fbpx Nicola Vanacore: alla scoperta del continente sommerso delle RSA | Scienza in rete

Nicola Vanacore: alla scoperta del continente sommerso delle RSA

Primary tabs

Tempo di lettura: 6 mins

L'Istituto Superiore di Sanità ha condotto il “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie”, pubblicato nei giorni scorsi. Cristiana Pulcinelli ne ha parlato con Nicola Vanacore, responsabile dell’Osservatorio demenze dell’ISS e uno dei curatori del rapporto finale, per capire i principali risultati, quali sono state le principali criticità osservate nelle RSA durante l'epidemia e quali possono essere le azioni future da intraprendere.

Crediti immagine: congerdesign/Pixabay. Licenza: Pixabay License

Nei mesi in cui la pandemia di Covid-19 ha colpito più duramente, le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) sono state luoghi critici. All’interno di quelle strutture che ospitano persone anziane e fragili si sono sviluppati focolai importanti con la conseguenza di un aumento significativo dei decessi. Un fenomeno che non ha riguardato solo l’Italia, ma che nel nostro Paese è sicuramente costato molte vite.

Per capire cosa è successo e cercare di evitare che possa ripetersi in futuro ora abbiamo uno strumento in più: la “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie” condotta dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. «L’indagine è stata definita verso la fine di marzo quando si è cominciato a capire che, mentre i dati sui decessi forniti dalla Protezione Civile riguardavano le persone che erano risultate positive al tampone, c’erano molti altri casi sospetti che non avevano mai fatto il test e che quindi il numero dei deceduti era probabilmente sottostimato”, spiega Nicola Vanacore, responsabile dell’Osservatorio demenze dell’ISS e uno dei curatori del rapporto finale dell’indagine che è stato pubblicato nei giorni scorsi. L'abbiamo intervistato.

Quale è stato il primo problema che avete incontrato?

Il fatto che non esiste un censimento nazionale aggiornato delle RSA, così come non esiste delle case di riposo (che svolgono un compito socio-assistenziale e non sanitario) o delle RSA psichiatriche. Eppure si calcola che in tutto siano 11.000 con circa 300.000 persone ospitate. Un problema cui si sta mettendo mano solo ora. La prima cosa che abbiamo fatto quindi è stata individuare 3.417 RSA pubbliche e private diffuse in tutta Italia presenti nella lista dell’Osservatorio Demenze. Una lista costruita negli anni grazie a un’interazione costante con le regioni. Abbiamo inviato ai referenti di queste strutture un questionario on line con 29 domande che esploravano la situazione in corso a partire dal primo febbraio 2020 e le procedure e i comportamenti adottati per ridurre il rischio di contagio da Covid-19. Era il 24 marzo.

Da quel giorno e fino al 5 maggio hanno risposto 1356 strutture, pari al 41,3 % di quelle contattate.

Come vi siete spiegati il fatto che molti non abbiano risposto?

Bisogna considerare che la risposta era su base volontaria, inoltre l’indagine è stata condotta durante il periodo più critico della pandemia, quando anche riempire un questionario era molto difficile per gli operatori. Il giorno dopo l’invio del questionario, però, abbiamo telefonato a tutti i referenti delle strutture e questi colloqui ci hanno fatto capire molte cose, per esempio che coloro che poi non hanno risposto erano gli stessi che avevano avuto più problemi.

I risultati dell’indagine sicuramente hanno sottostimato la situazione e lo abbiamo verificato successivamente con un lavoro sulle rassegne stampa. Il lavoro consisteva nel controllare se le RSA il cui nome compariva in una notizia pubblicata avevano partecipato o meno alla survey: ebbene, su 73 strutture citate sui giornali, 23 avevano risposto e 50 no. Ma, nonostante tutto, bisogna notare che questa è l’unica survey al mondo effettuata durante la pandemia, e sappiamo che i paesi che hanno riscontrato questi stessi problemi sono tanti: la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Belgio, il Canada…

Cosa è emerso dalla vostra indagine?

