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Condannati per cattiva comunicazione della scienza

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Li hanno condannati tutti, con una pena durissima: 6 anni di reclusione. Li hanno condannati tutti, i membri della Commissione Grandi Rischi che si riunì a l’Aquila poco prima del terremoto del 6 aprile 2009. Li hanno condannati tutti, dirigenti della Protezione Civile e illustri geofisici come Franco Barberi  ed Enzo Boschi, non per «cattiva scienza» ma per «cattiva comunicazione della scienza».

È la prima volta al mondo. E – senza voler entrare nel merito della vicenda giudiziaria – la sentenza potrebbe avere effetti perversi sui diritti dei cittadini, nell’era della conoscenza, ad avere pieno e totale accesso all’informazione scientifica.

Vediamo perché. Tutto nasce dallo sciame sismico che nel dicembre 2008 investe l’Abruzzo, interessando in maniera pesante il capoluogo, L’Aquila. Le scosse si succedono per mesi. Ogni tanto ce n’è una più forte. C’è chi teme che possa arrivare una devastante. Per fare il punto della situazione l’allora capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, il 31 marzo convoca, proprio a L’Aquila, una riunione della Commissione Nazionale Grandi Rischi. La commissione, presieduta dal vice capo della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis, è composta da tecnici e scienziati e ha il compito di «fornire pareri di carattere tecnico-scientifico su quesiti del Capo Dipartimento e dare indicazioni su come migliorare la capacita di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi».

Al termine delle riunione De Bernardinis tiene una conferenza stampa rassicurante. Gli aquilani possono stare tranquilli e restare nello loro case, lo sciame sismico sta dissipando energia e dunque non ci sarà una scossa più forte.

Come siano andate le cose è noto. La scossa più forte arrivò una settimana dopo, mietendo molte vite. I famigliari di alcuni aquilani deceduti accusano la Commissione: i nostri cari volevano lasciare L’Aquila. Voi li avete rassicurati, inducendoli a restare. Siete colpevoli della loro morte.

La tesi è ripresa dalla Procura, che accusa la Commissione di cattiva comunicazione del rischio sismico. Di non aver detto compiutamente tutto quello che gli esperti, in scienza e coscienza, sapevano. E cioè che uno sciame sismico che dura da mesi si conclude in genere con un’attenuazione dell’intensità delle scosse. Già, in genere. Ma non sempre. In altri termini – sostengono i giudici – la Commissione ha dato per certo quello che è solo molto probabile. Male informata, la gente è rimasta in città ed è morta sotto le macerie di una scossa devastante. Se aveste data un’informazione corretta, molte di quelle persone si sarebbero salvate. Dunque vi accusiamo di omicidio plurimo colposo.

Si badi bene. L’accusa non è quella di non aver previsto il terremoto. Perché i terremoti non sono prevedibili con precisione deterministica. Ma di aver fornito un errato quadro statistico. 

Ma nessuno nel mondo aveva accusato di omicidio colposo tecnici e scienziati di una Commissione che ha solo parere consultivo a causa di una comunicazione giudicata errata. E il mondo si è interessato alla vicenda, forse più dell’Italia stessa. Il dibattito in tribunale è stato molto seguito dalle riviste scientifiche internazionali. La sentenza di primo grado giunta ieri ha accolto la tesi dell’accusa. E sta già suscitando clamore, anche fuori d’Italia.

Lo ripetiamo, non giudichiamo la sentenza. Ma ne prevediamo gli effetti. D’ora in avanti molti tecnici e molti scienziati non si porranno più il problema di informare correttamente il pubblico. Per evitare ogni equivoco, preferiranno tacere. Non esporsi. Privando i cittadini del diritto di sapere. Certo non sta ai giudici pronunciare sentenze che tengano conto degli effetti culturali e sociali. Ma sta alla politica regolare le forme e i modi in cui devono essere soddisfatti i nuovi diritti di cittadinanza scientifica. 

Fonte: L'Unità 23 ottobre 2012

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