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La verità impigliata nella rete

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Fermatevi a riflettere: qual è stata l’ultima notizia che avete cercato direttamente sul sito web di un giornale? E quante volte, invece, aprite articoli o video attraverso link sui social network? Che si tratti di Facebook, Twitter o Instagram, l’offerta di pagine e profili è ormai capillare, e copre sia la produzione che la distribuzione dei contenuti online. Eppure, spesso, dietro l’abbondanza e la pluralità delle fonti sui social network si nasconde lo spettro della disinformazione, con la diffusione di notizie dubbie o completamente false. Un problema che, secondo il World Economic Forum del 2013, rappresenta una delle maggiori minacce tecnologiche e geopolitiche per il futuro della nostra società, insieme al terrorismo e agli attacchi cibernetici.

Per conoscere le dinamiche dell’informazione sui social, comunque, non basta verificare la qualità dei contenuti, ma occorre scoprire come le notizie vengono “consumate” dai lettori. Secondo i risultati di una ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences, infatti, gli utenti di Facebook tendono a focalizzarsi su un set molto limitato di pagine e di narrazioni, nonostante la grande disponibilità di notizie potenzialmente consultabili. Lo studio, condotto dal gruppo di Walter Quattrociocchi della scuola IMT Alti Studi di Lucca, ha analizzato le interazioni di 376 milioni di utenti di Facebook con le pagine di notizie in lingua inglese presenti sul social network.

Come nascono le comunità sui social

Sulla base dei “mi piace” in comune, i ricercatori hanno così definito delle pagine connesse tra loro, identificando dei pattern circoscritti di relazioni tra le fonti. Si tratta, in estrema sintesi, di reti che danno vita a vere e proprie comunità virtuali, definite echo chambers, dove persone con opinioni simili interagiscono tra loro e condividono contenuti, riducendo al minimo il contatto con punti di vista diversi. In queste bolle virtuali anche la scelta delle fonti sembra guidata dal cosiddetto “bias di conferma”, cioè la tendenza a ricercare quelle notizie che rafforzano le proprie convinzioni. Si creano quindi dei gruppi polarizzati, formati da utenti che condividono una certa visione del mondo, il cui senso di appartenenza diventa più importante della veridicità stessa delle informazioni.

Twitter data of the supporters of Hilary Clinton and Donald Trump during the 2017 election.

VI ricorda qualcosa? Proprio in occasione delle ultime elezioni presidenziali statunitensi, la comunità di Twitter si è divisa in due blocchi contrapposti fortemente divisi, sia per contenuti che per narrazione di fatti ed eventi. Come sostiene il Laboratory for Social Machines del MIT Media Lab nel report “The Electome project” , ad esserne più sorpresi sono stati proprio i giornalisti. Difficile penetrare la echo chamber dei sostenitori di Donald Trump, molto compatta e coesa nei contenuti, con poche connessioni con i supporter di Hillary Clinton o con i media tradizionali; i grandi giornali americani, così, hanno faticato a leggere le argomentazioni pro-tycoon sul social media. Con il risultato di non vederle affatto.

Cronache dal referendum italiano

Ci sono esempi di contrapposizioni tra comunità polarizzate anche nella recente storia politica italiana. In anteprima su arXiv , il gruppo di Quattrociocchi ha analizzato anche il consumo di notizie su Facebook e Twitter relative al Referendum Costituzionale del 4 dicembre. Questa volta, i ricercatori hanno valutato le interazioni degli utenti con le pagine delle testate giornalistiche, individuando cinque cluster di fonti su Facebook e quattro su Twitter. Attraverso un algoritmo di sentiment analysis, i ricercatori hanno poi estratto una serie di “entità”, oggetto di particolari controversie tra gli utenti che commentavano i contenuti del Referendum. Tra questi sono emersi personaggi politici come ‘Matteo Renzi’, ‘Beppe Grillo’, ‘Silvio Berlusconi’ e ‘Sergio Mattarella’, ma anche concetti di altra natura come ‘terremoto’, ‘Partito Democratico’, ‘Londra’ e ‘Italia’. Solo quatto, invece, gli argomenti che facevano riferimento ai contenuti della riforma: ‘Parlamento’, ‘Camera’, ‘Senato’ e ‘legge elettorale’. “Su queste parole chiave, comunità e social network diversi hanno comunicato in modo molto distante”, sottolinea Fabiana Zollo, coautrice della ricerca e assegnista all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Una proiezione del network bipartito tra pagine facebook delle prinicipali fonti di informazione e utenti relativo alle notizie sul referendum italiano. Misura Fonte: Public discourse and news consumption on online social media: A quantitative, cross-platform analysis of the Italian Referendum.

Ancor più significativa la distanza tra come gli argomenti sono stati presentati dalle fonti e la percezione effettiva degli utenti. Dall’analisi del sentiment associata ai contenuti è emerso, ad esempio, che i post relativi all’entità ‘Corte Costituzionale’ venivano prodotti dalle fonti in un’ottica prevalentemente positiva, ma percepiti negativamente dagli utenti. Al contrario, concetti come ‘Italia’ e ‘Cernobbio’ venivano presentati in modo negativo dalle pagine produttrici di notizie ma percepiti positivamente dagli utenti. “Stiamo cercando di capire – continua Zollo - se questa grande distanza, a livello emotivo, possa predire quali argomenti risulteranno maggiormente polarizzanti”. Infatti, poiché è proprio questa radicalizzazione che porta a considerare credibili anche notizie false o contraddittorie, diventa fondamentale capire quali sono i meccanismi che tendono a acuire le differenze tra i punti di vista.

In questo modo sarebbe possibile progettare delle strategie di comunicazione che favoriscano invece un confronto aperto e positivo. Al contrario, interventi di verifica della notizia o di analisi della credibilità delle fonti, come quelli su cui stanno lavorando Facebook e Google, sembrano poco adeguati a risolvere il problema della disinformazione. “Noi crediamo che la soluzione del fact-checking – conclude Zollo - non funzioni. È difficile mettere in atto meccanismi di questo tipo in un sistema in un cui gli utenti si dividono spontaneamente in comunità che non comunicano tra loro o che comunicano senza trovare punti di contatto. Stiamo invece cercando dei modi che ci permettano di individuare gli argomenti maggiormente sensibili e intervenire lì per ridurre la radicalizzazione e la polarizzazione”.


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