Due risultati importanti: uno riguarda la caratterizzazione in termini di deceduti e l’altro le carenze di queste strutture. Per quanto riguarda i deceduti non abbiamo fatto un confronto con l’anno precedente per rendere il questionario più semplice da compilare, abbiamo però chiesto quanti erano i deceduti con Covid-19 e quanti con sintomatologia simil influenzale. Il totale dei decessi nel periodo analizzato è stato di 9.154, di cui 680 Covid positivi e 3.092 con sintomi di tipo influenzale. Ma, poiché il picco dei decessi è avvenuto negli ultimi 15 giorni di marzo, quando il virus influenzale non circolava quasi più, si può pensare che molti di quei decessi siano da attribuire al virus SARS-CoV-2. Nelle RSA quindi spesso non sono stati fatti i tamponi. E infatti il 52% delle strutture dichiara, tra le difficoltà riscontrate, l’impossibilità di effettuare tamponi.

L’altra grande criticità è stata la mancanza di DPI, i dispositivi di protezione individuale, riscontrata nel 77% delle strutture.

Dall’analisi delle risposte inoltre si evidenzia una grande differenziazione tra le strutture: ci sono RSA ben organizzate anche con stanze singole per l’isolamento del paziente e altre poco organizzate. Un dato evidente è che mentre nell’Italia del nord il contagio era diffuso a tutta la popolazione, nel Centro Sud i focolai si sono concentrati soprattutto nelle RSA e nelle case di riposo. E, in effetti, il 26 aprile delle 108 zone rosse dichiarate dalle regioni del Centro Sud, la maggior parte si trovavano intorno alle RSA.

Constatate queste difficoltà, si sono messe in atto anche delle azioni per cercare di porre rimedio?

I dati raccolti servivano soprattutto per prendere decisioni per l’azione. Come ISS abbiamo messo in piedi 6 webinar con i referenti delle RSA, un corso FAD per operatori socio-sanitari (per i quali di norma non sono previsti crediti ECM), inoltre quando abbiamo individuato situazioni più critiche abbiamo messo in contatto il personale della RSA con infermiere esperte nella gestione del contagio nosocomiale. Insomma, il nostro intento era doppio: permettere l’emersione del fenomeno e svolgere un’azione di sanità pubblica.

Adesso cosa succede?

Dal 4 maggio, inizio della Fase 2, è partito il monitoraggio delle regioni che, in base ad alcuni indicatori, ci permette di capire l’andamento dell’epidemia. Tra i 21 indicatori che le regioni devono fornire all’autorità centrale, siamo riusciti a far inserire un indicatore sulle RSA, anche se purtroppo solo in modo opzionale e non riesco a capire il perché. Al momento è in via di definizione, ma è comunque un risultato importante. Per monitorare Covid-19 bisogna portare a regime l’attività di sorveglianza sulle RSA. E far sì che i flussi informativi delle regioni vengano ottimizzati, colmando le carenze.

Ricordiamo che molte di queste strutture sono private convenzionate e forse finora su di esse c’è stata poca attenzione da parte delle ASL. Un nodo importante ad esempio è il numero adeguato di professionisti impiegati: ci deve essere un buon rapporto tra operatori e ospiti. E questo vale non solo per Covid-19. A questo proposito voglio ricordare una ricerca inglese di una decina di anni fa sul problema della contenzione chimica che viene attuata con farmaci neurolettici utilizzati off label che hanno un impatto sull’aumento di mortalità dei degenti. Ebbene, si è visto che aumentando il numero del personale nelle nursing home inglesi, si riduceva del 50% l’uso di questi farmaci. La decisione di assumere più personale e di qualità, dunque, non può essere lasciata alla responsabilità individuale dell’imprenditore.

Che lezione possiamo trarre dal caso RSA?

Questa vicenda del Covid-19 nelle RSA e nelle case di riposo ci insegna che dobbiamo perseguire, con politiche centrali e locali di diversa natura ed efficacia rispetto al passato, l’appropriatezza dei trattamenti e la qualità dell’assistenza di chi vi risiede, anziano e non. Abbiamo necessità di un cambiamento profondo in termini di sanità pubblica verso questo setting assistenziale. Il paradosso di questa vicenda delle RSA italiane durante la pandemia è che, guardando criticamente i dati analoghi degli altri Paesi, noi non abbiamo ad oggi il quadro esatto di ciò che sia accaduto. La survey che abbiamo condotto ce lo fa solo intravedere. 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.