newsletter #82
 |
L'epidemia di Ebola in corso
nella provincia nordorientale del North Kivu,
Repubblica Democratica del Congo, è
la seconde più grave di sempre, superata solo da
quella del 2014-2016 nell'Africa occidentale. Finora
sono 420 le persone contagiate e 240 i morti. Ma
perché è così difficile contenerla?
In
questa intervista Peter Salama, capo dell'Health Emergencies Program
presso l'Organizzazione Mondiale della Sanità, spiega
come l'instabilità politica della regione
rappresenti una delle sfide più difficili. Il
North Kivu è una delle aree del mondo
più ricche di cobalto, un metallo fondamentale
per le batterie delle auto elettriche ma anche dei
dispositivi mobili. Per questo motivo è il teatro di
conflitti armati tra bande ribelli da oltre 20 anni. Le
minacce e le violenze fisiche subite dalla popolazione
hanno generato diffidenza verso gli interventi delle
organizzazioni internazionali che combattono Ebola: gli
abitanti della regione chiedono di essere protetti
anche dalla guerra oltre che dalle malattie. Nonostante
questo il vaccino sperimentale contro Ebola è
stato ben accettato. A oggi la copertura
supera il 95% per oltre il 90% degli anelli (il trattamento è
somministrato alle cerchie di contatti delle persone
infette). Un altro elemento di complessità
è rappresentato dai rischi a cui è
esposto il personale sanitario: poche settimane fa un
centro di trattamento è stato bersagliato da una
pioggia di proiettili. È per questo che i CDC
statunitensi hanno ritirato, tra le critiche, il loro
personale. Nell'immagine: un operatore sanitario aiuta Jordan
Tappero, allora direttore della divisione Global Health
Protection dei CDC a indossare la maschera protettiva
prima di entrare nell'unità di trattamento di
Ebola ELWA 3 allestita da Medici Senza Frontiere ad
agosto del 2014 a Monrovia in Liberia.
Credit: CDC Global / Flickr. Licenza: CC
BY 2.0.
|
DA SHARM EL SHEIKH A KATOWICE
|
La
Convenzione sulla
Biodiversità
delle Nazioni Unite (CBD)
decide di non
imporre una
moratoria
sull'impiego della
tecnologia gene-drive. È
quanto emerge
dall'incontro delle
parti della CBD che
si è svolto
il 29 novembre a
Sharm El-Sheikh. Il
testo del trattato,
sottoscritto dalla
maggioranza dei
Paesi del mondo,
stabilisce che i
rischi connessi
all'utilizzo dei
gene-drive
devono essere
valutati caso per
caso e che le
comunità
indigene devono
essere coinvolte
nella decisione. Il
testo è
sufficientemente
vago da essere stato
ben accolto sia
dagli scienziati
impazienti di
testare la
tecnologia sul
campo, come il
gruppo Target
Malaria che ambisce a
bloccare la
diffusione della
malaria intervenendo
sulle zanzare, sia
dagli attivisti
diffidenti, che
vedono come una
vittoria la
necessità di
ricevere il
benestare delle
popolazioni locali.
[Nature; Ewen Callaway]
Si è aperta lunedì
la 24esima conferenza
delle parti (COP) della convenzione quadro
delle
Nazioni Unite sul cambiamento
climatico (UNFCCC), la
COP24. Durante due settimane di
negoziati quasi 200 delegazioni
dovranno concordare le "regole" per
l'implementazione dell'accordo di
Parigi. Come verranno documentate le
riduzioni delle emissioni di gas
serra da parte dei singoli Paesi?
Con quale grado di dettaglio
dovranno descrivere le strategie che
intendono adottare per realizzarle?
Quale sarà l'entità
dei contributi al fondo per
l'adattamento dei Paesi più
vulnerabili? Si tratta dunque di una
COP tecnica, ma molto importante per
capire il destino dell'Accordo di
Parigi. Nel raccontare i negoziati,
raccomanda Stefano Caserine dalle
pagine di
Climalteranti, ecco cinque errori da
cui guardarsi.
[Climalteranti; Stefano Caserini,
Claudio della Volpe, Mario Grosso,
Italian Climate Network]
Il populismo è il
più grande alleato del
cambiamento climatico. Il
populismo offre soluzioni semplici a
problemi molto complessi. A destra
ci sono gli esempi di Trump,
Bolsonaro e Morrison che negano la
gravità della situazione e
continuano ad alimentare le loro
economie a carbone. Dall'altra
parte ci sono i teorici della
decrescita felice, coloro che
sostengono che è sufficiente
rallentare lo sviluppo economico per
contenere il riscaldamento
globale. È
quanto afferma Paolo Vineis,
epidemiologo all'Imperial College
London, in un editoriale su Scienza
in rete.
[Scienza in rete; Paolo Vineis]
|
|
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
|
DeepMind,
la
compagnia
di
Google
che sviluppa
sistemi
di
neural
network,
si
è
classificata
prima
nella
competizione
per prevedere
la
struttura
tridimensionale
delle
proteine
a
partire
dalla
catena
di
amminoacidi
di
cui
sono composte
. La
gara,
chiamata
CASP
(Community
Wide
Experiment
on
the
Critical
Assessment
of
Techniques
for
Protein
Structure
Prediction),
si
svolge
ogni
anno
per
mettere
alla
prova
i
ricercatori
e
spingerli
a
migliorare
su
un
tema
di
fondamentale
importanza
per
tutti
i
problemi
che
coinvolgono
organismi
viventi,
dalla
farmacologia
all'inquinamento. La
funzionalità
di
una
proteina
dipende
infatti
dal
modo
in
cui
la
catena
di
amminoacidi
di
cui
è
formata
ruota,
si
piega
su
se stessa
e
vibra. DeepMind
ha
partecipato
per
la
prima
volta
quest'anno, con
il
suo
sistema
AlphaFold,
ed
è
stato
in
grado
di
prevedere
correttamente
la
forma
di
25
proteine
su
43;
il
secondo
classificato
ha
descritto
solo
3
proteine
su
43. AlphaFold
si
basa
su
una
rete
neurale
allenata
su
migliaia
di
proteine
dalla
forma
nota. Dopo
essersi
misurata
con
i
giochi,
come
il
Go,
DeepMind
comincia
ad
affrontare
problemi
reali
con
impatti
potenziali importantissimi.
