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Etica e scienza in Cina

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L’inchiesta che Science ha pubblicato nelle scorse settimane ha documentato ciò che era noto da tempo: in Cina c’è un florido commercio di articoli scientifici. C’è chi è disposto a pagare anche 10.000 dollari per apporre la sua firma in calce a un report da pubblicare su una rivista internazionale con peer review.
E ci sono vere e proprie agenzie che tirano le fila di questo commercio. Inoltre, come sostiene il giornalista scientifico free lance Shi-min Fang, vincitore nel 2012 del Maddox Prize, sulla rivista di divulgazione inglese New Scientist, tra i ricercatori cinesi è molto in uso il plagio ed esagerare le proprie qualifiche accademiche.
Insomma, il paese del Dragone non brilla per la sua integrità scientifica. La questione non va sottovalutata, perché la Cina è la potenza scientifica emergente. Prima al mondo, ormai, per numero di ricercatori (1,5 milioni).
Seconda dopo gli Stati Uniti sia per investimenti assoluti in ricerca e sviluppo (R&S) che per numero di articoli scientifici pubblicati (ci riferiamo all’anno 2012). Tuttavia lo scandalo del commercio cinese di articoli scientifici e il più grande fenomeno del plagio non vanno neppure sopravvalutati.
Proprio perché quello della scienza cinese è un mondo in rapidissima crescita. Con una competitività altissima.
Per forza di cose i sistemi di controllo non riescono a tener dietro a quella che possiamo considerare una delle più spettacolari espansioni della ricerca scientifica in un singolo paese che la storia recente (e non solo recente) abbia mai conosciuto.

La Cina investe sempre di più in ricerca scientifica

Sono oltre venti anni che gli investimenti cinesi in R&S crescono al ritmo, medio, del 20%annuo.
E proprio in ottobre il governo cinese ha annunciato, con soddisfazione, che ormai questi investimenti ammontano al 2,0% del Prodotto interno lordo. In altre parole, la Cina ha superato l’Europa anche per intensità di investimenti. E ora minaccia la performance americana. Pechino è intenzionata a raggiungere il 3,0% di investimenti in R&S entro il 2020. Forse ci riuscirà anche prima. Sempre nelle scorse settimane, il rapporto Global Innovation 1000 documentava come anche l’accelerazione dell’industria cinese, i cui investimenti in R&S, nel 2013, sono aumentati del 35,8%, contro il 4,5% dell’Europa e l’8,5% del Nord America. Negli ultimi cinque anni la fetta cinese nella torta mondiale degli investimenti industriali in R&S è passata dallo 0,4% (anno 2008) al 3,2%  (anno 2013). Tra le 1.000 aziende che investono di più al mondo, quelle cinesi sono ormai 75. Erano 50 nel 2012. Tutti questi dati ci dicono che la Cina intende trasformarsi velocemente sia in uno dei poli della ricerca scientifica di base sia in un’economia fondata sulla conoscenza. E che il tentativo, gigantesco, è supportato da una politica organica e coerente. Naturalmente non mancano i punti critici. La qualità della ricerca accademica cinese non è ancora paragonabile a quella europea e americana. La capacità di innovazione delle industrie è ancora limitata. Ma la derivata – la velocità di cambiamento – nella giusta direzione è sia per l’una che per l’altra elevatissima. Anche sul piano etico le tendenza è verso la convergenza con Europa e Stati Uniti.
Nell’editoriale a commento dell’inchiesta sul commercio degli articoli scientifici intitolato Research Integrity in China, firmato su Science, Wei Yang – presidente della National Natural Science Foundation of China e professore presso l’Istituto di Meccanica Applicata dell’Università Zhejiang di Hangzhou – sostiene che nel suo paese sta crescendo la consapevolezza dell’importanza dell’etica scientifica sia nella stessa comunità dei ricercatori, sia nelle autorità politiche e anche sui mezzi di comunicazione di massa. E che tale consapevolezza avrebbe portato, negli ultimi 14 anni, a una diminuzione del 70% dell’intensità di frodi scientifiche. Se ancora oggi il numero assoluto di casi di misconduct è elevato, è perché aumentato il numero di ricercatori cinesi (passati da 400.000 a 1.500.000 negli ultimi venti anni) ed è aumentato il numero di articoli firmati da ricercatori cinesi: da poco più di 20.000 nel 1999 a quasi 200.000 nel 2012. Sebbene lo sviluppo della scienza e della tecnologia fosse una di quelle “quattro modernizzazioni” indicate da Deng Xiaoping alla fine degli anni ‘70 che hanno generato il “rinascimento cinese” è solo a partire dal 2000 che è iniziato “il grande salto” della ricerca scientifica – e, in particolare, dello sviluppo tecnologico in Cina. Si tratta di un’espansione a tutto tondo e senza precedenti.
Il numero di ragazzi che si iscrivono all’università, per esempio, è passato dall’11% del 2000 al 35% del 2008.
Su 140 milioni di studenti universitari nel mondo, 25 ormai sono cinesi.
Tra il 2000 e 2008  il numero di laureati per anno in Cina è passato da 1,7 a 7 milioni. Il 39% degli studenti cinesi si iscrivono a facoltà scientifiche, contro il 5% degli studenti americani. E il numero dei laureati tra la popolazione in età da lavoro (più di 100 milioni ormai) ha raggiunto una percentuale (26%)  ormai pari a quella europea.
Nel medesimo tempo il numero di giovani cinesi che in un anno vanno all’estero per studiare in università straniere è salito a oltre 280.000 unità: tredici volte più che nel 1999. Ormai i cinesi che studiano all’estero sono 1,3 milioni: manco a dirlo, il più alto numero al mondo di giovani che studiano fuori dai confini nazionali. Nell’anno 2000 gli investimenti cinesi in R&S non andavano oltre lo 0,8% del prodotto interno lordo. Nel 2013 hanno raggiunto il 2,0%. Nel 2006 che è stato lanciato il Piano Nazionale di Medio e Lungo Termine per lo Sviluppo della Scienza e della Tecnologia 2006-2020, il cui obiettivo è quello fondare l’economia cinese sulla produzione di beni ad alta tecnologia: passando da una quota parte della produzione hi-tech dal 30% del 2006 al 60% del 2020.  Tutte queste cifre non per offrire un’immagine trionfalistica della scienza e dell’economia cinese (che continua a essere quella che cresce di più al mondo). Ma per contestualizzare i risultati dell’inchiesta di Science.
La Cina ha molte carte in regola per raggiungere gli standard etici (causa mancanza di democrazia, non tutte) della scienza europea e nordamericana. Se giocherà bene queste sue carte, la transizione da paesi in via di sviluppo a massima potenza economia e tecnoscientifica mondiale si consumerà nell’arco di appena due generazioni.
Se non le giocherà bene, rischia di compromettere una parte importante del suo (e di conseguenza, del nostro) futuro.


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