fbpx Il diritto umanitario a protezione di bambini e bambine. Quando “basta” è davvero “basta”? | Scienza in rete

Il diritto umanitario a protezione di bambini e bambine. Quando “basta” è davvero “basta”?

Tempo di lettura: 10 mins

L’apparato di norme internazionali e convenzioni umanitarie di cui disponiamo non riesce a proteggere efficacemente gli adulti, ma è ancora meno efficiente verso le persone più giovani. Un articolo sul British Medical Journal fa il punto sui devastanti effetti, diretti e indiretti, dei conflitti sulle vite dei bambini e delle bambine, a partire dalla situazione a Gaza. E lancia la proposta di un vertice globale che possa inaugurare interventi più efficaci e risolutivi.

Se mai sono esistite regole e convenzioni in grado di mantenere davvero i conflitti entro limiti di vaga civiltà, non si può dire che questo succeda con le vittime tra le più fragili ed esposte: i bambini e le bambine. «Il gran numero di morti tra i bambini a Gaza continua a fornire l'esempio più tragicamente evidente di questa realtà. Più in generale, le istituzioni internazionali e le norme umanitarie si sono rivelate impotenti nel prevenire le vittime civili di massa in vari contesti, tra cui l'Ucraina, il Sudan e il Tigray», scrivono sul British Medical Journal Zulfiqar A Bhutta, Georgia B Dominguez e Paul H Wise in un articolo dal titolo inequivocabile: "Quando 'basta' è 'basta'? I diritti umanitari e la protezione dei bambini nei contesti di conflitto devono essere ripensati". I tre autori (affiliati in Canada, Pakistan e Stati Uniti) ripercorrono fatti e numeri della devastante risposta militare da parte di Israele all’attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre. Fatti e numeri in parte già noti e riportati in diversi articoli, anche su Scienza in rete, ma che gli autori riconducono a una lettura più ampia ed estendibile, purtroppo, a tutti i conflitti.

Comunque il conflitto israelo-palestinese rimane paradigmatico di tutto quello che andrebbe modificato. «Negli ultimi 10 mesi a Gaza, le protezioni offerte ai civili dal diritto internazionale umanitario sono state ampiamente inefficaci. Si stima che il genocidio del 1994 in Ruanda abbia ucciso tra 500.000 e 1 milione di persone, ma a parte questo non ci sono state tante morti di civili in un periodo così breve. L'ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli affari umanitari (OCHA) riferisce che dal 7 ottobre 2023 al 28 agosto 2024 sono stati uccisi 40.534 palestinesi, molti dei quali donne e bambini», scrivono i tre autori.

Come è noto, il dato, diffuso dal ministero della Sanità di Gaza è stato messo in discussione, in particolare perché questi numeri non riescono a distinguere con precisione tra morti civili e combattenti e non sono in grado di discriminare tra le persone uccise e quelle che risultano disperse. Tuttavia, diverse valutazioni indipendenti hanno confermato questi conteggi. Piuttosto è possibile che via via che avanza il conflitto i dati diventino meno affidabili, poiché il sistema di informazione sanitaria a Gaza è stato ormai in gran parte distrutto. Il numero totale delle vittime probabilmente potrà essere conosciuto solo a conflitto finito e una volta rimosse le macerie. Succede a Gaza come succede in Ucraina, dove l'Ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha verificato un totale di 35.160 vittime civili durante l'invasione russa al 31 luglio 2024. Di queste, 23.640 persone sarebbero rimaste ferite, sebbene i numeri reali potrebbero essere più alti. L'OHCHR ha stimato il numero di morti di civili, o comunque persone non armate, in Ucraina a 11.520 dall'inizio della guerra il 24 febbraio 2022. Il numero più alto di morti è stato registrato a marzo 2022: oltre 3.900.

