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Metàlogo al modo di Gregory Bateson

Padre - Che stai guardando?
Figlia - Papà, vieni qui, guarda che tramonto! Non è magnifico? Guarda che colori!
P - Sì, è davvero bello...
F - Bello... non ti sembra una parola un po'...
P - Un po'?...
F - Sì, un po' generica. Inespressiva. Ci sono tanti altri termini più precisi, più... appropriati.
P - Credi? A me sembra che ‘bello’ esprima il bello nel modo migliore. Nel modo più semplice e diretto.
F - Dici?
P - Quando una lingua comincia a produrre sinonimi e barocchismi è come se perdesse un po' di vigore. Acquista in precisione ma perde in forza.
F - Uhmmm...

* * *

Figlia - Papà?
Padre - Sì?
F - Che cos'è il bello?
P - Be’...
F - Be’?
P - Tu vorresti una definizione di bello, no?
F - Sì.
P - Non so se esiste una definizione di bello come esiste una definizione, diciamo, di triangolo o di cerchio.
F - Ma non si può dare una definizione di qualunque cosa?
P - Forse sì... forse no. Cioè, forse si può dare una definizione di bello, ma non è detto che funzioni. Per esempio posso dire: “Bello è il laterizio concettoso che rimane al termine del carnevale”. E' una definizione, no? Però non credo che funzioni...
F - Ma papà, perché sei sempre così contorto? Non puoi dire le cose in modo semplice?
P - Allora diciamo così: io non lo so definire il bello, non so definire la bellezza... però so riconoscere quando una cosa è bella.
F - Ah, è quello che dice Platone!
P - Che dice Platone?
F - L'ho fatto la settimana scorsa a scuola. Platone dice che noi non conosciamo le cose, ma le riconosciamo. Perché le abbiamo viste prima di nascere nel... nel...
P - Nel mondo delle idee?
F - Sì, e poi ce ne siamo dimenticati, ma quando le vediamo qui, nel mondo di quaggiù, allora ce ne ricordiamo e le riconosciamo.
P - Sì... Più o meno è così... Cioè... questo è quanto dice Platone. Fammi pensare... E' come se il tramonto che stiamo contemplando l'avessimo già visto... in una vita anteriore. Ma io non credo nella vita anteriore... Però credo nella filogenesi.
F - Non ricominciare con i tuoi paroloni, per favore.
P - Sì, voglio dire che non io, o tu, abbiamo già visto il tramonto, ma da secoli e secoli, da millenni, i nostri antenati hanno contemplato i tramonti. La specie umana nel suo sviluppo evolutivo... questa è la filogenesi, lo sviluppo della specie... ma non è evoluzione, è sempre coevoluzione.
F - Papà, adesso esageri...
P - Ascoltami bene. Possiamo dire che i tramonti ci sono da migliaia, milioni di anni, no? E possiamo anche dire che gli uomini, anche prima di diventare uomini, quando erano ancora ominidi, pre-uomini, omiciattoli, insomma tutti costoro hanno contemplato i tramonti. Si sono evoluti guardando i tramonti. Ogni sera guardavano il tramonto e intanto si evolvevano e diventavano uomini.
F - Ma non facevano altro che guardare i tramonti?
P - Sì, certo che facevano altro: mangiavano, dormivano, cacciavano, si raccontavano le storie, si accoppiavano... E mentre facevano tutte queste cose, si evolvevano, e la loro evoluzione avveniva in un ambiente, in un sistema, pieno di fenomeni che piano piano si stampavano in loro. Uno di questi fenomeni era il tramonto, ma ce n'erano tanti altri. Noi, attraverso gli occhi di migliaia e migliaia di generazioni che ci hanno preceduto, abbiamo ammirato i tramonti, le nuvole, le foreste, gli animali, le montagne... E' come se, nascendo oggi, avessimo dentro di noi il ricordo... o meglio è come se fossimo adattati o predisposti a riconoscere i tramonti e i mari e gli alberi, come dice Platone... Vedi che questi antichi filosofi non erano mica sprovveduti... Solo che non siamo stati noi a guardare tutte queste cose, sono stati loro, gli antenati.
F - Va bene, noi riconosciamo i tramonti perché ci siamo allenati a conoscerli attraverso gli occhi dei nostri antenati.
P - Sì. E ciascuno di noi, guardando un tramonto, non solo lo riconosce, ma rafforza in sé il ricordo del tramonto, rafforza l'adattamento degli umani al tramonto, e lo tramanda ai posteri. Quando veniamo al mondo abbiamo delle predisposizioni. Per esempio non mangiamo tutto, per esempio non mangiamo la sabbia, mangiamo solo i cibi con i quali ci siamo coevoluti e che non ci hanno fatto male. Sì, ogni tanto sbagliamo e mangiamo qualcosa di tossico, ma in genere ce la caviamo. Credo che ciò dipenda dalla saggezza del corpo...
F - La saggezza del corpo? Uhmmm... Ma che cosa c'entra questo con il bello? Posso capire che noi riconosciamo i tramonti e i cavalli e le sequoie, ma perché diciamo che sono cose belle?
P - Forse il bello, il senso della bellezza, quella che si potrebbe chiamare estetica... forse è la sensazione di riconoscere qualcosa di familiare, qualcosa che fa parte di un ampio sistema che comprende me, te, il cavallo e il tramonto. Voglio dire che se uno si sente bene nel sistema, se si sente integrato in un tutto armonioso e ben congegnato... be’, allora sente di trovarsi di fronte al bello.
F - Uhmmm... Insomma percepire la bellezza sarebbe avere la sensazione di...
P - Di una vasta armonia sistemica, che comprende il soggetto che contempla e l'oggetto che è contemplato.
F - Ci vuole il soggetto? Voglio dire, il tramonto è bello anche se io non lo guardo.
P - Il tramonto certo esiste anche se tu non lo guardi, anche se nessuno lo guarda, ma non so se si possa dire che è bello anche se nessuno lo guarda... Ho la sensazione che la bellezza non sia una cosa, ma sia una relazione. Una relazione tra soggetto e oggetto.
F - E' come l'informazione.
P - Giusto, è come l'informazione, come l'ordine, come il significato...
F - Allora se dipende dal soggetto...
P - Dipende anche dal soggetto...
F - Se dipende anche dal soggetto, certi oggetti sono belli per certe persone e non sono belli per certe altre persone
P - Un po’ è così, ma devi tener conto che le persone sono più o meno tutte uguali, quindi...
F - Ma papà, come puoi dire che le persone sono tutte uguali?
P - Ho detto più o meno tutte uguali...
F - Che cosa intendi dire?
P - Intendo dire che abbiamo tutti lo stesso DNA, e prim’ancora siamo tutti fatti della stessa materia di base, elettroni, protoni, neutroni, quark e tutto l'ambaradan, e i legami chimici e le cellule e così via... e poi, quanto alla vita, abbiamo tutti più o meno le stesse esperienze di gioia, dolore, speranza, avvilimento. Questo è il motivo per cui riusciamo a comunicare tra noi, perché siamo simili, siamo intonati l'uno all'altro. Condividiamo un bel po' di cose.
F - Come in questo nostro dialogo?
P - Sì, credo di sì.
F - Possiamo dialogare perché siamo più o meno uguali?
P - Sì, direi di sì.
F - E se non avessimo esperienze comuni?
P - Comunicare sarebbe difficile, se non impossibile.
F - Come comunicare coi delfini?
P - Be’, sì... i delfini hanno gli stessi protoni e lo stesso DNA, ma le loro esperienze esistenziali sono alquanto diverse dalle nostre, credo. Perciò è difficile comunicare con loro, anche se a certi livelli la comunicazione funziona.
F - Però i delfini hanno una lingua, me l'hai detto tu tante volte.
P - Sì, i delfini hanno una lingua, anche se non è la nostra lingua e se non sappiamo interpretarla, ma la lingua verbale non è l'unico mezzo per comunicare. Voglio dire che a livello emotivo e corporeo, a livello pre-verbale noi e i delfini possiamo scambiarci molti messaggi. Più difficile è comunicare con un millepiedi.
F - Uhmmm... Com'è che siamo arrivati ai millepiedi?
P - Già... che cosa c'entrano i millepiedi?
F - Ah, sì, adesso mi ricordo... io dicevo che se la bellezza è relativa al soggetto, allora un oggetto può essere bello per qualcuno e non bello per qualcun altro. E tu te ne sei uscito con la faccenda che le persone sono tutte uguali, per cui...
P - Sono quasi uguali... per cui nei confronti degli oggetti dànno quasi tutte più o meno la stessa valutazione estetica. Un tramonto è bello per tutti, o quasi, una montagna è bella per tutti, o quasi, la quercia è bella per tutti...
F - ... o quasi. Sì, ho capito.

