L’8 aprile scorso il Dicastero per la dottrina della fede ha emesso la dichiarazione Dignitas infinita, che tra i molti no sui temi dell’autodeterminazione contiene anche la condanna alla gestazione per altre persone, anzi il papa in persona esorta a dichiararla reato universale. Peccato che ancora una volta ci si riferisca alla sola versione “in affitto”, ignorando le esperienze che sono ormai di tante persone: gestanti, genitori e figli e figlie di un progetto solidale. Si guarda altrove per non dover affrontare la realtà dei nuovi modi per essere genitori.
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«Io non mi sono mai, in tutta la mia vita, sentita un “prodotto”, questa è la parola che più mi ha fatto soffrire, che più mi ha fatto arrabbiare». Lia Giartosio Goretti, nata 18 anni fa grazie a un percorso di gravidanza per altri e felicemente parte di una famiglia con due padri e un fratello (a sua volta figlio di GPA) ha portato questa convinta testimonianza alla giornata di lavori “Famiglie e diritti universali. Libertà e autodeterminazione nei percorsi di gravidanza per altre e altri”, organizzata dalle associazioni Luca Coscioni e Famiglie arcobaleno, non più tardi dello scorso 5 aprile. La registrazione dell’intera giornata può essere ascoltata qui.
E che abisso di sentire e di vissuto tra il racconto di questa giovane donna che l’esperienza di diversità ha reso forse solo più consapevole e più determinata di tante coetanee e le parole di condanna contenute nella Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede “Dignitas infinita circa la dignità umana”, rese pubbliche l’8 aprile. «La Chiesa, altresì, prende posizione contro la pratica della maternità surrogata, attraverso la quale il bambino, immensamente degno, diventa un mero oggetto», si legge al punto 48 della Dichiarazione e le parole di papa Francesco, immediatamente successive sono, se possibile, ancora più drastiche: «Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto. Auspico, pertanto, un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica».
Quanto è degno mantenere un equivoco?
Forse non stupisce che si ritrovi in accordo con la linea dell’attuale governo questo documento che, riguardo ad alcuni dei punti controversi del più recente dibattito pubblico: suicidio assistito ed eutanasia, cambio di sesso e disforia di genere (presentata solo come teoria gender) e, naturalmente, aborto, dice solo dei no, come fa notare il filosofo Gianfranco Pellegrino sul quotidiano Domani. La dottrina della Chiesa cattolica si ritrova su queste posizioni da anni, seppur con qualche minima apertura su singoli aspetti.
A onor di cronaca bisogna riconoscere che su guerra e migranti, le posizioni del documento vaticano e l’approccio del governo sono distanti, ma qui ci preme soprattutto sottolineare quanto la rappresentazione della realtà della gravidanza per altre persone sia distorta e distorcente nella lettura che ne fa il documento vaticano, che in sostanza si riferisce solo alla versione commerciale, volgarmente nota come “utero in affitto”.
Come se non esistessero esperienze diverse, ormai numerose e documentate. Come ha fatto, per esempio, l’antropologa e documentarista Rossella Anitori che ha costruito il racconto in prima persona di donne che si sono offerte come gestanti in diversi Paesi europei. Qui è possibile vedere il trailer. Altrettanto interessante, il lavoro di ricerca dello psicologo sociale Mariano Beltran, Università autonoma di Barcellona, che ha raccolto le testimonianze di gestanti per altre persone in Ucraina, Messico, Stati Uniti e Canada, evidenziando vissuti e motivazioni diverse per la loro scelta, palesemente legate alla cultura di appartenenza, oltre che alle diverse personalità, ma sempre libere. A smentire la recente osservazione della ministra Roccella secondo cui: «La GPA solidale non esiste, è una contraddizione in termini».
Insomma, visto che si ragiona di dignità, non sembra degno continuare a perpetrare l’equivoco di una narrazione dominante che descrive solo realtà in cui giovani povere e sfruttate si vedono strappare a forza dalle braccia il proprio figlio, da coppie occidentali (meglio se gay) bionde, ricche ed egoiste. Quando esiste un abuso e una coercizione, vanno sempre condannati e impediti, ma perché negare a priori la possibilità che una donna possa scegliere liberamente? Perché sottrarre alla società civile la possibilità di confrontarsi sui nuovi modelli di genitorialità resi possibili dall’evolvere delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita cui anche la GPA appartiene?
