Da molto mi ronzava in testa l’idea di aprire un discorso sulla valutazione: direi da poco dopo il mio rientro definitivo in Italia 7 od 8 anni fa. Dove stavo prima, di valutazione non si parlava più di quanto non si parlasse del cambio di stagione o delle tasse da pagare. La valutazione c’era, era seria, ed era un normale dato di fatto. Quindi perché parlarne? Poi sono tornato, ed anche qui all’inizio non sentivo parlare di valutazione. Eccetto che era per il motivo opposto, perché non c’era proprio, ed anche questo era un normale dato di fatto. La parola, ed il concetto che le stava sotto, iniziarono dopo un po’, chissà come, a fare capolino, e ne seguirono timidi tentativi di applicazione. E poi, al solito, fiumi di parole, fino a farla diventare, oggi, una parola inflazionata. Pareva, all’inizio, che i sia pur timidi tentativi di applicazione, anche forse sulla spinta di “charities” private come la Fondazione Telethon, fossero un buon avvio. Ma , vedi un po’ l’inesauribile inventiva Italiana, a raffiche di “eccellente” distribuiti a pioggia, la valutazione - di cui però ora è politicamente corretto riempirsi la bocca- ha finito con il divenire una farsa. Almeno se misurata sul metro dei paesi con cui dobbiamo confrontarci. So bene che alcuni colleghi che stimo , e che si sono, ad esempio, dati molto da fare con il CIVR, saranno meno pessimisti di me, ma tant’è, questo è quello che penso. Ma ecco che ora, di colpo, com’è come non è, il caso valutazione esplode su tutti i giornali, per via di una lettera che una Ricercatrice Pavese, in procinto di andarsene dall’Italia sbattendo la porta, scrive addirittura al Presidente della Repubblica. E tutti, ma proprio tutti, giù a prendere posizione, e ad emettere giudizi, neanche si stesse parlando dell’acqua su Marte e non di una cosa che più ovvia non potrebbe essere…
Vabbè, cerchiamo di riportare il discorso all’inizio: di dire, per esempio, che è persino deprimente star qui, nell’anno 2009, in un paese cosiddetto civile, a parlare di valutazione come se fosse la scoperta del secolo. Ma poi diciamo chiaro e tondo che la valutazione in Italia non esiste. Il perché non è chiaro: che sia per il fatto che in tutti noi, sin da piccini, viene inculcato e ribadito il concetto che l’unica valutazione è quella finale, quella della Valle di Giosofat? E che nell’attesa di essa possiamo peccare, e pentirci, naturalmente, quanto ci pare e piace? Mah, non lo so. So però che qui da noi l’idea dominante, per dirla volgarmente è “prendi i soldi e scappa”, che tanto nessuno ti chiederà mai conto di come li avrai spesi. E qui non si tratta solo di finanziamenti: la valutazione ha a che fare con ben altro, con i concorsi, i mitici concorsi, con la progressione di carriera , con il concetto base che tutti, e lo voglio dire con forza, dal Dottorando al Professore, devono essere valutati. E pagare, se trovati scarsi. Ecco un concetto che mi pare rivoluzionario, qui in Italia: Punizioni anziché premi. Deprimente sin che si vuole, ma chissà, magari potrebbe funzionare. Chiaro, e sento già le critiche e i distinguo, che il difetto sta nel manico, e cioè nella credibilità dei valutatori. Qui abbiamo una sorta di Comma 22, e se lasciamo che a valutare siano quelli che a loro volta verranno poi valutati, si cade non solo nel nefasto intreccio delle raffiche di “eccellente” ex ante, ma anche in una analoga spirale nella valutazione, che a me pare appunto la più importante , ex-post. Ma come, sento già dire, non è questo il tanto decantato sistema di peer-review che funziona così bene altrove? Certo che lo è, ma vogliamo dimenticare il Fattore I (I come Italia, naturalmente)? Qui tutto, in qualche modo, viene astutamente stravolto, dimodochè iniziative che sarebbero perfette, che so, negli Stati Uniti o in Germania, qui risultano sic et simpliciter nella preservazione dello status quo. Dico chiaro e forte: lasciamo fare la valutazione agli stranieri. Un piccolo segnale in questa direzione c’è, ed è la decisione del Ministero della Salute di far giudicare le domande di finanziamento dei giovani ricercatori nell’area delle Scienze della vita all’NIH di Bethesda (Nature 459, 900 (2009): …“The funding at stake will provide about €29 million to support 50 to 60 projects from young Italian researchers…”). Certo che così si dichiara di fatto la sfiducia nel sistema Italia, ma quando ci vuole ci vuole…
Ho detto prima parere mio, e naturalmente penso che sia un parere giusto. Ma è pur sempre il parere di un Professore a fine carriera, e quindi per chissà quanti motivi parziale. Inoltre è un Professore che ha passato tutta la vita lavorativa in paesi dove queste cose sono tanto ovvie che non se ne parla proprio. Magari, chissà, la mia ottica è un poco distorta. Vediamo, per iniziare, che cosa ne pensa la mia co-blogger, che è una giovane Ricercatrice rampante all’inizio della carriera.
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Ernesto Carafoli
Biochimica, Università di Padova