Geni e Ambiente. Questa relazione è alla base di un’idea innovativa per la ricerca scientifica al servizio delle comunità urbane che vivono in prossimità di discariche, di industrie chimiche, di inceneritori, siti ambientali ad alto rischio inquinamento. Siamo quello che facciamo, respiriamo, mangiamo. E sempre di più si rende necessario capire dal punto di vista scientifico le cause dell’aumento delle neoplasie, delle malattie respiratorie e cardiache, di una diminuzione della fertilità umana.
Alcune risposte
arrivano dai laboratori del centro di ricerca genetica Biogem, ad Ariano
Irpino, dove è stata sviluppata una metodica per monitorare il grado di
tossicità ambientale affiancando alle classiche analisi chimiche, valutazioni
sull’effetto che l’inquinamento ambientale può determinare su più generazioni
di organismi viventi.
Come? Utilizzando colonie murine che vengono trattate con
acqua proveniente dalle prossimità del sito potenzialmente contaminato. Questo
permette ai ricercatori di valutare in progress la salute del gruppo di topi.
Concetta Ambrosino, responsabile della struttura di tossicologia ambientale presso il centro di ricerche irpino presieduto dall’ex Ministro Ortensio Zecchino e ricercatrice dell’università del Sannio spiega “che lo studio degli effetti dell’esposizione alle falde acquifere interessate spesso utilizzate per l’irrigazione dei campi e la produzione agricola sui topi contribuisce ad identificare percorsi molecolari alterati sull’uomo candidandosi a diventare un nuova strategia di prevenzione attraverso il monitoraggio dei siti ad esempio è quello che potrebbe essere fatto per l’ormai tristemente nota Terra dei Fuochi”.
Lo studio è stato condotto utilizzando colonie murine
(maschi e femmine in uguale numero) a cui a partire dal 4°mese di età viene
somministrata acqua proveniente dalla falda acquifera interessata dalla
discarica accompagnata da un gruppo di
controllo con acqua potabile, fino al raggiungimento del dodicesimo mese di
età. “Le acque prelevate a monte e a valle del sito – sottolinea Concetta
Ambrosino - sono state analizzate precedentemente dal punto vista chimico e
risultano simili tra di loro, contengono metalli pesanti e composti aromatici.
Lo scopo è stato verificare in seguito a esposizione cronica gli effetti
fenotipici.
Analisi sierologiche hanno
da subito evidenziato un significativo aumento
rispetto al controllo degli enzimi epatici (ALT, AST), della fosfatasi
alcalina, e dei livelli di urea.
Questo tipo di
analisi supportata poi da studi
molecolari mostrano danni sui geni coinvolti nella catena respiratoria
mitocondriale, geni coinvolti nel ciclo cellulare e nel riparo del DNA
candidandoli a una maggiore probabilità di sviluppare un tumore”.
La colonia murina si è riprodotta ottenendo così una generazione filiale a cui
è stata somministrata acqua inquinata già in utero.
La generazione successiva non mostra steatosi
epatica probabilmente come risposta all’adattamento ambientale. “Certamente di
grande valore scientifico – conclude la ricercatrice di Biogem - è stato scoprire
che la seconda generazione di topini è infertile e presenta alterazione dei
geni coinvolti nello sviluppo delle ovaie e dei testicoli
Sia la generazione parentale che la generazione filiale non hanno sviluppato neoplasie. L’assenza di masse tumorali in un contesto genotipo-predisposto e tempo di esposizione più lungo potrebbero svolgere un ruolo importante nel loro sviluppo e i geni identificati in questo studio potrebbero rappresentare biomarcatori predittivi per la popolazione a rischio”.