Ma è così praticamente in tutti i conflitti. Per esempio, nessuno sa con certezza quante persone siano state uccise e ferite in Iraq dall'invasione degli Stati Uniti del 2003. Tuttavia, si stima che il numero dei civili iracheni morti sia intorno ai 200.000 (tra 186.694 e 210.038). Più in generale, la guerra che ha visto in campo gli Stati Uniti, i suoi alleati, l'esercito e la polizia irachena e le forze di opposizione avrebbe causato dal momento dell’invasione fino a marzo 2023, da 280.771 fino a 315.190 vittime.

I perché e i come della guerra

Il diritto umanitario internazionale consente attacchi violenti contro obiettivi militari identificati in quanto tali, ma non quando «il danno ai civili sarebbe eccessivo rispetto al vantaggio militare previsto». Gli attacchi israeliani a Gaza hanno danneggiato pesantemente scuole, ospedali, impianti idrici e altre infrastrutture civili, colpendo migliaia di pazienti e operatori sanitari. Difficile per Israele fornire prove sufficienti a dimostrare che i danni ai civili associati a molti dei suoi attacchi siano stati proporzionati rispetto agli obiettivi militari previsti.

Il diritto internazionale umanitario, inoltre, distingue tra il perché della guerra e il come della guerra. Anche le motivazioni più forti per scatenare un conflitto non bastano a giustificare la violazione delle leggi umanitarie nel modo in cui la guerra viene combattuta. Così, ci ricordano i tre autori su Bmj: «sebbene sia importante riconoscere il contesto più ampio del conflitto, in particolare il blocco di Gaza da parte di Israele (via terra, mare e aria) dal 2007, questo non legittima le atrocità perpetrate da Hamas il 7 ottobre, che sono state chiare violazioni del diritto internazionale. Ma nemmeno queste atrocità, per quanto barbare, possono legittimare le violazioni del diritto internazionale nel modo in cui Israele sta conducendo le sue operazioni militari».

Come si ricorderà, esattamente per queste violazioni del diritto internazionale, lo scorso mese di maggio la Corte penale internazionale ha emesso mandati di arresto sia per i leader di Hamas sia per quelli di Israele, accusandoli di crimini di guerra.

I danni indiretti inferti dalla guerra alle persone giovani

Le guerre civili e tra gli Stati violano sostanzialmente i diritti alla salute di bambini e bambine, anche neonati. Gli Stati che hanno trascorso la maggior parte del tempo coinvolti in importanti guerre sono associati ai peggiori incrementi complessivi nei tassi di mortalità infantile. Oltre all'aumento di ferite e morti a causa degli assalti militari, altre devastazioni impattano sulla salute e il futuro di bambini e bambine. La distruzione delle scorte di cibo e acqua, delle abitazioni, delle scuole e il vanificarsi dell'assistenza sanitaria sollevano serie preoccupazioni circa gli effetti indiretti e a lungo termine di questa violenza.

Ci sono prove causali sulle conseguenze a lungo termine della guerra e dei conflitti armati sull’indice di massa corporea dei bambini in tempo di guerra, sull’obesità e sulle condizioni di salute croniche in età adulta. Secondo le Nazioni Unite malnutrizione acuta e disidratazione stanno già causando morti tra la popolazione palestinese, soprattutto quella più giovane e la rete dei Sistemi di allerta precoce sulla carestia (FEWS NET) ha già segnalato che l'insicurezza alimentare è diffusa soprattutto tra bambini e bambine e che, sebbene non siano disponibili dati definitivi, in alcune zone di Gaza potrebbero già esistere condizioni di carestia, con potenziali conseguenze di lunga durata, forse intergenerazionali.

L’arretramento complessivo delle condizioni sanitarie è testimoniato anche dalla ricomparsa del virus della poliomielite a Gaza, tra cui il primo caso di virus di tipo 2 in oltre 25 anni, situazione preoccupante che ha portato a una risposta vaccinale di emergenza, con esiti tuttavia ancora incerti.

Nei primi 3 mesi di conflitto a Gaza, più di 1.000 bambini hanno avuto una o entrambe le gambe amputate, come documenta l’Unicef: 10 al giorno. Molte di queste operazioni sui bambini sono state eseguite senza anestesia, a causa del sistema sanitario di Gaza paralizzato dal conflitto e per le gravi carenze di dottori e infermieri nonché di forniture mediche come anestetici e antibiotici. Su un piano diverso, ma altrettanto grave, le condizioni di detenzione e i procedimenti legali che coinvolgono centinaia di bambini palestinesi detenuti da Israele sono un’altra fonte di preoccupazione.

