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L’Italia e la corsa all’idrogeno per la mobilità: una sfida possibile

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L’Europa si sta muovendo verso un futuro energetico a sempre minore impatto ambientale, si è data delle scadenze e sta creando un quadro normativo per guidare e incentivare questa trasformazione.
Molti paesi si stanno già organizzando e attuando politiche industriali ed energetiche non solo per adeguarsi al cambiamento, ma anche per coglierne le opportunità che esso porta. Ma non l’Italia.
Per il momento, infatti, il nostro Paese non sembra particolarmente intenzionato a darsi da fare, né motivato a sfruttare una ghiotta occasione di rilancio industriale ed conomico, specialmente nel settore dell’idrogeno e delle celle a combustibile. Una scelta tanto più anacronista perchè l’Italia è tra gli Stati europei con la maggiore dipendenza da fonti energetiche estere e poco “green”. Il rischio, in definitiva, è che l'Italia si faccia sfuggire il treno dell’idrogeno, restando fermo sulla banchina a guardare gli altri che sfrecciano verso il futuro.

Il cambiamento è nell’aria...forse

Per scongiurare questo rischio, però, qualcosa si sta muovendo, per così dire, dal “basso” cioè dal mondo della ricerca e dell’industria che si sta organizzando per sollecitare il Governo a dare anche all’Italia gli strumenti normativi e le risorse per svolgere un ruolo di primo piano in quella che si prospetta come una delle partite più avvincenti e cruciali dei prossimi decenni: quella che si gioca sulle energie rinnovabili, alternative e pulite. Per questo, lo scorso 19 giugno, nell’ambito della Sustainable Energy Week, si è svolto in Campidoglio a Roma il workshop “Towards 2030: Hydrogen and Fuel Cell Technologies for Sustainable Growth”. Un incontro per fare il punto sullo stato dell’arte in Italia, della ricerca sull’idrogeno e sulle sue applicazioni alla mobilità, al quale hanno partecipato i maggiori esponenti italiani ed europei del settore. Un incontro che è stato soprattutto l’occasione per presentare la neonata “Iniziativa Italiana Mobilità a Idrogeno” (In.I.M.I).
In.I.M.I è un consorzio promosso da H2IT, l’Associazione Italiana dell’Idrogeno e delle celle a combustibile, che si rivolge a tutti i soggetti coinvolti nella mobilità a idrogeno, sul modello di quanto già fatto in altri Paesi europei. Al momento, il primo obiettivo di In.I.M.I. è diventare lo strumento col quale l’Italia cercherà di rispondere alle richieste poste da una recente e importante direttiva del Parlamento Europeo in materia di combustibili alternativi.
Non se ne è parlato molto sui mezzi di informazione e al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, ma la direttiva 2014/94 del 22 ottobre scorso (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Europea del 28 ottobre) rappresenta una pietra miliare nel percorso dell’Europa verso una società low carbon. Si tratta di un insieme di regole che avrà notevoli ripercussioni in molti settori della vita quotidiana e della società degli Stati coinvolti: dalla ricerca scientifica all’economia, dalla produzione industriale all’occupazione, dalla tutela dell’ambiente alla salute pubblica.

La direttiva “Sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi” (questo il titolo) stabilisce “…un quadro comune di misure per la realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi nell’Unione, per ridurre al minimo la dipendenza dal petrolio e attenuare l’impatto ambientale nel settore dei trasporti”. Il documento stabilisce anche “…requisiti minimi per la costruzione dell’infrastruttura per i combustibili alternativi, inclusi i punti di ricarica per veicoli elettrici e i punti di rifornimento di gas naturale (GNL e GNC) e idrogeno, da attuarsi mediante i quadri strategici nazionali degli Stati membri, nonché le specifiche tecniche comuni per tali punti di ricarica e di rifornimento, e requisiti concernenti le informazioni agli utenti”. Insomma, quella avviata dalla direttiva europea è una vera rivoluzione della mobilità, potenzialmente in grado di cambiare il volto delle città europee, così come le nostre abitudini quotidiane e la qualità dell’ambiente in cui vivremo.
Sebbene da un punto di vista scientifico esista una sottile (ma sostanziale) differenza tra fonti alternative d’energia e idrogeno (essendo quest’ultimo un “vettore energetico” e non una “fonte” come, ad esempio, il petrolio), il legislatore ha ritenuto che, all’atto pratico, i vantaggi di questa tecnologia fossero paragonabili a quelli delle fonti alternative, al punto da inserire l’idrogeno nella lista dei “combustibili alternativi”, al pari del gas naturale e dei biocarburanti. Le vetture a idrogeno e pile a combustibile, infatti, non sono altro che una variante ibrida delle vetture elettriche a batteria. Nel caso dell’idrogeno, però, l’elettricità è prodotta direttamente a bordo, in tempo reale, attraverso una reazione elettrochimica tra idrogeno compresso e ossigeno atmosferico, senza alcuna combustione e con l’unico prodotto di “scarto” costituti da vapore acqueo.

