Una dieta
basata su una rigida restrizione di calorie non è sufficiente a
garantire un allungamento delle aspettative di vita. Lo dimostrano i risultati
di uno studio condotto presso il National Institute on Aging, istituto che si occupa di
verificare gli eventuali effetti di allungamento di vita in diverse specie
animali, che possano poi essere traslati anche agli esseri umani.
La ricerca, guidata da Julie A. Mattison e pubblicata sulla rivista Nature, è in grado di
smentire i precedenti studi nel settore. Le prime ipotesi sul rallentamento del processo di invecchiamento risalgono al 1930, quando ricercatori della Cornell University annunciarono di aver osservato maggiori aspettative di vita nei topi e nei ratti dal 10 al 40%, dopo aver tagliato l'apporto di calorie. Più di recente, nel 2009, il gerontologo Richard Weindruch della Università del Wisconsin ha dimostrato che una dieta di questo tipo più moderata, riesce a rallentare la vecchiaia dei macachi lungo un percorso di 20 anni. Tuttavia, i dati dello studio dell'NIA suggeriscono che questo tipo di restrizione consente di ottenere benefici di altro tipo, risultanti in un miglioramento complessivo delle condizioni di
salute e nelle funzioni generali di
metabolismo.
I risultati delle osservazioni sulle scimmie analizzate, infatti, segnalano piuttosto un ritardo nell'insorgere di malattie associate all'età, come il diabete, cancro e malattie cardiovascolari. Una differenza così drastica rispetto alle ricerche del passato, secondo gli autori, può essere individuata nella composizione sia quantitativa che qualitativa delle diete - simili nel contenuto di carboidrati e proteine, mentre l'INA ha ridotto molto gli zuccheri rispetto al passato, ad esempio. Viene suggerito, inoltre, che gli effetti della dieta su eventuali variazioni di età, non possono che essere associati anche a fattori di tipo ambientale e genetico.
