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Il lavoro che uccide

Il 28 aprile è la giornata dedicata alle vittime del lavoro, preceduta di poco dalla strage di lavoratori tessili in Bangladesh. L'International Labour Organization (http://www.ilo.org/) ricorda opportunamente che ogni anno muoiono sul lavoro 2,34 milioni di persone, 321mila per infortuni. Barack Obama, che non ne perde una, per il Workers' Memorial Day ha confermato l'impegno della sua amministrazione a ridurre il numero ancora inaccettabilmente alto di vittime del lavoro (leggi il discorso).
E in Italia? Da anni ormai gli infortuni sul lavoro sono in calo: da 990.000 nel 2002 a 725.000 nel 2011, mentre quelli mortali sono passati da 1.200 nel 2000 a 886 nel 2012. Tuttavia il loro numero resta inaccettabilmente alto, con forti differenze geografiche, come rileva la Società italiana di medicina del lavoro e di Igiene industriale (SIMLII). Le malattie denunciate all'INAIL sono invece in aumento negli ultimi anni (da 28.000 nel 2001 a 46.000 nel 2011). Fra le malattie professionali più diffuse spiccano i disturbi osteoarticolari (65%, fra cui tendiniti e patologie alla schiena), ipoacusia da rumore (12%), malattie respiratorie (8%), tumori (5%), malattie dermatologiche, cardiache e disturbi psichici. Per le malattie collegate al lavoro sembra inoltre esservi in Italia un importante fenomeno di mancata segnalazione che porta a una loro considerevole sottostima.
Poi, come rileva il presidente della SIMLII, Pietro Apostoli, "il lavoro peggiore è la mancanza di lavoro". La disoccupazione aumenta infatti stress e malattie, e i dati non mancano. Solo nel primo trimestre 2013 il saldo fra imprese che aprono e imprese che chiudono ammonta alla cifra record di – 31.351. Non è un caso che a questa situazione corrispondano 3-4 suicidi al giorno fra gli imprenditori. Non minori sono le conseguenze fra i lavoratori, in termini di stress, depressione e malattie riconducibili al dramma della perdita di un lavoro e di un reddito. E' in corso, a questo proposito, una vera e propria “epidemia nascosta” (come la definisce l'ILO), con aumenti considerevoli fra i disoccupati di casi di malattie muscoloscheletriche (artrosi, artrite), ipertensione e infarti, cefalea e infortuni. Secondo alcuni studi svolti nei distretti industriali italiani più colpiti dalla disoccupazione (come nel torinese) si rileva un rischio da doppio a triplo di mortalità per malattie croniche, tumori, infarto, suicidio, e di oltre 6 volte per overdose. A livello europeo, le malattie correlate allo stress da lavoro generano un costo di 20 miliardi di euro all'anno.
Anche il lavoro “atipico” fa male alla salute. Secondo l'ISTAT, i lavoratori atipici (stagisti, part-time, a termine) superano i 4 milioni, ammontando ormai a più del 17% della forza-lavoro. Questa condizione è caratterizzata da forte insicurezza, ruoli marginali, orari elastici e scarsa informazione e copertura sanitaria sul lavoro. Insieme agli immigrati, gli “atipici” rappresentano un'altra categoria vulnerabile sotto il profilo dela salute. Studi recenti (della ASL di Grugliasco, per esempio) mostrano, per esempio come il rischio di subire infortuni raddoppi fra i lavoratori con contratti della durata massima di sei mesi. Uno studio eseguito sui lavoratori part time di Call Center da parte dell'Università di Milano (Dipartimento di scienze cliniche e di comunità) e dall'Ospedale Maggiore, rileva un aumento di stress, disturbi muscoloscheletrici e diminuzione di capacità di lavoro. I due lavori sono tratti dall'ultimo numero di Epidemiologia&Prevenzione, tutto dedicato a lavoro e salute. Se ne consiglia la lettura.
(luca carra)