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Filamenti cosmici e materia mancante

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Istantanea di una tipica simulazione computerizzata dell’evoluzione dell’Universo in cui appare la misteriosa struttura spugnosa del Cosmo. Di questa immensa ragnatela tridimensionale è artefice la materia oscura (in viola nell’immagine) che, con la sua azione gravitazionale, plasma i lunghi filamenti, li collega tra loro con nodi e obbliga la materia ordinaria a concentrarsi nelle regioni con densità più elevata. Le galassie (in bianco) si trovano dunque nei punti più densi della struttura e sono maggiormente concentrate nei nodi, dove si raggruppano in ammassi e superammassi. Interessante osservare come gran parte del “volume” dell’Universo sia occupato dalle immense regioni desolatamente vuote che si estendono tra i filamenti. - Visualizzazione: Frank Summers, Space Telescope Science Institute.

Tra i molti problemi che astronomi e cosmologi si trovano a dover districare vi è anche quello della materia mancante. Le attuali teorie e i dati provenienti dallo studio della radiazione cosmica di fondo, il cosiddetto eco fossile del Big Bang, hanno suggerito quale potrebbe essere la composizione del Cosmo. Le misurazioni dell’osservatorio spaziale Planck diffuse nel 2013 hanno indicato che il nostro Universo è composto per il 68,3% da energia oscura, per il 26,8% da materia oscura e per il rimanente 4,9% dalla materia ordinaria, quella di cui siamo fatti noi, i pianeti e le stelle. Se per le prime due componenti, come ben denota l’aggettivo che le qualifica, brancoliamo nel buio (sappiamo cosa comporti la loro presenza, ma nulla della loro origine e composizione), anche la situazione che riguarda la materia ordinaria, la cosiddetta componente barionica, presenta un problema piuttosto imbarazzante.

I conti non tornano

Era il 1992 quando Massimo Persic e Paolo Salucci, provando a fare i conti in tasca all’Universo, giungevano alla desolante conclusione che il contributo della materia ordinaria visibile è meno del 10% del valore inferiore predetto dai modelli della nucleosintesi primordiale. Della materia barionica dell’Universo, insomma, riuscivamo a malapena a vederne un decimo. Una situazione piuttosto imbarazzante, visto che questa conclusione comportava che di tutto ciò che compone l’Universo il 99,5% sfuggiva alla nostra vista. Gli stessi autori suggerivano quali potessero essere le riserve nascoste di questa materia a noi invisibile, puntando il dito, per esempio, sul gas diffuso tra le galassie degli ammassi e dei superammassi, sulla presenza di idrogeno atomico freddo all’interno delle stesse galassie o addensato in aloni intorno a esse. Tutt’altro che semplice, però, snidare questa incredibile quantità di materia ordinaria dalla quale non ci perviene alcun segnale. Il complesso calcolo di questa materia nascosta è stato ripetuto in tempi molto più recenti da Michael Shull (University of Colorado) e collaboratori: secondo le loro stime, nell’Universo locale mancherebbe all’appello circa il 30% della massa barionica. Stime meno desolanti di quelle di Persic e Salucci, ma non certo meno preoccupanti.

È pur vero che molti dei possibili nascondigli sono stati pian piano svelati. Qualche anno fa, per esempio, impiegando la vista acuta del telescopio spaziale Hubble, Nicolas Lehner e Christopher Howk dell’Università di Notre Dame (South Bend, Indiana) e Bart Wakker dell’Università del Wisconsin hanno osservato la luce di 18 quasar quasi allineati con la galassia di Andromeda per studiare la distribuzione della materia che compone l’alone gassoso che avvolge la galassia. Quando la luce proveniente da un quasar lontano attraversa l’alone che avvolge M31, viene inevitabilmente influenzata e questo comporta che, in un piccolo intervallo di lunghezze d’onda, il quasar mostri un calo di luminosità. Dalla misura di quell’oscuramento i tre astronomi hanno potuto dedurre quanto gas la radiazione avesse attraversato, derivando di conseguenza dimensioni e densità dell’alone stesso. Nello studio, pubblicato nel maggio 2015 su The Astrophysical Journal, i ricercatori riferiscono che questa sorta di bozzolo che avvolge Andromeda è circa 6 volte più grande e 1.000 volte più massiccio di quanto precedentemente supposto. Si tratterebbe insomma di una struttura gigantesca e pressoché invisibile che si estenderebbe fino a circa metà strada tra quella galassia e la Via Lattea. Se fosse visibile a occhio nudo, ha precisato uno dei ricercatori, le dimensioni in cielo di quell’alone sarebbero cento volte il diametro della Luna piena. Altrettanto stupefacente, comunque, anche la massa che caratterizza la struttura, equivalente a circa la metà della massa stellare di M31. Nello studio si suggerisce che la massa di quel tenue alone altamente ionizzato che avvolge Andromeda sarebbe almeno il 30% della massa barionica complessiva della galassia. Un notevole passo in avanti, dunque, nell’individuazione della materia ordinaria che manca all’appello.

