fbpx Giuseppe Levi | Scienza in rete

Giuseppe Levi

Read time: 3 mins

Giuseppe Levi (Trieste, 1872 - Torino, 1965), biologo, è l’unico italiano maestro di tre premi Nobel. Nato nel capoluogo giuliano in una ricca famiglia ebrea che si occupa di finanza e ha stretta collaborazione con l’amministrazione austroungarica, studia e si laurea in medicina a Firenze. Tra il 1896 e il 1898 è assistente presso una clinica psichiatrica della città toscana, dove inizia a studiare la struttura nucleare, la fisiologia, la proliferazione, l’analisi comparata delle cellule nervose. Poi si reca a Berlino, per lavorare all’Istituto di anatomia diretto da Oscar Hertwig.

Nell’anno 1900 torna a Firenze come assistente di Giulio Chiarugi. Lavora poi alla Stazione Zoologica di Napoli, dove affina le sua capacità di istologo con particolare attenzione ai tessuti nervosi. Sale poi in cattedra a Sassari e a Palermo, prima di trasferirsi, nel 1919, a Torino dove assume la direzione dell’Istituto di anatomia umana. Qui, tra i suoi allievi, conta Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco e Salvatore Luria: altrettanti premi Nobel, appunto (vinti per studi condotti negli USA). Si dimostra così un grandissimo maestro.

Ma Giuseppe Levi è anche un ottimo ricercatore in proprio. Studia, con il suo gruppo, i mitocondri e l’invecchiamento dei tessuti, oltre ad approfondire l’analisi comparata delle cellule nervose. Definisce quella che oggi è nota come legge di Levi: il numero di cellule nervose è analogo in tutti i mammiferi, mentre è la loro dimensione a variare in relazione diretta con la grandezza dell’animale.

Giuseppe Levi, che frequenta Filippo Turati e Anna Kuliscioff, si esprime esplicitamente contro il fascismo. Ma è in quanto ebreo che, nel 1938, deve lasciare gli incarichi universitari in seguito alle leggi razziali. Sarà reintegrato solo nel 1945. Intanto riesce a fuggire all’estero e a lavorare presso l’università di Liegi, in Belgio. Ritorna in Italia a guerra in corso, organizzando un laboratorio semi-clandestino con Rita Levi Montalcini. Nel 1947, ormai in Italia, passa a dirigere l’istituto per la crescita e l’invecchiamento del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Muore di cancro a Torino nel 1965.
La sua umanità è stata delineata dalla figlia, la scrittrice Natalia Ginzburg, in un libro di grande successo, "Lessico famigliare".

Ciò che imparai da Levi, e di cui feci buon uso in seguito, fu un atteggiamento di rigorosa professionalità, vale a dire imparai come impostare seriamente un esperimento e portarlo a conclusione. Appresi l'importanza di comunicare i risultati: il maestro soleva dire che, non appena una serie di dati apparisse significativa, bisognava pubblicarne il resoconto. E quando il manoscritto era pronto, Levi lo riscriveva da cima a fondo senza pietà. Un'altra lezione che ho appreso da lui, applicandola poi durante tutta la mia vita accademica, è quella di non mettere mai il mio nome sulle pubblicazioni dei miei allievi, a meno di aver contribuito direttamente e sostanzialmente al loro lavoro (Salvatore Luria)

Salvatore Luria

 

Aveva per la ricerca un rispetto morale, che mi auspico di trovare anche negli scienziati di oggi (Rita Levi Montalcini)

Rita Levi Montalcini

 

Capiva gli studenti e ne perdonava le stramberie, ma non tollerava cose che riteneva improprie: allora inveiva, sprizzando saliva a destra e a sinistra. Le sue lezioni erano le più frequentate della facoltà, non perché vi si imparasse molto. L'anatomia si imparava studiando sui libri o facendo le dissezioni sui freddi tavoli di marmo bianco o le esercitazioni di anatomia microscopica nel vasto laboratorio al pianterreno. Gli studenti andavano a sentir Levi perché lo rispettavano, lo amavano. Era inoltre un simbolo di resistenza al fascismo, anche se si conteneva entro limiti che il regime poteva tollerare (Renato Dulbecco)

Renato Dulbecco