fbpx Chi ci guida in economia, l'emozione o la ragione? | Scienza in rete

Chi ci guida in economia, l'emozione o la ragione?

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Cosa guida le nostre scelte? Quali sono i fattori che ci inducono ad agire in un determinato modo piuttosto che in un altro? Una nuova ricerca (1), in fase di pubblicazione per la rivista online Cognition, si inserisce in quel contesto di studi che intende far luce sul ruolo giocato dalle emozioni nei processi decisionali, propri anche in quegli ambiti tradizionalmente legati al concetto di razionalità in senso stretto, come è l'ambito economico, dove riteniamo che le nostre scelte siano guidate esclusivamente dalla logica. È stato ampiamente dimostrato come, in determinate situazioni, la maggior parte delle persone tenda a compiere scelte considerate irrazionali, poiché violano il principio utilitaristico di massimizzazione del guadagno, ritenuto, dalle teorie economiche classiche, il principio guida del comportamento. L'aggettivo "irrazionale" deriva dall'idea che, alla base di queste scelte, operino emozioni negative, come la frustrazione, le quali causerebbero un rifiuto per il guadagno personale qualora a quest'ultimo si associ un atto moralmente e socialmente inaccettabile. L'Ultimatum Game è un compito sperimentale, preso dalla teoria dei giochi economici e largamente utilizzato in laboratorio per indagare il comportamento, che esemplifica perfettamente questo concetto. A un giocatore (A) viene data una somma di denaro, diciamo 10 euro, da dividere con un altro giocatore (B); A farà dunque delle offerte a B (es. "ti offro 2 euro su 10"), mentre compito di B sara' accettare o rifiutare le offerte sapendo che, se accetterà, il denaro verrà diviso cosi come A ha deciso (2 euro a B e 8 ad A), mentre, se rifiuterà, entrambi finiranno a 0. La teoria economica classica, per il principio di massimizzazione del guadagno, prevede che A offra sempre la minima quantità possibile (1 euro su 10), e che B accetti qualsiasi offerta, in quanto 1 euro è meglio di niente. In realtà, A tende a fare offerte eque (4 o 5 euro du 10), mentre B tende a rifiutare le offerte non eque (1 o 2 euro su 10), anche qualora i due giocatori interagiscano una sola volta, facendo dunque perdere al rifiuto la sua funzione dimostrativo-didattica. La frustrazione per l'ingiustizia subita sarebbe, secondo le spiegazioni finora più accreditate, la causa scatenante del rifiuto "irrazionale".

Questa spiegazione a noi pare  un po' riduttiva. Infatti, pur non negando il coinvolgimento della sfera emotiva, ampiamente dimostrato in precedenti studi, riteniamo che il senso di giustizia e di equità sia qualcosa che non si possa esaurire in un sentimento di frustrazione, ma sia piuttosto qualcosa di adattivo all'interno della società, e per questo  tutt'altro che irrazionale. Ci siamo dunque chiesti se la pura emotività, sottoforma di frustrazione, entrasse in gioco  perché ci si trovava di fronte ad un'ingiustizia, oppure perchè era il proprio portafoglio a fare le spese  di questa ingiustizia. Abbiamo chiesto a deii volontari di giocare due versioni dell'Ultimatum Game, una in cui dovevano accettare o rifiutare le offerte rivolte a loro stessi, un'altra in cui dovevano decidere su offerte rivolte a una terza persona, a loro sconosciuta. Mentre giocavano, abbiamo misurato la loro risposta di conduttanza cutanea, una misura del livello di attivazione psicofisiologica dell'organismo, che ci è servita a stabilire se e quanto, nelle diverse condizioni sperimentali, i volontari fossero emotivamente coinvolti. I risultati dimostrano che sia quando giocavano per sé sia quando giocavano per altri,  i partecipanti all'esperimento rifiutavano le offerte non eque. Tuttavia, dall'analisi della misura psicofisiologica è emerso che quelle stesse persone si sentivano frustrate solo quando rifiutavano per loro stesse, ma non quando rifiutavano per una terza persona. Riuscendo a dissociare una pura reazione all'ingiustizia da una reazione "inquinata" dal coinvolgimento del sé , abbiamo visto come rabbia e frustrazione non siano legate indissolubilmente al tipo di scelta (rifiuto), bensì al target (destinatario?) influenzato dalla conseguenza della nostra scelta (se stessi). Quindi il rifiuto non va considerato come irrazionale, bensì quale frutto di un senso di giustizia che non può, a nostro avviso, essere ridotto a emozioni di base come la rabbia e centrate sul sé come la frustrazione. Al contrario, questo senso di giustizia è piuttosto un principio cognitivo che, in situazioni di interazione sociale come scambio o trattativa tra individui, è più forte del principio di massimizzazione del guadagno.

(1) Emozioni o principi cognitivi? Le forze che ci spingono ad andare contro la logica economica. Claudia Civai*, Corrado Corradi-Dell'Acqua*, Matthias Gamer** and Raffaella I. Rumiati*

* Settore di Neuroscienze Cognitive, SISSA, Trieste.
** Department of Systems Neuroscience, University Medical Center Hamburg-Eppendorf, Hamburg, Germany.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Rileggere Feyerabend: sfide ai dogmi della metodologia scientifica

Ritratto di Feyerabend

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Paul Feyerabend, filosofo della scienza, noto in particolare per il saggio Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, di cui il 16 aprile è in uscita una nuova edizione per Feltrinelli, a cura di Luca Guzzardi. Gli abbiamo chiesto di aiutarci a contestualizzare la visione di Feyerabend, che con il motto "tutto va bene" sottopone a una serrata critica i cinquant’anni di filosofia della scienza a lui precedenti, a partire da Karl Popper. Non una posizione “contro la ragione”, ma un monito a vigilare su qualsiasi concezione e metodo che voglia, magari subdolamente, prendere il sopravvento, e un invito a non lasciarsi governare dai loro cantori.

Crediti immagine: Grazia Borrini-Feyerabend, Wikimedia Commons

Se c’è un’età dell’oro della filosofia della scienza, è forse la prima metà del Novecento. Mach, Poincaré, Duhem avevano impostato i temi portanti: gli ingredienti fondamentali delle teorie scientifiche e il ruolo dell’esperienza e dell’esperimento, la funzione delle ipotesi e degli errori, l’avanzamento della conoscenza e il cambiamento concettuale.