del trattato di Ottawa. Secondo il rapporto (al quale, peraltro, hanno fornito le pattuite relazioni annuali meno della metà delle parti) nel 2022 sono state vittime di mine antiuomo o di ordigni bellici inesplosi (Explosive remnants of war, ERW) 4.710 persone (1.661 morti e 3.015 feriti) in 49 Stati, di cui 37 aderenti al trattato. Laddove è stato possibile determinarlo, i civili hanno rappresentato l’85% delle vittime, la metà delle quali erano bambini (1.171). La Siria, Stato non Parte, ha registrato il maggior numero di vittime annuali (834) per il terzo anno consecutivo. Lo Stato Parte dell’Ucraina ha registrato il secondo totale più alto (608). Seguono Yemen (Stato Parte) e Myanmar (Stato non Parte), in ciascuno dei quali si sono registrate più di 500 vittime. Hanno ufficialmente completato la distruzione delle scorte (complessivamente 55 milioni di mine terrestri antiuomo) 94 Stati Parti. Grecia e Ucraina stanno violando il trattato, poiché possiedono un totale di circa 3,6 milioni di mine anti-persona ancora da distruggere. Nel 2022 vi è stato un finanziamento record dell’azione contro le mine, pari a 913,5 milioni di dollari, con un aumento del 52% rispetto a quello del 2021. I maggiori donatori restano gli Stati Uniti (Stato non Parte), seguiti dall'Unione Europea; nel pool dei 15 maggiori finanziatori (che danno il 97% di tutto il sostegno) è entrata l'Arabia Saudita (Stato non Parte). Dal 2018, Afghanistan, Cambogia, Colombia, Iraq, Laos e Siria sono ogni anno tra i maggiori beneficiati; l'Ucraina è salita in cima alla lista dei paesi che ricevono assistenza (le è stato destinato il 20% del totale del finanziamento); anche lo Yemen ha scalato la lista. Le motivazioni delle elargizioni sono l'assistenza sanitaria e il recupero sociale delle vittime, l'educazione delle popolazioni in pericolo e, principalmente, la bonifica dei territori. Finora, un totale di 30 Stati Parti ha dichiarato di aver bonificato tutte le aree minate del proprio territorio.

Contaminazione di mine antipersona, Landmine and Cluster Munition Monitor

Afghanistan, Bosnia ed Erzegovina, Cambogia, Croazia, Etiopia, Iraq, Turchia e Ucraina hanno segnalato almeno 180 km² di terreni contaminati. Già da prima dell'invasione russa, l'Ucraina era tra i paesi più minati al mondo; ora, i terreni contaminati da mine occupano il 30% del Paese. Dal febbraio 2022, la Russia (che non ha firmato il trattato) ha utilizzato ampiamente le mine antiuomo in Ucraina che ha, a propria volta, utilizzato gli ordigni nel conflitto in corso, nell'oblast di Kharkiv sotto il controllo russo.

Grappoli di morte

Una minaccia a lungo termine per l'incolumità dei civili non inferiore a quella dalle mine è costituita dalle bombe a frammentazione o a grappolo (cluster), grossi ordigni che possono essere sganciati da mezzi aerei come cacciabombardieri ed elicotteri oppure lanciati da terra, da sistemi di artiglieria, lanciarazzi e lanciamissili. Sono definite “armi di saturazione d'area” perché, a un'altezza preimpostata, esplodono in aria, lanciando in un raggio anche di oltre 40 km (l'estensione varia in base alla quota e alla velocità) molte decine di submunizioni. In passato, alcune submunizioni erano state concepite come mine terrestri: per la loro forma, disegnata per rallentare la velocità di caduta dopo il lancio dagli elicotteri, la popolazione afgana chiamava “pappagalli verdi” le PFM-1 (Prativapekhatnaja Fugasnaja Mina, antiuomo ad alto esplosivo), fabbricate in URSS sul modello dell'americana BLU-43/B o Dragontooth, massicciamente impiegato in Vietnam. Oggi, la quasi totalità delle cluster bomb è progettata per esplodere all'impatto col suolo o con il bersaglio, ma quelle che cadendo non esplodono s'interrano parzialmente rimanendo invisibili, con effetti finali più letali di quelli delle mine anti-persona. I produttori dichiarano percentuali di questo malfunzionamento (detto “tasso di fallimento”) al massimo del 5%, ma l'esperienza di bonifica riferita dalla Croce Rossa prova tassi notevolmente più alti, non inferiori al 15-20% e che sono arrivati al 40-45% in alcune località dell'Afghanistan.

