Uno
studio finanziato da Telethon e dalla Fondazione
Mariani, descrive per la prima volta il meccanismo molecolare alla
base del deficit di apprendimento e memoria riscontrato nei pazienti
affetti da una forma genetica di disabilità intellettiva,
quella legata al cromosoma X.
Il ritardo mentale legato al
cromosoma X è una delle forme genetiche più comuni di ritardo
mentale.
In generale, il ritardo mentale è l’handicap più
frequente nei bambini e negli adolescenti, con un’incidenza del 3%
nella popolazione umana. I bambini colpiti mostrano limitazioni nelle
funzioni cognitive, nel linguaggio e nelle capacità sociali e
comunicative.
La
ricerca, pubblicata dalla prestigiosa rivista Neuron,
è stata coordinata da Maria
Passafaro,
ricercatrice dell’Istituto
di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (IN-CNR) di
Milano e dell’Istituto
Telethon Dulbecco.
Lo studio dimostrata l’importanza della proteina
TSPAN7, membro della superfamiglia delle tetraspanine.
Nei
pazienti affetti da questa disabilità intellettiva, la proteina
risulta alterata, non
riuscendo a svolgere correttamente la propria funzione che consiste
nel trasportare correttamente uno dei più importanti “messaggeri”
del cervello,
il
recettore di tipo AMPA per il glutammato.
Questo
neurotrasmettitore è coinvolto in numerose attività cerebrali, tra
cui memoria e apprendimento.
“Per esercitare il suo
ruolo, però, è fondamentale che le cellule nervose siano in grado
di captarlo correttamente, grazie ad appositi recettori situati sulla
loro superficie,
spiega Silvia Bassani,
assegnista presso l’IN-CNR e prima autrice del lavoro. "Nei pazienti affetti da disabilità intellettiva legata al cromosoma
X il difetto genetico nella proteina TSPAN7 si
traduce in un trasporto inefficiente sulla superficie dei neuroni di
uno dei recettori del glutammato, quello di tipo AMPA. In altre
parole, il recettore viene sottratto troppo velocemente dalla
superficie e, di conseguenza, i messaggi mediati dal glutammato
risultano ridotti”.
I ricercatori del CNR proveranno ora a
testare nel modello animale della malattia l’efficacia di alcuni
farmaci per cercare di mantenere il recettore in superficie più a
lungo: “Ce
ne sono almeno due, già utilizzati in ambito clinico, che potrebbero
fare al caso nostro",
spiega la ricercatrice. "Se
riusciremo a osservare in
vivo un
ripristino delle funzioni difettose a causa del difetto genetico
potremo pensare di proporne l’utilizzo anche nell’uomo, per
provare a stimolare un recupero delle capacità cognitive
deficitarie. Per valutare una possibile efficacia terapeutica di
queste sostanze ci vorranno almeno due anni, nei quali continueremo
ad andare a fondo dei complessi meccanismi che regolano la
comunicazione tra le cellule nervose e che sono fondamentali per
chiarire come funziona il nostro cervello, sia in condizioni
fisiologiche, sia in caso di malattia”.
Scacco al ritardo mentale?
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Influenza aviaria, le infezioni nei bovini e la risposta sanitaria
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