[The
Guardian;
Ian Sample]
L'intelligenza artificiale ha un bias verso le
persone con disabilità. È meno
evidente di quelli contro le donne o le
minoranze etniche, ma va
combattuto. Un esempio è
rappresentato dagli algoritmi per le auto a
guida autonoma. Il software viene allenato a
riconoscere i pedoni attraverso una serie di
immagini di persone che attraversano la
strada. Se queste immagini non contengono
persone in sedia a rotelle, la loro sicurezza
potrebbe essere meno tutelata. Un altro esempio
è quello dei test della personalità per
ottenere un lavoro: una persona non vedente che
usa un lettore avrà bisogno di più
tempo per navigare la pagina e rispondere alle
domande. Se il sistema non tiene conto di questa
necessità la penalizzerà. In
generale gli algoritmi di machine learning
faticano a tenere in considerazione gli
outlier, i profili molto lontani dalla
media. Esistono alcune soluzioni a questi
problemi. Da una parte considerare campioni di
dati il più rappresentativi possibile,
dall'altra progettare algoritmi che si
concentrino maggiormente sugli
outlier. Ma per costruire sistemi del genere
c'è bisogno di dati in cui le persone con
disabilità rendano pubblico il loro
stato. Non è una richiesta da poco.
[MIT Technology Review; Karen Hao]
Il CNR mette a punto un'intelligenza artificiale che valuta
l'abbondanza di pesci negli oceani. In uno
studio pubblicato recentemente su Scientific
Reports un gruppo di ricercatori dell'Istituto
di Scienze Marine del CNR e
dell'Università Politecnica della
Catalogna ha testato un sistema
basato su tecniche di computer vision e
un algoritmo in grado di contare i pesci
presenti in una certa porzione di
mare. L'esperimento è stato condotto con
i dati raccolti da OBSEA, un osservatorio
posizionato al largo della costa di Barcellona.
[Scienza in rete; Anna Romano]
|
|
RICERCA E SOCIETÀ
|
Si sono dimessi
tre dei quattro
scienziati del
comitato che
dovrà
nominare il prossimo
presidente ASI,
successore di
Roberto
Battiston. La
nomina di Battiston
a capo dell'Agenzia
Spaziale Italiana
era sta revocata il
mese scorso dal
ministro
dell'università
e della ricerca
Bussetti, e l'ente
commissariato. Ora
gli scienziati si
schierano contro le
intenzioni del
Governo di nominare
una figura
più
manageriale che
scientifica. «Se
la politica non
vuole più che sia un
ente di ricerca, ma
vuole farci
qualcos'altro, lo
deve
chiarire», ha
affermato il
presidente dell'INFN
Fernando
Ferroni, commentando
la notizia delle
dimissioni dei suoi colleghi
[La Repubblica;
Matteo Marini]
L'iniziativa
di transizione
all'Open Access Plan
S riceve il supporto
di oltre 1400
ricercatori. In
una lettera,
promossa dal
genetista Michael
Eisen della
University of
California,
Berkeley, i
ricercatori
ritengono infondata
l'accusa che il
piano limiti la
libertà
accademica
obbligando i
ricercatori a
pubblicare in Open
Access. L'accusa era
stata avanzata un mese fa dalla
chimica Lynn
Kamerlin dell'Università di Uppsala. I sottoscrittori sostengono
infatti che la libertà di ricerca sia minacciata proprio dalla
necessità di pubblicare su giornali ad alto impatto e
accessibili a pagamento. Inoltre i dettagli del piano, divulgati
recentemente, precisano che la pubblicazione su riviste cosiddette ibride sarà permessa per tutto il periodo di
transizione fino al 2024.
[Nature;
Richard Van Noorden]
L'origine di Homo sapiens è al centro di un accesso
dibattito tra gli
antropologi. I
due modelli,
multiregionale e
uniregionale, si sono
scontrati fino
all'inizio dagli
anni '80 del secolo
scorso. Da quel
momento in poi la
capacità di
analizzare il DNA
mitocondriale
ha permesso di
escludere definitivamente l'ipotesi
multiregionale, secondo cui Homo
ergaster sarebbe
uscito dall'Africa 2
milioni di anni fa
per poi generare
linee evolutive
distinte nei vari
continenti che
avrebbero dato luogo
a Homo
sapiens. Ma
recentemente anche
il modello
uniregionale
è stato messo
in dubbio
dall'osservazione
dell'ibridazione del
DNA di Homo
sapiens con
quello di altre
popolazioni
arcaiche, come i
Neanderthal e i
Denisova. Oggi la
comunità
discute di due
alternative: la
Recent African
Origin With
Hybridization
(RAOWH) e
l'Assimilation Model
(AM). Come si
schierano gli
antropologi, in
particolare quelli
italiani? Le
risposte nel
terzo contributo
alla rubrica "Vero o
Falso". [Scienza
in rete;
Enresto Carafoli,
Enrico Bucci]
|
|
Segui Scienza in rete
|
|
Se non vuoi più ricevere la newsletter clicca qui
|
|
Con il sostegno di: |
 |
By: |
 |
|