Quali misure a tutela di bambini e bambine?

Ma come riuscire a proteggere i bambini e le bambine da questo impatto così devastante dei conflitti che li coinvolgono? Oggi esistono una serie di disposizioni del diritto umanitario internazionale, tra cui le Convenzioni di Ginevra del 1949, i protocolli aggiuntivi del 1977, la Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia. Inoltre la Corte penale internazionale ha l'autorità di indagare e perseguire individui, compresi i capi di Stato, per gravi violazioni, anche se continua a dipendere dagli Stati cooperanti per l'applicazione delle misure prese.

Bambini e bambine condividono molte tutele con le altre persone non combattenti, tutele che richiederebbero un'immediata attuazione a Gaza, così come in Ucraina, in Sudan e in tutte le altre aree colpite da conflitti violenti. Tuttavia, è la tesi dell’articolo del Bmj, bambini e bambine avrebbero bisogno di fruire di diritti distinti e specifici alla protezione e all'assistenza in contesti di conflitto violento. «Le particolari vulnerabilità dello sviluppo e i ruoli sociali dei bambini, molti dei quali già riflessi nel diritto internazionale, richiedono misure speciali nel pieno rispetto delle leggi e delle norme umanitarie», scrivono Bhutta, Dominguez e Wise.

Il primo e fondamentale passo per proteggere bambini e bambine, a Gaza come altrove, è quello di porre immediatamente fine alle operazioni di combattimento e fermare le uccisioni. Se non si riesce a far cessare i combattimenti, è fondamentale permettere e facilitare l'evacuazione dei bambini, dei loro familiari e di tutti i civili.

Le Convenzioni di Ginevra richiedono che una parte assediante permetta l'evacuazione di bambini, bambine e altri civili vulnerabili da un'area assediata. A Gaza non è stato e non è così: alle famiglie palestinesi non è stato offerto un passaggio sicuro per spostarsi in nessuno degli Stati confinanti. Situazione ben diversa da quella riservata ai cinque milioni di profughi ucraini che hanno ricevuto accoglienza nei Paesi limitrofi. Anche l'evacuazione di bambini affetti da gravi malattie verso strutture mediche avanzate in altri Paesi si è rivelata molto più difficile a Gaza che in Ucraina. Inoltre, bambini e bambine sfollati e non accompagnati hanno esigenze specifiche che troppo spesso non vengono riconosciute dalle agenzie umanitarie e dai governi.

Proprio perché bambini e bambine sono particolarmente vulnerabili agli effetti indiretti della guerra, un altro aspetto fondamentale è la protezione delle infrastrutture civili essenziali, come i sistemi sanitari ed educativi. A Gaza tutte le università e centinaia di scuole sono state danneggiate, spesso rase al suolo, e più di 600.000 bambini sono rimasti senza scuola.

L’istruzione, quindi, è uno dei molti diritti di cui sono stati derubati i bambini di Gaza. «Le ore di scuola del mattino sono state sostituite dalle code davanti ai centri di distribuzione degli aiuti alimentari, indispensabili per il loro fabbisogno e placare la fame. Invece di sedersi ai loro banchi per le lezioni, restano in coda per l’acqua o lavorano per strada, se hanno perso i genitori in guerra. È un fenomeno nuovo per una comunità che va orgogliosa dei suoi alti tassi di istruzione. I bambini di Gaza sono ormai venditori ambulanti, si aggirano per le strade alla ricerca di sostentamento per sé e per le loro famiglie», racconta in un articolo sul quotidiano La Stampa il giornalista palestinese Majd Ramdan Al-Assar.