Le munizioni a grappolo hanno eluso il divieto di produzione, vendita o stoccaggio fino al 2010, anno in cui è stato finalmente raggiunto il numero minimo (30) di nazioni firmatarie, necessario a far entrare in vigore la Convenzione di Oslo. A luglio 2023, la Convenzione risultava ratificata da 111 paesi (tra cui l'Italia) e firmata da altri 12; non vi hanno aderito 73 Stati tra i quali importanti produttori di munizioni e loro componenti, come Stati Uniti, Cina, India, Russia, Israele, e Pakistan. In un memorandum del marzo 2003 dell'organizzazione umanitaria e di ricerca Human Rights Watch, l'Italia figurava tra i 57 Paesi del mondo (13 nell'Unione Europea) noti per avere nei propri arsenali munizioni cluster ma, finora, l'Aviazione militare italiana non ha mai impiegato questo tipo di bombe, neanche in esercitazione. Nel 2021, il parlamento italiano ha varato la legge 220, “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo”.

Anche se vietate, le bombe a grappolo vengono usate nella guerra russo-ucraina

Secondo il rapporto 2023 del Landmine & Cluster Munition Monitor, la Russia ha utilizzato ampiamente le munizioni a grappolo contro l’Ucraina e le forze ucraine l'hanno fatto a loro volta: l’Ucraina, che le considera «armi legali» e «una componente importante delle capacità di difesa», ne possiede una scorta ereditata dall’ex Unione Sovietica e, dopo l’invasione russa del febbraio 2022, ha chiesto pubblicamente di riceverne altre. Nel luglio 2023, l'amministrazione Biden ha annunciato che avrebbe trasferito all'Ucraina una quantità non specificata delle scorte degli Stati Uniti di munizioni a grappolo con tasso di fallimento storicamente attestato al 6-14% (ma più elevato in caso di vento, terreno soffice o fitta vegetazione). Anche se l’Ucraina ha assicurato che manterrà un registro rigoroso delle aree in cui utilizza munizioni a grappolo, che avranno la priorità nello sminamento, la decisione degli Stati Uniti è stata criticata dall'ONU e dalla Cluster Munition Coalition (CMC). Secondo indagini indipendenti condotte dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), munizioni a grappolo erano già state utilizzate nell'Ucraina orientale dalle forze governative ucraine e dalle forze antigovernative appoggiate dalla Russia dal luglio 2014 fino al cessate il fuoco del febbraio 2015, ma nessuna delle parti in conflitto ha accettato una propria responsabilità.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La favola del taglio dei posti letto e degli ospedali in Italia

È di pochi giorni fa un appello del Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani, secondo cui «Si stima che, negli ospedali italiani, manchino almeno 100mila posti letto di degenza ordinaria e 12mila di terapia intensiva». Ma è giustificata quest'implicita richiesta? 
Le politiche di riduzione dei posti letto e degli ospedali sono iniziate già nel Piano Sanitario Nazionale 2003-2005, per trasferire al livello territoriale parte dei ricoveri e della loro durata. Molti altri paesi hanno meno posti letto rispetto all’Italia, che rimane nelle migliori posizioni quanto a vita attesa alla nascita, mortalità evitabile e indicatori di qualità dei servizi.

Crediti immagine: Levi Meir Clancy/Unsplash

Nei media generalisti, e purtroppo anche di settore, che si occupano di sanità pubblica in Italia, cioè praticamente tutti in questo periodo, si favoleggia del taglio dei posti letto ospedalieri e di interi ospedali in Italia. Basta usare come parole chiave “taglio posti letto in Italia” con qualunque motore di ricerca ed escono interventi degli ultimi giorni su Fanpage, la Stampa e Quotidiano Sanità.