* * *

Figlia - Papà?
Padre - Sì?
F - Ma in natura non ci sono soltanto cose belle, ci sono anche cose brutte.
P - Uhmmm... Cose brutte? Forse sì... Ma spesso le cose che chiamiamo brutte sono solo cose pericolose.
F - Cioè?
P - Non ne sono sicuro, ma credo che i legami tra bello e brutto da una parte e buono e cattivo dall'altra siano molto stretti.
F - Cioè le cose belle sono buone e quelle brutte sono cattive?
P - Non è così semplice. A volte le cose belle sono pericolose e le cose brutte sono giovevoli.
F - Allora?
P - Uhmmm... La cosa è complicata. Provo a dirlo in un altro modo. Chiamiamo estetica ciò che ha a che fare con il bello, e chiamiamo etica ciò che ha a che fare con il buono.
F - Che paroloni... D'accordo.
P - Allora io dico che etica ed estetica sono legate a doppio filo, sono inseparabili. Etica ed estetica affondano le loro radici nella nostra storia evolutiva. Per l'estetica te l'ho già detto. Quanto all'etica...
F - Cioè il concetto di buono e cattivo...
P - Esatto... L'etica consiste in quelle azioni che mantengono sano ed equilibrato il nostro rapporto con il sistema complessivo. Provo a dare una definizione, così sei contenta: 
L’estetica è la percezione soggettiva (ma condivisa, quindi intersoggettiva) del nostro legame immersivo con l’ambiente, immersione caratterizzata da una profonda ed equilibrata armonia dinamica. L’etica è la capacità, soggettiva e intersoggettiva, di concepire e compiere azioni capaci di mantenere armonioso ed equilibrato il legame immersivo con l’ambiente.
Ti convince?
F - Uhmmm... Devo pensarci, non è così semplice...