Sorpresa dalla Via Lattea

Altri astronomi hanno però rivolto la loro attenzione anche all’alone della nostra stessa Galassia, escogitando sistemi piuttosto ingegnosi per stimarne la densità. Alla fine del 2015, per esempio, è stato pubblicato lo studio condotto dal team coordinato da Munier Salem (Columbia University) e Gurtina Besla (University of Arizona) in cui la stima della densità dell’alone viene derivata studiando l’interazione tra la Via Lattea e la Grande Nube di Magellano, una delle sue galassie satellite. Analizzando con estrema attenzione il gas che questa galassia perde per strada nel corso del suo moto attraverso l’alone della Via Lattea, gli astronomi hanno calcolato che, in prossimità della Grande Nube di Magellano, l’alone della nostra Galassia ha una densità di 0,1 atomi per decimetro cubo. Densità sicuramente irrisoria per gli standard cui siamo abituati nella vita quotidiana, ma sufficiente ad aggiungere alla stima della materia barionica della Via Lattea circa 26 miliardi di masse solari, vale a dire qualcosa di molto prossimo alla metà della massa della sua componente stellare. Fatti tutti i conti, insomma, l’alone di gas snidato da Salem e Besla apporterebbe un ulteriore 15% al censimento globale della massa barionica della Via Lattea, lasciandone comunque un bel 35% ancora da snidare.

La nostra Galassia e quella di Andromeda, dunque, sarebbero caratterizzate da un alone molto più denso e pronunciato di quanto supposto in precedenza, nascondiglio perfetto per una notevole quantità di materia ordinaria finora sfuggita all’osservazione. Si potrebbe però obiettare che quel bozzolo di gas che avvolge le due galassie possa essere una caratteristica locale e non riscontrabile in gran parte delle altre galassie del Cosmo. La particolare collocazione di Andromeda e della Via Lattea, membri più massicci di un raggruppamento di galassie piuttosto vicine tra loro (il cosiddetto Gruppo locale) potrebbe aver giocato un ruolo chiave nella formazione e nel mantenimento di simili aloni.

Nell’impossibilità di verificare quanto sia fondata una simile obiezione, gli astronomi hanno rivolto la loro attenzione ad altri possibili depositi invisibili di materia ordinaria: i giganteschi ponti di materia che si estenderebbero tra le galassie. Le simulazioni sempre più affidabili dell’evoluzione delle strutture del Cosmo - tempo fa qui a Scienzainrete ci siamo occupati delle simulazioni del Progetto Illustris - mettono in evidenza che la materia sarebbe organizzata in una complessa struttura filamentosa innescata dalla materia oscura, che avrebbe poi vincolato anche la materia ordinaria a riprodurre lo stesso andamento. Una struttura che il termine ragnatela cosmica descrive in modo davvero significativo e i cui punti nodali coinciderebbero con le regioni del Cosmo in cui si troviamo concentrate, raggruppate in ammassi e superammassi, le galassie.

A caccia dei filamenti cosmici

Quei lunghi filamenti tra le galassie potrebbero insomma essere un perfetto ricettacolo per la parte di materia ordinaria che ancora sfugge a ogni osservazione. Indagare su queste strutture, però, è tutt’altro che semplice. Non solo l’eventuale gas di materia ordinaria presente nei filamenti sarebbe troppo tenue per essere colto sul fatto dai telescopi ottici, ma anche se avesse temperature sufficientemente elevate da fargli emettere radiazione X, questa non sarebbe alla portata degli attuali osservatori spaziali.

Due team indipendenti di ricercatori, uno coordinato da Hideki Tanimura presso l’Istituto di Astrofisica spaziale di Orsay (Francia) e l’altro guidato da Anna de Graaff presso l’Università di Edimburgo, hanno però trovato il modo di sondare la presenza di materia ordinaria in quei filamenti e qualche settimana fa hanno pubblicato online i risultati raggiunti.

Nell’impossibilità di una individuazione diretta, i due team hanno fatto ricorso al fenomeno noto come effetto Sunyaev-Zel'dovich, un fenomeno che riguarda il comportamento dei fotoni a bassa energia della radiazione cosmica di fondo quando si trovano ad attraversare gas caldo e ricevono un pizzico in più di energia dagli elettroni lì presenti con i quali interagiscono. Si tratta di un effetto molto debole e dunque di difficile individuazione, ma gli astronomi hanno trovato il modo di renderlo evidente.

Attingendo ai dati della Sloan Digital Sky Survey, infatti, i ricercatori hanno preso in considerazione un grandissimo numero di coppie di galassie potenzialmente collegate da filamenti di materia: il team di Tanimura ha considerato 260 mila coppie di galassie, mentre il team di de Graaff ne ha valutato un milione. Sovrapponendo le immagini sono riusciti a far emergere la presenza dell’effetto Sunyaev-Zel’dovich provando dunque l’esistenza di materia ordinaria diffusa nei filamenti che uniscono le coppie di galassie. Dato che le galassie prese in esame dai due gruppi di ricerca non erano alla stessa distanza, era logico attendersi differenze nelle rilevazioni; una volta che si è tenuto conto di questo fattore, però, le rilevazioni dei due team si sono mostrate in ottimo accordo.

Dalle analisi è emerso che la densità della materia barionica dei filamenti sarebbe da tre a sei volte maggiore della densità media del vuoto circostante. Secondo i calcoli dei ricercatori, questa maggiore densità sarebbe in grado di rendere conto di circa il 30% della materia ordinaria mancante. Notevole, dunque, l’importanza dei due studi: oltre a ridurre in modo significativo l’ammontare di materia ordinaria sfuggita finora all’osservazione, infatti, confermano appieno i modelli evolutivi che emergono dalle simulazioni.

Ovviamente in attesa che una prossima generazione di telescopi per la radiazione X, più grandi e molto più sensibili di quelli attuali, riesca finalmente a cogliere sul fatto la tenue radiazione emessa dal gas ionizzato ed estremamente caldo che guizza in quei filamenti.

 

 


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