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La salute disuguale figlia della guerra

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Foto: ministero dell'Interno, Ucraina.

La guerra in Ucraina (e altrove) e il militarismo ostacolano la giustizia sociale attraverso diversi meccanismi: il drenaggio di risorse per spese militari, la maggiore esposizione delle fasce sociali svantaggiate agli effetti diretti e indiretti dei conflitti, l’impatto in scala mondiale sui sistemi alimentare, energetico e finanziario che colpiscono in maniera sproporzionata il sud globale e le fasce sociali meno abbienti.

Il drenaggio di risorse per spese militari

Quello che si spende in armi in tre ore in tutto il mondo equivale al budget annuale dell’OMS, mentre i soldi spesi in mezza giornata basterebbero per vaccinare tutti i bambini del mondo. Questi esempi sono tratti da un articolo pubblicato nel 2003 sulla rivista Social Science & Medicine. Da allora le spese militari sono aumentate fino a sfondare il tetto dei 2.000 miliardi di dollari nel 2021. I cinque paesi che spendono di più sono, in ordine decrescente: Usa, Cina, India, Regno Unito e Russia. L’Italia si trova comunque all’undicesimo posto, con 32 miliardi di dollari spesi nel 2021, il 4,6% in più rispetto all’anno precedente e il 9,8% in più rispetto al 2012. La spesa del 2021 rappresenta l’1,5% del prodotto interno lordo ed è una percentuale destinata ad aumentare fino al 2%, obiettivo che si sono dati gli stati membri europei della Nato dopo l’invasione dell’Ucraina.

Nel 2021 la spesa militare della Russia è cresciuta del 2,9% dall’anno precedente e dell’11% rispetto al 2012, per raggiungere i 65,9 miliardi di dollari, pari al 4,1% del PIL. D’altra parte in Ucraina si è registrato un enorme aumento delle spese militari dopo l'annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014: del 72% dal 2014 e del 142% dal 2012. A partire dal 2022 l’Unione europea e gli Stati Uniti supportano l’Ucraina con diverse decine di miliardi di euro in aiuti militari, finanziari e umanitari.

Per farsi un’idea sull’efficacia degli aiuti militari è istruttivo l’esempio afghano. Il Presidente Biden aveva specificato nel 2021: «… more than $2 trillion spent in Afghanistan (…) - over $300 million a day for 20 years». Ciononostante i Talebani hanno ripreso il controllo del Paese nell’agosto 2021. Sull’indice di sviluppo umano nel 2021 l’Afghanistan si collocava al posto 180 sui 191 paesi del mondo, inferiore di 5 posizioni rispetto al 2015. L’aspettativa di vita alla nascita è di 62 anni, la frequenza scolastica media è di 3 anni (2,3 anni per le ragazze e 3,4 anni per i ragazzi). E se invece che per spese militari la stessa somma (o anche la metà) fosse stata investita per promuovere salute e istruzione?

Di fronte ai fallimenti delle soluzioni militari, tanto colossali quanto evidenti, ci si chiede come sia possibile che buona parte dell’opinione pubblica rimanga ancora del parere secondo il quale chi si dichiara a favore di soluzioni non violente sarebbe un sognatore utopista, mentre chi opta per soluzioni militari avrebbe i piedi per terra e affronterebbe i problemi con gli unici mezzi veramente efficaci a disposizione.

L’appartenenza alle fasce sociali svantaggiate: un fattore di rischio di morire o essere feriti come combattenti

Questo aspetto è riassunto nella storica formula del movimento operaio Usa «Rich man’s war, poor man’s fight». Anche in assenza di dati a sostegno è lecito supporre che questo fenomeno sia presente anche nell’attuale conflitto. Durante la seconda guerra del Golfo è stato documentato che in Usa le persone di ceto sociale basso e gli immigrati di prima o seconda generazione sono stati più a rischio di trovarsi impegnati in Iraq, specialmente nei reparti più esposti. L’estrazione sociale dei caduti italiani a Nassiriya non viene mai considerata nelle commemorazioni annuali, tuttavia una riflessione a questo riguardo confermerebbe probabilmente l’esistenza, anche in Italia, della morsa nella quale si trovano di solito le classi sociali meno abbienti dei paesi bellicisti. Da un lato la scarsità di prospettive economiche e sociali nel loro paese favorisce la loro adesione alle forze armate e specialmente a missioni pericolose e vantaggiose sotto il profilo economico e di carriera professionale. Dall’altro lato il militarismo è uno dei fattori che contribuiscono alla mancanza di risorse per incrementare la mobilità sociale che è all’origine della relativa scarsità di prospettive al di fuori delle carriere militari.

Disuguaglianze sociali come rischio per i civili in una situazione di conflitto

Tra i quasi 8 milioni di rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina dall’inizio della guerra, alcuni gruppi incontrano i maggiori ostacoli: i cittadini di paesi terzi, le persone di colore, le persone appartenenti alla minoranza Rom e le persone LGBTQI+, a proposito delle quali Anna Leonova, della Gay Alliance Ukraine (Gau), afferma: «si tratta di una comunità discriminata prima della guerra e che lo sarà ancora di più dopo la guerra». Diseguale è anche il regime d’asilo introdotto dall’Unione europea, “a due velocità”, nelle parole del sociologo delle migrazioni Maurizio Ambrosini: «commossa generosità verso gli ucraini, respingimenti e restrizioni per gli altri». Un altro importante elemento di disuguaglianza emerge da una indagine condotta dalle Nazioni Unite, che ha analizzato i dati di oltre 34.000 profughi, soprattutto in Polonia: tra gli adulti, solo pochi hanno più di 60 anni, nell’86% sono donne, nel 46% laureati e solo un 4% risulta disoccupato. La rappresentatività del campione non può essere garantita, ma è plausibile ritenere che a rimanere indietro siano maggiormente uomini (costretti dalla legge e da un discutibile concetto di eroismo), persone anziane, disabili e socialmente svantaggiate. Persone quindi maggiormente esposte a tutti gli effetti, diretti e indiretti, del conflitto in corso. Si consideri, per fare un solo esempio, l’esposizione all’amianto, messo al bando in Ucraina solo nel 2017 e presente nel 60% dei tetti, secondo le stime delle Nazioni Unite. Non c’è quindi dubbio che la contaminazione da amianto sia molto diffusa tra le macerie da dove le fibre cancerogene di amianto vengono rilasciate in atmosfera, trasportate dal vento e respirate dalle persone, costituendo un grave pericolo per la salute a lungo termine.

Gli effetti su scala mondiale che colpiscono in maniera sproporzionata il sud globale

Come è noto Russia ed Ucraina sono tra gli esportatori più importanti di grano, orzo, mais e olio di girasole. A causa dei bombardamenti, della mancanza di carburante e di elettricità, dell’uso dei trattori per altri scopi, della presenza di mine, la coltivazione è ridotta significativamente e le esportazioni sono crollate, al di là delle difficoltà di trasporto navale. La riduzione dell’offerta e l’insicurezza rispetto al futuro provocano l’aumento dei prezzi a livello globale. Il Food price index nell’aprile 2022 era più alto del 34% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e non è mai stato così alto da quando la Fao ha iniziato a calcolarlo. L’aumento del costo dei fertilizzanti è addirittura maggiore. Le Nazioni Unite stimano che per effetto della guerra a livello mondiale 95 milioni di persone verranno spinte in estrema povertà e 47 milioni di persone in più soffriranno la fame. L’Unicef afferma che, rispetto alle stime prebelliche, in Europa orientale ulteriori 10,4 milioni di persone diventeranno povere, tra cui quasi 4 milioni di bambini e che 4.500 bambini in più (in aggiunta ai 61.000 attesi) moriranno prima del loro primo compleanno, soprattutto in Russia e Ucraina.

In conclusione

Analizzare le disuguaglianze provocate dalla guerra riveste un’importanza particolare anche perché agiscono in maniera trasversale sugli altri effetti causati dal conflitto: sono un modificatore d’effetto si direbbe in gergo epidemiologico. La guerra in corso da 10 mesi in Ucraina è stata scatenata dall’aggressione russa avvenuta il 24 febbraio. Da allora l’Ucraina è impegnata in una guerra difensiva sostenuta dagli Stati Uniti, dalla Nato e dalla UE. La guerra difensiva è legittima ma questo non significa che sia da considerare sempre la migliore scelta nel contesto dato. I mali che le guerre creano sono sufficientemente gravi da ritenere che l’unica “giusta causa” possibile sia la prevenzione di mali ancora più grandi. È quindi necessario un bilanciamento per valutare quale scelta provoca meno danni e sofferenze, includendo nel calcolo anche i danni per i quali l’aggressore è da condannare, sia legalmente che moralmente. Ormai non dovrebbe essere più possibile ignorare il fatto che il piatto della bilancia pende decisamente a sfavore del ricorso alla guerra. La difesa militare è legittima, ma deforma, mutila e uccide i difensori insieme a ciò che difendono, con effetti che vanno oltre i limiti del conflitto, sia dal punto di vista geografico che temporale.

Questo testo rappresenta un aggiornamento di una relazione tenuta durante il corso “Contrastare la salute diseguale: quali le iniziative per gli Ordini dei medici” organizzato dall'Omceo di Roma il 19.11.2022.

 


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