Come abbiamo scritto qui, nello scorso mese di giugno: «Tantissimi parlano di questa procedura medica (prevista e rimborsata in alcuni sistemi sanitari nazionali esteri e proposta dai ginecologi dei Paesi nei quali è legale come una delle opzioni di genitorialità per le donne affette da problemi di salute riproduttiva), come di una procedura “contro natura” adducendo proprie credenze o retaggi ideologici e culturali non suffragati da alcuna evidenza scientifica», scrive in un lungo e documentato contributo, Marcello Pili, specialista in cardiologia e presidente dell’associazione nazionale Genitori delle ragazze con Sindrome di Rokitansky, sul magazine della Fondazione Veronesi.
Lo spettro dell’autodeterminazione
Per le donne che sono nell’impossibilità a condurre una gravidanza, l’unico modo di trasmettere la vita è attraverso la GPA e questo si salda al fatto che il modello classico di una maternità solo genetica e gestazionale è ormai in crisi e si vanno definendo nuovi paradigmi per nuovi progetti genitoriali. Una cosa che può far paura.
Anche perché riafferma prepotente il discorso dell’autodeterminazione della donna, o meglio, delle persone tutte. Negare che ci possano essere donne che non si riconoscono nel cosiddetto “istinto materno” e che sono disponibili a portare avanti una gravidanza, ma non sono poi interessate a crescere un figlio. Oppure concepire le donne solo come incapaci di tutelarsi da sé e quindi nella necessità di essere protette da leggi “universali”, che si tratti della dottrina della chiesa o della visione di un governo, significa ancora concepire gradi diversi di autonomia e di libertà per le diverse persone.
La scelta proibizionista, inoltre, ha sempre dimostrato di saper solo costruire le condizioni per la diseguaglianza e l’illegalità, aprendo nei fatti le porte per raggiungere il proprio obiettivo solo a chi se lo può permettere, che sia un figlio o una figlia, un aborto o la scelta di porre fine a un’esistenza diventata insopportabile.
In questo senso, la Dichiarazione “Dignitas infinita” e la richiesta del papa del reato universale per la gravidanza per altre persone esprimono davvero posizioni che ignorano a occhi volutamente bendati la realtà del mondo di oggi. Come i cardinali del Galileo di Brecht, si rifiutano di guardare nel telescopio.
La cattiveria del reato universale
Il reato universale, su cui a fine della scorsa settimana si è espressa la ministra Roccella affermando che sarà legge entro l’anno, è un assurdo giuridico. Anche ora che è stato più modestamente definito come “perseguibile ovunque sia commesso da un cittadino italiano”, dopo che ci si è resi conto che nella prima formulazione voleva dire per esempio dover arrestare Elon Musk nel corso della sua visita in Italia, in quanto padre per via GPA. Ma anche limitato ai soli cittadini italiani (e poveri loro) non ha possibilità di essere seriamente messo in pratica perché giuridicamente non è possibile perseguire una persona che ha seguito le leggi in vigore in un altro Paese mentre si trovava lì. Ma anche solo evocarlo, in una giurisprudenza piena di buchi e contraddizioni come la nostra, significa consentire di tormentare e rendere difficile la vita a tante bambine e bambini e ai loro genitori, come si è visto, tristemente, con la vicenda del riconoscimento e disconoscimento del cosiddetto genitore sociale nella battaglia tra procure e letture contrapposte.
Quello che sarebbe davvero utile e civile è normare in maniera da rendere impossibile ogni tipo di abuso la gravidanza per altre persone nella forma solidale, aprendo finalmente la strada a un semplice riconoscimento dei figli e delle figlie così arrivati al mondo. Facendo di loro, finalmente, dei cittadini e delle cittadine a tutti gli effetti.
Per dirla con Lia Giartosio Goretti «A chi mi chiede: non vorresti avere anche tu una mamma? Io rispondo: vorrei dei diritti».