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29 ottobre 2021
a cura di Chiara Sabelli
Buon venerdì,
questa settimana parliamo di uragani mediterranei, i cosiddetti Medicane, perturbazioni dalle caratteristiche simili a quelle dei cicloni che si sviluppano sulle fasce tropicali degli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano ma che colpiscono il bacino del Mediterraneo. Un Medicane, denominato Apollo, sta interessando in queste ore le coste orientali di Sicilia e Calabria, dopo aver causato già tre vittime in avvicinamento. Il cambiamento climatico renderà questi fenomeni meno frequenti ma più intensi. Ma come si fa a fare queste valutazioni? Si può attribuire un singolo evento al cambiamento climatico? Ne abbiamo parlato con Mario Marcello Miglietta del CNR ed Enrico Scoccimarro del CMCC.
Poi, una selezione di notizie dai giornali di tutto il mondo e gli ultimi aggiornamenti su Covid-19.
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MEDICANE: COSA CI ASPETTA COL CAMBIAMENTO CLIMATICO?
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Immagine satellitare del Medicane Ianos che ha colpito la Grecia a settembre del 2020, di ESA (CC BY-SA 2.0).

Dopo aver provocato già tre vittime, una perturbazione con caratteristiche simili a quelle di un ciclone tropicale sta interessando la costa orientale della Sicilia e della Calabria. Da mezzanotte il lungomare di Catania è chiuso perché sono previste onde fino a 5 metri di altezza e venti fino a 120 chilometri orari.

Eventi di questo tipo vengono chiamati Medicane, da Mediterranean hurricane. «Si tratta infatti di cicloni cicloni che possono manifestare caratteristiche differenti in fasi diverse del loro ciclo di vita. Infatti si possono identificare due fasi. La loro genesi è tipica dei cicloni extra-tropicali che si osservano frequentemente alle medie latitudini, ma in certe condizioni possono evolvere in fenomeni simili agli uragani che si sviluppano nelle fasce tropicali degli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano», spiega Mario Marcello Miglietta, meteorologo dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR a Padova (uragani è il nome che viene dato ai cicloni tropicali sull’Atlantico).

La genesi è caratterizzata dalla presenza di una forte differenza di temperatura tra gli strati alti dell’atmosfera (più freddi) e quelli bassi e vicini alla superficie terrestre (più caldi). L’evoluzione in ciclone simil-tropicale avviene quando c’è un sufficiente scambio di calore e umidità tra mare e bassa atmosfera in grado di alimentare lo sviluppo di imponenti nubi temporalesche. Questo accade più facilmente nelle zone tropicali dove la temperatura degli oceani può essere molto elevata.

«Negli ultimi anni però si è visto che alcuni degli eventi che venivano considerati Medicane sono dei veri e propri ibridi», spiega Miglietta, «in altre parole durante tutta l’evoluzione della perturbazione coesistono le due dinamiche, quella dei cicloni extra-tropicali caratterizzati da aria fredda ad alta quota e calda a bassa quota e quella dei cicloni tropicali caratterizzati da scambio di calore tra acqua e aria».

L’evento che ha colpito la costa orientale della Sicilia era inizialmente di questo tipo ibrido, «ma nella giornata di giovedì è diventato un ciclone simil-tropicale vero e proprio, come si poteva prevedere già mercoledì guardando le mappe. Purtroppo questa evoluzione ha comportato un’intensificazione dei fenomeni atmosferici» conclude Miglietta.

Fortunatamente questi cicloni simil-tropicali nel Mediterraneo non raggiungono mai le intensità degli uragani di categoria più alta, al massimo hanno venti paragonabili agli uragani di categoria 1, superiori cioè a 110 chilometri orari. Per confronto, i cicloni di categoria 5 hanno venti superiori a 250 chilometri all’ora. In più i Medicane durano meno, da 24 a 36 ore, mentre i cicloni tropicali possono durare anche settimane.

La possibilità di rilevare in modo affidabile i Medicane esiste da quando ci sono i satelliti che osservano l’atmosfera e che possono quindi individuare la struttura tipica di un ciclone tropicale, caratterizzato da un nucleo centrale caldo e movimenti circolari in senso anti orario attorno a esso. Tuttavia, non è facile dire quanti di questi eventi siano stati osservati dal 1979 (anno in cui sono cominciate le osservazioni dell’atmosfera da satellite) a oggi, perché gli scienziati stanno ancora discutendo una definizione condivisa di cosa sia un Medicane.

Diversi studi concordano però nello stimare un’incidenza annua intorno a 1,5 eventi, concentrati nei mesi tra settembre e aprile. Infatti, mentre i cicloni tropicali hanno bisogno di temperature dell’acqua molto elevate, superiori ai 26°C, per i Medicane è determinante la formazione della differenza di temperatura verticale nell’atmosfera che è favorita nella stagione autunnale e invernale dall’arrivo di aria fredda in alta quota dalle zone settentrionali dell’Atlantico.

Una ricerca pubblicata nel 2020 sull’International Journal of Climatology e coordinata da Enrico Scoccimarro climatologo al Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) a Bologna, ha studiato un particolare database elaborato dallo European Centre for Medium-range Weather Forecast (ECMWF) e ha identificato 59 eventi tra il 1979 e il 2017.

L’evento più recente risale però a metà settembre del 2020, quando un Medicane, denominato Ianos, ha colpito la Grecia causando tre vittime e danni stimati sopra i 100 milioni di euro. Secondo uno studio del 2017 firmato da Laura Bakkensen, economista dei disastri naturali alla University of Arizona, l’Italia sarebbe il paese del Mediterraneo che soffre in media i danni più ingenti a causa dei Medicane, 33 milioni di euro all’anno, seguita da Spagna (circa 20) e Grecia (circa 15).

I modelli indicano che il cambiamento climatico in corso renderà i Medicane meno frequenti ma più intensi. «Questo è vero in particolare nello scenario di emissioni più pessimistico, e abbiamo capito che accade perché avremo un’atmosfera più stabile e dunque si creeranno meno frequentemente le condizioni necessarie a innescare i Medicane» spiega Scoccimarro «tuttavia, quando si innescheranno, l’aumento di temperatura degli oceani, e del Mediterraneo in particolare, previsto negli scenari ad alte emissioni, favorirà lo scambio di calore tra oceano e atmosfera facilitando la formazione di eventi più intensi.» Continua a leggere su Scienza in rete


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Aggiornato il 3 novembre 2021. La versione precedente affermava erroneamente che lo studio sulle persone resistenti all'infezione con SARS-CoV-2 venisse condotto in Cina nell'ambito della strategia zero-Covid.

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