* * *

Figlia - Papà?
Padre - Sì?
F - Ci ho pensato, sai. Adesso provo a dirtelo. Io provo la sensazione del bello quando mi sento immersa in modo armonioso nell'ambiente, quando sento che faccio parte di un tutto. E’ così?
P - Certo. La parola ‘estetica’ deriva dal greco, e vuol dire sentire, sentire con il corpo, con i sensi. E quando tu senti di far parte di un contesto, di un sistema equilibrato e vivente, allora hai la sensazione di essere di fronte al bello. E' come nuotare in un mare caldo e accogliente.
F - E l'etica, cioè il buono? Questo è più difficile.
P - La sensazione estetica di immersione armoniosa nell'ambiente, cioè il senso della bellezza, ti piace?
F - Be’, sì, direi proprio di sì.
P - E faresti in modo di conservare quell'armonia sistemica che ti piace? Oppure vorresti distruggerla?
F - No, no, certo, vorrei conservarla.
P - Ecco il punto: tutto ciò che fai per conservarla è etico, fa parte del buono, invece le azioni che compromettono quell'armonia sono antietiche, sono cattive.
F - Sì, capisco.
P - Allora possiamo dire che etica ed estetica sono due facce della stessa medaglia, perché sono entrambe il rispecchiamento in noi della coevoluzione tra la specie umana e il resto dell'ambiente, anche se questa separazione tra specie e ambiente non ha molto senso: il sistema è uno solo. Noi siamo inestricabilmente legati all'ambiente e l'ambiente a noi. Il sistema complessivo si è evoluto mantenendo tra le sue componenti un'armonia equilibrata. Ma non è un equilibrio statico, sempre uguale a sé stesso, anzi è molto dinamico, pieno di novità, di emergenze.
F - Fermati, papà, non così in fretta! Oh! Che cosa vuol dire equilibrio dinamico? L'hai detto anche prima, ma non sono sicura di aver capito.
P - E' come quando si va a cavallo o in bicicletta: in ogni istante si è in equilibrio, ma l'equilibrio è diverso da istante a istante, perché si devono fare di continuo piccoli o grandi movimenti per evitare di cadere, cioè di perdere l'equilibrio. O come l'acrobata sul filo, il quale per non cadere deve continuamente spostare l'asta. Invece un equilibrio statico è quello di un palazzo, che non si muove mai.
F - A meno che non venga un terremoto.
P - Il terremoto può far crollare un palazzo, ma non può far crollare un gatto, il quale è capace di controbilanciare le scosse con i suoi saggi movimenti. Quindi l'equilibrio dinamico è più “saggio” di quello statico. Anche la natura, cioè il sistema complessivo, nella sua saggezza sistemica adotta un equilibrio dinamico e, se viene perturbata, dopo un tempo più o meno lungo torna in equilibrio, magari a un equilibrio diverso dal precedente, ma pur sempre un equilibrio. Allora diciamo che la natura ha capacità automedicatrici, oppure che è un sistema dotato di omeostasi.
F - Uhmmm... Meostasi...
P - Omeostasi.
F - Uhmmm...

* * *

Figlia - Papà?
Padre - Sì?
F - Quindi noi siamo sempre in equilibrio... dinamico... con il sistema... con la natura?
P - Se percepiamo l'armonia del tutto e quindi abbiamo la sensazione del bello, ciò significa che siamo in equilibrio. E se agiamo in modo da mantenere il sistema in equilibrio, magari modificando questo equilibrio senza sconvolgerlo, allora possiamo continuare a percepire il bello, un bello variabile, mutevole. Dinamico. E se ci comportiamo così, allora agiamo in modo etico.
F - E se sconvolgiamo l'equilibrio?
P - Allora il nostro comportamento non è più etico, ma antietico. E se lo sconvolgimento è troppo violento può darsi che la natura non riesca ad automedicarsi, e perdiamo la bellezza. Gli uomini compiono molte azioni antietiche, e generano molta bruttezza. Finora, a quanto pare, non siamo riusciti ancora a sconvolgere l'equilibrio complessivo, ma ci stiamo provando in molti modi. E la perdita dell'equilibrio comporterebbe la nostra perdita.
F - Quindi nell'agire dobbiamo seguire l'estetica.
P - Proprio così: l'estetica ci serve da guida nell'operare etico e a sua volta l'etica ci consente di mantenere l'estetica. Il bello e il buono si sorreggono a vicenda. E si sorreggono modificandosi continuamente. Etica ed estetica sono storiche, evolutive. Tutto si evolve, sai.
F - Tutto si evolve...
E - Ed è difficile dire dove porti l'evoluzione, ci sono tante contingenze, cioè eventi che si sono presentati ma che potevano anche non presentarsi... Insomma c'è una buona dose di casualità, almeno ai nostri occhi, anche se spesso si può ravvisare una direzione generale, almeno a posteriori.
F - E' come questa nostra conversazione, papà. Anche qui c'è una buona dose di casualità, perché andiamo un po' di qua e un po' di là, ma si può anche ravvisare una direzione generale.
P - Ma qui la direzione generale è dettata dal tema che ci sta a cuore, voglio dire che nei nostri discorsi c'è un fine, un argomento, un traguardo, noi vogliamo parlare del bello e del buono, mentre l'evoluzione del sistema complessivo chissà da che cosa è guidata...
F - Uhmmm... 

