E' grazie alle parole che possiamo esprimere concetti, pensieri e stati d'animo. Ma quale percorso evolutivo ci ha portato a sviluppare delle così fini abilità comunicative? Wolfgang Enard del Max Planck Institut per l'antropologia evoluzionistica di Lipsia (in Germania) ha scoperto che topi modificati per esprimere la sequenza umana di Foxp2, un gene coinvolto nell'elaborazione del linguaggio, emettono richiami e vocalizzi più articolati. I topi "parlanti" mostrano inoltre cambiamenti strutturali, neurofisiologici e neurochimici in un'area del cervello che nell'uomo è associata al linguaggio. Foxp2 è presente anche nello scimpanzé, ma la sua sequenza differisce da quella delle grandi scimmie per due aminoacidi. Questa differenza sembra essere comparsa dopo che la linea evolutiva dell'uomo si è separata da quella delle grandi scimmie. È stato proprio per verificare il ruolo di Foxp2 nell'evoluzione del linguaggio che Enard ha inserito una copia del gene umano nel topo. I risultati dello studio, pubblicati su Cell, aggiungono un tassello in più nella ricostruzione del processo evolutivo che ha dato all'uomo il dono della parola. È questo inoltre il primo studio eseguito in un modello animale in grado di mostrare come una sostituzione aminoacidica possa essere rilevante per l'evoluzione umana.
Squittii quasi umani
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Il progetto Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.
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