L’impostazione data alla direttiva europea, allora, spalanca le porte a un settore tecnologico e industriale (quello dell’idrogeno per la mobilità) che attende solo una decisa spinta per decollare definitivamente. A patto, s’intende, di avere la volontà politica di farlo e gli strumenti gestionali adatti. A tale riguardo, la direttiva europea individua nel “Quadro Strategico Nazionale” lo strumento adatto a promuovere e gestire, a livello dei singoli Stati, lo sviluppo della nuova infrastruttura comune. E’ uno strumento che, nei fatti, diventa un obbligo perché, come si legge nell’art. 3 della direttiva: “Ciascuno Stato membro adotta un quadro strategico nazionale per lo sviluppo del mercato per quanto riguarda i combustibili alternativi nel settore dei trasporti e la realizzazione della relativa infrastruttura”.
In filigrana, vuol dire che solo quei paesi che avranno approntato tale quadro saranno ammessi a beneficiare di misure di sostegno europee e nazionali. Ciò vale anche per l’idrogeno a condizione, però, che sia esplicitamente inserito tra i carburanti alternativi, nel Quadro Strategico Nazionale che ciascuno Stato membro dovrà trasmettere a Bruxelles entro il 18 novembre 2016, come prevede la direttiva.
A questo punto, mentre Germania, Regno Unito, Svezia, Danimarca, Norvegia, Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Polonia, Belgio, Finlandia e Lettonia hanno già adottato o stanno per adottare piani per lo sviluppo delle infrastrutture di rifornimento a idrogeno, per l’Italia il problema è che nel Piano Nazionale per le infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici (già approvato dal Governo) l’idrogeno semplicemente…non compare! Se invece guardiamo vicino casa nostra, ci accorgiamo che la sola Germania, ad esempio, prevede la circolazione sul proprio territorio di 1.800.000 vetture a idrogeno entro il 2030, a fronte della disponibilità di circa 1000 stazioni di rifornimento sull’intero territorio nazionale.
A tale scopo i tedeschi hanno già predisposto una precisa tabella di marcia che prevede la realizzazione di 50 stazioni entro quest’anno, 100 nel 2017 e 400 nel 2023. Anche nel resto del mondo (vedi Corea del Sud e Giappone) le cose si muovono.
Il Giappone, ad esempio, conta di raggiungere le 1000 stazioni di rifornimento entro il 2025, quando le vetture a idrogeno circolanti dovrebbero essere un milione. Intanto, già oggi, colossi del mercato automobilistico come Toyota e Hyunday hanno iniziato la commercializzazione di due vetture a idrogeno e celle a combustibile (Toyota Mirai e Hiunday ix35), mentre altri marchi prestigiosi, come Suzuki e BMW, stanno avviando la realizzazione di altri modelli. Tutto ciò dimostra che la fase della sperimentazione è, sostanzialmente, conclusa ed è possibile passare a quella di mercato, con l’obiettivo di raggiungere dimensioni tipiche di un’economia di scala.

Insomma il cambiamento è nell’aria, anzi è già iniziato e se l’Italia non vuole restare fuori da questo importante settore, è necessario che si scuota dall’immobilismo che l’ha caratterizzata finora. In mancanza, per riprendere le parole di Angelo Moreno, Presidente di H2IT: “È facile immaginare quali siano le conseguenze di questo immobilismo: ostacoli e ritardi per i progetti da sviluppare nel nostro Paese; assenza di fondi dedicati a livello nazionale e regionale; difficoltà – ove non impossibilità – di accesso ai fondi europei disponibili per la mobilità a idrogeno; limiti allo sviluppo e alla crescita delle imprese operanti in questo settore nel nostro Paese. E poi magari, tra qualche anno, ci piangeremo addosso nel constatare che avremo perso un’altra grande opportunità, ma sarà ormai troppo tardi. È già accaduto in passato con le tecnologie per le fonti rinnovabili; accadrà con l’idrogeno e le celle a combustibile se non facciamo nulla, hic et nunc, adesso che siamo ancora in tempo”.
In Italia abbiamo il know-how scientifico e tecnologico per affrontare questa nuova sfida e la nascita dell’Iniziativa Italiana Mobilità a Idrogeno dimostra che il mondo della ricerca e dell’industria è pronto a metterlo a disposizione della nazione.
Ora tocca alla politica dimostrare di saper cogliere quest’occasione e di voler governare (sfruttandolo al meglio) il cambiamento. Il tempo a disposizione non è molto (il 18 novembre 2016) ma è ancora sufficiente e la questione, in fin dei conti, è molto semplice: vogliamo diventare protagonisti consapevoli del cambiamento o rimanere spettatori passivi?

di Romualdo Gianoli


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