* * *

Figlia- Papà?
Padre - Sì?
F - Prima tu hai detto che le cose brutte in realtà sono cose pericolose.
P - No, cioè sì, l'ho detto, ma non ne sono affatto sicuro.
F - Volevi dire che in natura non ci sono cose brutte, ma solo cose belle perché tutte le cose partecipano dell'armonia e allora dobbiamo giudicare in base ad altri criteri, tipo l'utile e il nocivo?
P - Può darsi... Vedi, per esempio la tigre è una animale bellissimo, perché è così ben armonizzato nel suo ambiente, e il suo muso è un capolavoro di forma e di colore... eppure non vorrei trovarmi faccia a faccia con una tigre.
F - Vuoi dire faccia a muso...
P - Be’, sì... Però il criterio dell'utile e del nocivo è un criterio molto umano, si riferisce a noi, che siamo un sottosistema del sistema totale. Non è un criterio sistemico.
F - Uhmmm... 

* * *

Figlia - Però ci sono delle persone che hanno un bel viso e altre che hanno un brutto viso.
Padre - Sì, ma se le conosci meglio, magari a volte le persone brutte si rivelano migliori delle belle.
F - Ma papà, non parliamo delle qualità intellettuali o morali o di spirito, parliamo di estetica. Siamo di fronte a un viso come di fronte a un tramonto! Capisci quello che voglio dire?
P - Sì, certo... Ma anche ai visi delle persone siamo abituati da migliaia e migliaia di anni e forse ci siamo fatti una sorta di modello, un modello medio, del viso umano, e i visi che si discostano da questa media ci sembrano meno belli.
F - Brutti, papà.
P - Sì, a volte proprio brutti. Forse abbiamo dei criteri di giudizio estetico di cui non siamo del tutto consapevoli, per esempio la simmetria, o certi colori... del resto anche gli animali adottano dei criteri estetici, per esempio quando scelgono il compagno o la compagna per accoppiarsi, be’ anche loro si fanno influenzare dalla bellezza...
F - Parli della coda del pavone?
P - Per esempio. Le femmine del pavone scelgono il maschio con la coda più appariscente e sgargiante, ma anche tra gli umani la scelta sessuale si fa spesso in base a criteri puramente estetici. 

* * *

Figlia - Ma perché certe cose ci sembrano belle e altre brutte, papà?
Padre - Ma ne stiamo parlando da un'ora...
F - Sì, ma non mi è ancora chiaro. Che cosa c'è sotto? Vorrei capire.
P - Capire? Uhmmm... Non so... Non so se si possa capire il  bello, voglio dire come si capisce un teorema. Forse bisogna accontentarsi della sensazione, dell'emozione, del piacere che si prova. La sensazione di essere parte...
F - ... sì, di essere parte di un tutto armonioso... Ma che cosa vuol dire armonioso? Perché diciamo che una cosa o un sistema è armonioso e un altro no?
P - Be’... Non lo so.
F - Uhmmm... Non abbiamo fatto molti progressi con la nostra conversazione, vero, papà?
P - Invece sì. Intanto abbiamo parlato, e questo rafforza la nostra relazione padre-figlia. Poi abbiamo capito certe cose. E abbiamo anche capito che ci sono cose che non abbiamo capito. Non è poco.
F - Forse hai ragione, però a me piacerebbe capire quello che non ho capito, quello che ho capito l'ho capito e basta, non m'interessa più.
P - Ma forse non tutto si può capire...
F - Uhmmm... 

