fbpx Tutta colpa di Giove | Page 2 | Scienza in rete

Tutta colpa di Giove

Read time: 2 mins

Un gruppo di scienziati internazionali, guidati da Kevin J. Walsh, ricercatore del Southwest Research Institute di San Antonio, Texas, ha recentemente spiegato le ridotte dimensioni di Marte, rispetto alla Terra e a Venere, facendo così luce su un quesito che da anni assilla cosmologi e astronomi: il pianeta Giove, secondo gli studi effettuati, ancora in fase di formazione si sarebbe spostato prima verso l’interno, spingendosi ad appena 1,5 Unità Astronomiche (UA) dal Sole, per poi andare verso l’esterno, spinto dall’attrazione gravitazionale di Saturno. Questo movimento, laddove c’era ricchezza di polveri, rocce e gas, avrebbe sottratto materiale a Marte, impedendogli di crescere quanto gli altri pianeti nei successivi 30 – 50 milioni di anni.

“Il problema era comprendere se tale moto fosse compatibile o meno con l’esistenza della fascia di asteroidi presente in quel frangente fra Marte e Giove”, ha spiegato Walsh. La risposta dei ricercatori è stata affermativa: non solo si tratterebbe di una condizione possibile ma addirittura confermerebbe molte ipotesi relative ai meccanismi di formazione della fascia stessa. “Grand Tack Scenario” è il nome dato dal team di ricercatori alle simulazioni del sistema solare effettuate, immaginando come poteva essere ai primordi e paragonando gli spostamenti di Giove a una grande barca a vela che vira intorno ad una boa.

Lo studio, titolato “A low mass for Mars from Jupiter’s early gas-driven migration”, è stato pubblicato sul numero 475 di Nature (14 luglio 2011).

Kevin J. Walsh, Alessandro Morbidelli, Sean N. Raymond, et al. A low mass for Mars from Jupiter’s early gas-driven migration. Nature 2011;475:206-9.

Autori: 
Sezioni: 
Pianeti

prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Dimostrazione cottura preistorica

Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.