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Carlo Urbani medico degli ultimi

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«Mi porteranno in un villaggio dimenticato perché è qui che la gente muore per cose semplici, perché è qui che è quasi impossibile garantire l'accesso alla salute. Per quattro giorni e quattro notti, medico "perso" per vedere come la gente muore e sopravvive, cosa significa, ancora, non avere diritto alla salute».

E' l'aprile del 2001, Carlo Urbani è da un anno ad Hanoi, responsabile delle malattie parassitarie per l'OMS in Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia, Cina e Filippine. Nonostante le responsabilità manageriali, i viaggi e le riunioni internazionali, rimane fondamentalmente un clinico appassionato al contatto con i malati, ed è per questo che chiede il permesso di «scomparire» per sei giorni, per mescolarsi ai poveri della terra per i quali ha scelto di lavorare.

In questo piccolo episodio è racchiusa la cifra umana e professionale di Carlo Urbani, le cui tappe sono ripercorse nel libro Le malattie dimenticate. Poesia e lavoro di un medico in prima linea (Feltrinelli, 2004, 193 pagine, 12 euro). Leggendo le lettere scritte dal medico ad amici e familiari si diventa intimi conoscenti di questo marchigiano cortese e in transigente, specializzato in malattie infettive all'Università di Ancona e subito attratto dalla sfida che la salute internazionale lancia all'umanità. E la sfida viene da lui raccolta. In Mauritania con l'OMS, dove documenta per primo la trasmissione dello Schistosoma mansoni, responsabile della schistosomiasi, che infetta oltre duecento milioni di persone nel mondo, di cui circa duecentomila muoiono ogni anno.

In Cambogia con Medici senza Frontiere, dove il suo lavoro pionieristico genera un approccio innovativo nel controllo dello Schistosoma mekongi, una forma asiatica di schistosomiasi intestinale che causa una fibrosi epatica irreversibile. Urbani è nella delegazione di Medici senza frontiere quando a questa organizzazione viene assegnato il Nobel per la pace nel 1999. Il suo discorso durante la celebrazione italiana riassume il suo credo, il suo voler fare il medico «curando e raccontando, nutrendo e denunciando».

La denuncia, intesa come appassionata partecipazione a ciò che accade e rifiuto alla rassegnazione, è una costante della sua vita. «Nella vita sono sempre più esigente» scrive a un'amica suora. «La superficialità mi è diventata intollerabile, l'indifferenza mi fa diventare quasi violento. Si dice in genere che non esiste mai una situazione con il bianco e il nero ben distinti. Io invece, per una dolorosa passione e romanticismo, continuo a credere che si possa dire "questo e sbagliato” o “questo fa schifo” senza titubare».

Ma Carlo Urbani è anche il papà di Tommaso, Luca e Maddalena, che manda alla scuola vietnamita tra lo stupore dei colleghi; un appassionato di deltaplano, uno spericolato motociclista nel traffico folle di Hanoi. E' soprattutto il medico che ha contribuito a identificare la SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) e che di questa malattia è morto il 29 marzo 2003 a Bangkok, all'età di 46 anni. Oggi avrebbe compiuto 64 anni.

 


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Superdiffusore: il Lancet ricostruisce la storia di una parola che ha avuto molti significati

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“Superdiffusore”. Un termine che in seguito all’epidemia di Covid abbiamo imparato a conoscere tutti. Ma da dove nasce e che cosa significa esattamente? La risposta è meno facile di quello che potrebbe sembrare. Una Historical review pubblicata sul Lancet nell’ottobre scorso ha ripercorso l’articolata storia del termine super diffusore (super spreader), esaminando i diversi contesti in cui si è affermato nella comunicazione su argomenti medici e riflettendo sulla sua natura e sul suo significato. Crediti immagine: DALL-E by ChatGPT 

L’autorevole vocabolario Treccani definisca il termine superdiffusore in maniera univoca: “in caso di epidemia, persona che trasmette il virus a un numero più alto di individui rispetto alle altre”. Un recente articolo del Lancet elenca almeno quattro significati del termine, ormai familiare anche tra il grande pubblico: