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Quanto è inquinata la Terra dei Fuochi

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Al tempo dei Romani era chiamata Campania Felix. Più tardi era nota come Terra del Lavoro. Oggi è conosciuta come Terra dei Fuochi. Gli storici potrebbero storcere il naso, perché non c’è una identificazione esatta tra le tre aree che nel corso della storia hanno assunto queste diverse denominazioni. E tuttavia la dinamica del nome con cui in diverse epoche storiche è stata chiamata una vasta area a cavallo tra le provincie di Napoli e Caserta ha un forte significato simbolico. È l’indicazione di un’evoluzione: da terra simbolo dell’abbondanza a terra simbolo del rischio. Anche alimentare. Già, perché nella Terra dei fuochi, già Campania Felix, è stata oggetto negli ultimi decenni di un’imponente attività illegale di smaltimento di rifiuti speciali e pericolosi (compresi quelli tossici e nocivi) di origine industriale che ha generato un preoccupante aumento del tasso di inquinamento chimico, biologico e forse anche fisico (radioattività). Un inquinamento che, come dimostrano molte indagini epidemiologiche, ha effetto significativi sulla salute umana.

Già, ma cosa intendiamo, esattamente, per Terra dei Fuochi e quanto è inquinata? La domanda ha enormi implicazioni. A iniziare da quelle sanitarie: c’è infatti un riscontrabile aumento di alcune patologie, come dimostra la scheda n. 3, Una sintesi delle conoscenze epidemiologiche relative al ciclo dei rifiuti nelle province di Napoli e Caserta pubblicata di recente da due ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, Lucia Fazzo e Pietro Comba, sulla rivista Epidemiologia & Prevenzione. Ma ci sono anche implicazioni di tipo economico: l’esposizione mediatica della Terra del Lavoro diventata Terra dei Fuochi ha, per esempio, determinato un’erosione dell’immagine dell’intera produzione agroalimentare della Campania.

È per questo che la risposta alla domanda è diventata parte non secondaria del Decreto Legislativo, «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali e a favorire lo sviluppo delle aree interessate», noto come “decreto Terra dei Fuochi”, divenuto legge lo scorso 5 febbraio.
Una prima (e, diciamolo fin dall’inizio, parziale) risposta alla domanda è stata resa pubblica il 13 marzo scorso dalla pubblicazione, da parte del Ministero dell’Agricoltura, del rapporto «Indicazioni per lo svolgimento delle indagini tecniche per la mappatura dei terreni della Regione Campania destinati all'agricoltura di cui art.1, comma 1 DL 10.12.2013 n. 136», redatto da 13 ricercatori affiliati al CRA (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), all’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale), all’ISS (Istituto Superiore di Sanità), alla Regione Campania; all’AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura), alla Regione Campania, all’ARPAC (Agenzia per la ricerca e la protezione ambientale della Campania), agli Istituti zooprofilattici dell’Abruzzo e Molise e della Campania; all’Università Federico II di Napoli . La Terra dei Fuochi comprende i territori di 57 diversi comuni, a cavallo tra le provincie di Caserta e di Napoli, per un’area complessiva di 107.614. Il rapporto riguarda il solo territorio a uso agricolo, pari a 58.731 ettari (il 54,6% del totale). E ha individuato un inquinamento tale da consigliare il divieto assoluto di uso agricolo per complessivi 1.146,6 ettari, pari all’1,95% dell’intero territorio coltivato.
Ma come – hanno detto alcuni noti commentatori – solo il 2% della Terra dei Fuochi è contaminata? Questo dato fa a pugni con la storia, anche giudiziaria, degli ultimi decenni e con la percezione che dell’inquinamento e del rischio ne ha la popolazione. C’è qualcosa che non quadra. La polemica è tracimata sui media e ha creato un po’ di confusione.
Conviene cercare di capirne di più, come ci propone Fabrizio Bianchi, epidemiologo del CNR, in un articolo, Terra dei fuochi: conoscenze e interventi pubblicato sempre su Epidemiologia & Prevenzione.
Il rapporto presentato al Ministero dell’Agricoltura preso in esame le sole aree agricole. Non ha considerato dunque le aree industriali, minerarie, le discariche, le aree urbane che rappresentano il 45,4% del territorio, oggetto a loro volta sia di smaltimento illegale di rifiuti speciali e pericolosi (bruciati o interrati), sia di smaltimento non sempre a norma di rifiuti solidi urbani. Inoltre il rapporto riguarda l’inquinamento del suolo e non prende in esame quello delle acque o dell’aria.
Il rapporto ha preso in esame inquinamento da metalli pesanti, da composti organici, da patogeni e da radionuclidi e ha definito 5 livelli di rischio.

I risultati dell’indagine sono questi:

Il gruppo di ricerca ha individuato un numero complessivo di 47 siti per un’area di 56,5 ettari, i cui terreni presentano concentrazione di inquinanti pari ad almeno di 10 volte le “concentrazioni soglia di contaminazione” (CSC). Ha poi individuato 90 siti, per complessivi 94,1 ettari, dove le concentrazioni di inquinanti sono comprese tra 2 e 10 volte le CSC. Inoltre 1.249 siti, per complessivi 820 ettari, si valuta una presenza di inquinanti compresa tra 2 e 10 volte le CSC sulla base di sole foto aeree. Infine, in 176 siti, per complessivi 176 ettari, si è rilevato un inquinamento pari a 2 volte le CSC. In totale, i siti contaminati risultano 1.562, per un’estensione di 1146,6 ettari. Il 2%, appunto, dell’intera Terra dei Fuochi. È poco, è molto?
Difficile dirlo. Certo, il rapporto non è (e non vuole essere) una descrizione complessiva dell’inquinamento della Terra dei Fuochi. E non è neppure una descrizione complessiva dell’inquinamento della sola superficie agricola della Terra dei Fuochi, non fosse altro perché sono ancora da determinare (entro 90 giorni dalla data di pubblicazione del rapporto) gli inquinamenti nelle aree agricole prossime a discariche o a siti industriali.
Si tratta di una tappa di un lavoro che dovrà essere molto più ampio e sistemico. Quel 2% rappresenta un valore minimo. L’area inquinata nella Terra dei Fuochi è certamente maggiore. Certo a essere contaminata non è tutta la Terra dei Fuochi.
Ma, sia come sia, quei 1146,6 ettari di terreni inquinati già individuati non sono davvero poca cosa. E chiedono l’avvio di un’operazione immediata di bonifica.

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