* * *

Padre - Senti, ti piace la cioccolata?
Figlia - Oh, sì, tantissimo!
P - E perché ti piace la cioccolata?
F - Be’, perché è buona.
P - Ma non lo sapresti spiegare in modo articolato? Dire che è buona e dire che ti piace è la stessa cosa. Tu prima volevi capire perché una cosa è bella. Adesso ti chiedo di capire perché la cioccolata è buona.
F - Mah, non lo so...
P - E non vorresti capirlo?
F - Sì, cioè... non lo so, non m'interessa capirlo, mi basta che mi piaccia.
P - Forse perché il nostro corpo ha una sua saggia predisposizione che s'incontra in modo armonioso con la cioccolata. Palato e cioccolata formano un piccolo sistema in equilibrio armonioso, come l'occhio e il tramonto... Forse non c'è bisogno di capire perché ci piace la cioccolata o perché ci piace un tramonto. O meglio: capirlo non aggiungerebbe nulla al piacere, anzi per alcuni toglierebbe qualcosa. Illuminare troppo la nostra stanza, o la natura, fugare tutte le ombre, eliminare gli angoli oscuri non è sempre un'operazione saggia.
F - Ma la scienza si propone proprio questo: eliminare tutte le ombre.
P - E' vero, ma non sempre scienza e saggezza vanno d'accordo. Spesso è l'ombra che dà significato e rilievo alla luce e la luce senz'ombra può essere mortifera. Bisogna agire con cautela e prudenza. Non bisogna parlare sempre, bisogna anche osservare il silenzio. E' con il silenzio che esprimiamo il rispetto dovuto ad ogni componente del sistema e al sistema nel suo complesso. Il silenzio è il segno del sacro.
F - Che cosa intendi per sacro?
P - Il sacro è ciò con cui non si deve interferire. Il sacro è il sistema complessivo, è il tutto, e a questo tutto ci si deve accostare con timore e reverenza. Nei confronti del sacro non si deve agire in modo arrogante, privilegiando il finalismo consapevole in vista dei propri scopi. L'azione non dovrebbe nascere dallo sforzo di conseguire un traguardo, ma dall'assenza di sforzo.
F - Come quando il Vecchio Marinaio benedice inconsapevolmente i serpenti marini?
P - Sì, proprio così. Solo un'azione profondamente etica, cioè disinteressata, o meglio interessata al tutto armonioso, può generare la bellezza e fortificare la bontà. Pazienza e disciplina.
F - Uhmmm... Allora il sacro è legato al bello e al buono.
P - Sì, credo di sì. E' la rappresentazione in noi del modo in cui le parti si dispongono tra loro in un ordine sistemico, estetico ed etico, che si chiama vita, oppure mente. Nella mente bellezza e bontà coincidono. E la mente si chiama anche evoluzione.
F - E il tramonto che abbiamo visto prima?
P - Fa parte della mente, come l'oceano che si stende davanti a noi nella semioscurità. Contribuisce alla bellezza e alla bontà, delle quali dovremmo essere i custodi attenti, fedeli, rispettosi.
F - Quindi la conoscenza, la scienza?
P - Forse ci sono cose più importanti della conoscenza. Il rispetto e la devozione. Il disinteresse per sé e l'interesse per il tutto. C'è un verso di Alexander Pope:
Perché gli stolti si precipitano dove gli angeli temono di posare il piede.
E' l'esitazione che ci dovrebbe cogliere quando proviamo il desiderio di svelare l'arcano e di fugare le ombre, trattenendoci sulla soglia prima di posare il piede, prima di turbare il mondo. E' il sentimento della sacralità che ci sta di fronte, il rispetto per il sistema complessivo, che esisteva gran tempo prima di noi e che continuerà ad esistere dopo di noi. Se saremo abbastanza saggi da conservarlo.
F - Non è facile. A me viene sempre voglia di sapere e di fare.
P - Certo, non è facile. Ma ci si può riuscire. Saggi non si nasce, si diventa.

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