La tecnologia
concorre da sempre a foggiare le caratteristiche dell'uomo. Lo sviluppo
della tecnologia ha accompagnato lo sviluppo di Homo
sapiens, l'ha causato e ne è stata causata, grazie a un processo dinamico
coevolutivo. L'evoluzione culturale, in particolare tecnologica, e l'evoluzione
biologica si sono strettamente intrecciate in un'evoluzione "bioculturale"
o "biotecnologica", al cui centro sta Homo technologicus: un'unità evolutiva ibrida, un simbionte in via
di continua trasformazione.
In questa
prospettiva, Homo sapiens è sempre
stato Homo technologicus.
Da sempre il corpo umano è stato modificato da strumenti, protesi e apparati
che ne hanno esteso e moltiplicato le possibilità d'interazione col mondo, in
senso sia conoscitivo sia operativo. La perpetua trasformazione di questo simbionte,
in passato poco visibile, tanto da autorizzare una visione fissista della natura umana, oggi, per il continuo potenziamento
della tecnologia, è piuttosto evidente.
Poiché
l'innovazione tecnologica è autocatalizzante, questa evoluzione è molto più
rapida di quella biologica: anzi, accelera di continuo. In campo culturale, in
particolare tecnico, le novità vengono adottate direttamente, mediante un
meccanismo tipicamente lamarckiano
(eredità dei caratteri acquisiti) che in biologia non si riscontra: ciò provoca
un'accelerazione impressionante dell'evoluzione tecnologica rispetto a quella
biologica.
Oggi la trasformazione indotta dalle tecnologie più avanzate (genomiche, nanotecniche, informatiche e robotiche) ha assunto carattere volontario, programmatico e consapevole, poiché è diretta a due ordini di finalità: terapeutiche, per recuperare facoltà compromesse o per rimediare a patologie più o meno gravi; e migliorative, per potenziare facoltà naturali o per generarne di inedite: e qui si apre lo scenario del post-umano. Gli interventi volontari riguardano l’individuo, ma anche, se comportano la manipolazione del genoma, la specie: dunque Homo technologicus sta prendendo in mano le leve della propria evoluzione.
Questo mutamento coinvolge e
stravolge molti concetti tradizionali. Sfuma la distinzione tra naturale e artificiale. Viene messa in
discussione la sacralità della natura.
Ormai l’uomo, armato delle sue tecnologie, cessa di riprodursi secondo i meccanismi della lotteria cromosomica e
comincia a prodursi in base a precise
specifiche progettuali. Un altro baluardo etico-culturale scosso dalla
prospettiva post-umanista riguarda la definizione di persona: poiché le tecnologie del post-umano incidono sul corpo e poiché il corpo è fondamentale
nella definizione di persona, ecco che la definizione di identità umana diviene problematica.
Si deve accettare come
inevitabile questa evoluzione biotecnologica verso il post-umano? Oppure si
deve considerare la specie umana nota fin qui come una sorta di patrimonio
inalienabile (e patrimonio di chi? dell’umanità stessa?) e quindi opporsi a
questa deriva? E in nome di che cosa dovremmo optare per l’una o per l’altra
scelta?
le prospettive del post-umano
Se l’uomo è un essere naturalmente artificiale, come si può
pensare di snaturarlo arrestando il suo sviluppo verso il post-umano, che, in
questa visione, sarebbe un esito, appunto, naturale? Infatti, si può
argomentare, se l’uomo fa parte della natura, anche tutti i suoi prodotti ne
fanno parte a buon diritto, anche quando dovessero comprendere forme nuove di
umanità. L’uomo sarebbe dunque il mezzo di cui la natura si servirebbe per
accelerare e arricchire l’evoluzione, delegandone a lui il prolungamento e
l’esercizio ulteriori. All’opposto, se si ritiene che l’umanità (come si è
sviluppata fin qui) sia un valore, il passaggio al post-umano segnerebbe la
scomparsa o almeno l’atrofizzazione dell’umanità, della biologia umana e della
cultura umana.
A quest’ultima posizione si può
obiettare ponendo la questione del momento di passaggio: quando, esattamente,
l’umano cede o cederebbe il passo al post-umano? L’uomo non è forse sempre
stato post-umano, nel senso di essere sempre stato ibridato con l’altro –
piante, animali, cibo, farmaci, droghe e, oggi, macchine? Siamo sicuri che
esista un momento in cui (o una tecnologia per cui) si possa dire: qui cessa
l’umano e comincia il post-umano?
La visione continuista da una
parte renderebbe meno traumatico il concetto di post-umano, inserendolo in uno
sviluppo evolutivo natural-culturale, ma dall’altra conferirebbe all’uomo la
piena responsabilità della propria
evoluzione, mettendo in luce una discontinuità, questa sì radicale: se è vero
che l’uomo è sempre stato post-umano, è anche vero che soltanto oggi se ne
rende conto, grazie alla potenza della tecnica. Tale nuova consapevolezza pone
in tutta la sua drammaticità il problema
etico nel senso più ampio del termine.
Infatti le decisioni prese ora
potranno influire sul futuro prossimo e lontano dell’umanità, indirizzandolo in
direzioni che siamo in grado di immaginare e controllare solo in parte. Infatti
la nostra capacità di agire ha superato
di gran lunga la nostra capacità di prevedere le conseguenze delle nostre
azioni, che potrebbero essere diverse da (o addirittura contrarie a) le
nostre intenzioni. Si deve osservare infatti che, a causa della complessità del
reale, spesso i traguardi conseguiti dal finalismo cosciente non coincidono con
quelli programmati: si presenta cioè il fenomeno dell’eterogenesi dei fini, per cui gli esiti ottenuti sono diversi o
addirittura opposti a quelli progettati e sperati. Poiché arrestare l’avanzata
della tecnologia è impossibile, si tratta di escogitare i modi per governarla
in conformità con i valori che sentiamo importanti. E non è un compito facile.
Nota:
Giuseppe Longo ha tenuto una conferenza dal titolo
“L'avvento di Homo technologicus” durante il progetto culturale “Pagine di
scienza” . Un programma di conferenze su alcune delle principali tematiche scientifiche
e culturali, e un concorso di scienza e letteratura, assegnando ad una giuria
di cinquanta lettori, tra i quali trenta studenti dell’ISIS Enrico Mattei di
Rosignano Solvay, il compito di valutare tre libri selezionati da un comitato
scientifico: La realtà non è come ci appare, del fisico Carlo Rovelli;
L’America dimenticata, del fisico e storico della scienza Lucio Russo;
Almanacco del giorno prima, della matematica Chiara Valerio.
Il programma di incontri si concluderà sabato 21 marzo 2015
alle 17.00 a Castello Pasquini: saranno presentati i tre libri finalisti, ai
quali sarà anche conferito un riconoscimento intitolato alla memoria della
giovane ricercatrice Antonella Musu, e verrà comunicato il nome del
vincitore.