Ma è urgente anche rafforzare la capacità complessiva di monitorare le conseguenze della guerra. Al di là della necessità di attribuire responsabilità politiche o legali - ci ricordano i tre autori - informazioni accurate sulle persone morte sono un modo essenziale, anche se tragicamente tardivo, per valorizzarle in vita. Cosa particolarmente importante per i bambini, che possono aver lasciato poche tracce della loro esistenza, se non nei cuori delle loro famiglie. Attualmente, la documentazione si basa su un mosaico di documenti delle Nazioni Unite, oppure di fonti non governative e locali, spesso con metodologie poco chiare e poco confrontabili. Strumenti inadeguati per un bisogno così forte.

Tecnologie per valutare l’impatto dei conflitti

Diverse nuove tecnologie potrebbero contribuire alla valutazione dell'impatto umanitario dei conflitti. Tra queste, le capacità avanzate di telerilevamento, le strategie di modellazione e l'intelligenza artificiale, cioè proprio quelle tecnologie attualmente utilizzate per combattere una guerra, potrebbero essere invece sfruttate in modo mirato ed etico per valutare i danni alle infrastrutture e documentare le vittime e i bisogni umanitari. Per esempio, tecniche statistiche innovative sono state utilizzate con i set di dati esistenti per stimare l'eccesso di morti associate ai conflitti armati nel Nord-est della Nigeria e in Somalia. Organizzazioni non governative hanno sperimentato nuove strategie digitali per scoprire o confermare operazioni militari e attacchi a civili e infrastrutture civili. Queste capacità emergenti potrebbero contribuire a un sistema globale più pienamente integrato e autorevole per valutare rapidamente e accuratamente il costo umano della guerra.

In chiusura del loro articolo Bhutta, Dominguez e Wise abbandonano l’analisi per avanzare una proposta forte: dare vita a un vertice globale, pragmatico e in grado di coinvolgere in modo significativo le comunità colpite e altri attori essenziali. Obiettivo: rivedere con urgenza le attuali risoluzioni e le linee guida delle Nazioni Unite, concentrandosi sugli emendamenti e sulle strategie che possono garantire la protezione e l'evacuazione dei bambini dalle zone di conflitto. «Data la situazione di bambini e bambine a Gaza, in Ucraina, in Sudan e in molti altri Paesi in cui sono esposti a conflitti violenti, chiediamo un rinnovato impegno globale nei confronti dei bisogni e dei diritti specifici dei bambini in crisi. Ciò richiederà la costruzione di coalizioni più forti e di una voce pubblica unificata per affrontare l'emarginazione dei più piccoli dalle nostre strategie umanitarie e l'impunità con cui gli autori delle violazioni umanitarie continuano le loro aggressioni».

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Vaccini anti-COVID-19 e mortalità: ben venga un confronto scientifico serio

L'articolo di Eugenio Paci pubblicato su Scienza in rete il 4 settembre ha chiesto un confronto scientifico serio e indipendente sui vaccini contro COVID-19, facendo in particolare riferimento al ‘caso da discutere’ di uno studio sulla provincia di Pescara, con risultati controcorrente sul rapporto tra questi vaccini e mortalità. Paci sosteneva che «errori di disegno, debolezze nella qualità dei dati, analisi non adeguate degli studi di efficacia vaccinale come quelle segnalate sono assai pericolosi… Le valutazioni» a suo dire «metodologicamente approfondite attualmente presenti nella letteratura internazionale non vanno nella direzione suggerita [dallo studio pubblicato su Microorganisms]…, con conclusioni che sono inconclusive e incerte e basate come sono su dati che mostrano problemi di qualità sostanziale». Gli autori di questo studio vogliono ora documentare come i problemi metodologici e di qualità dei dati attribuiti alla loro ricerca siano infondati, mentre essi sono presenti nella letteratura internazionale (Immagine Freepik, Pixabay).

L’articolo di Eugenio Paci Vaccini e commissione Covid-19: serve un confronto scientifico serio (Scienza in rete, 4 settembre 2024) ha nel titolo una proposta che condividiamo, che coincide con quanto la Commissione Medico-Scientifica indipendente (di cui gli autori sono membri o collaboratori) non cessa di chiedere alle istituzioni, dalla sua nascita nel novembre 2021.