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6 giugno 2018
a cura di Chiara Sabelli
Il cranio di Naia, l'individuo di sesso femminile vissuto circa 12 mila anni fa i cui resti sono stati ritrovati nel 2007 all'interno della grotta di Hoyo Negro, un sito archeologico del Pleistocene situato nella penisola dello Yucatan in Messico. Credit: James Chatters / Hoyo Negro / University of California San Diego.
L'analisi del genoma dei resti di 91 individui ritrovati sulle Channel Islands, al largo delle coste californiane, e nell'Ontario sud-occidentale indica l'esistenza di due gruppi umani, ANC-A e ANC-B, da cui avrebbero avuto origine le popolazioni native americane. È quanto rivela uno studio pubblicato sull'ultimo numero di Science. Il gruppo ANC-B sarebbe principalmente associato alle popolazioni dell'America nord-orientale, mentre i nativi americani del centro e del sud del continente discenderebbero dal mescolamento di ANC-A con ANC-B. Per stimare l'epoca in cui è avvenuta la differenziazione tra questi due gruppi, gli scienziati hanno osservato che il genoma di Anzick-1, l'individuo più antico ritrovato nel continente americano in Montana e risalente a circa 13 mila anni fa, appartiene al gruppo ANC-A. Le due popolazioni si sarebbero dunque separate migliaia di anni prima. Infine i ricercatori ritengono che il luogo più probabile per la differenziazione tra ANC-A e ANC-B sia a sud dei ghiacciai Laurentide e della Cordigliera, che coprivano i territori dell'America settentrionale. I due gruppi si sarebbero poi rincontrati più a sud e mescolati. Nell'immagine il cranio di Naia, l'individuo di sesso femminile vissuto circa 12 mila anni fa i cui resti sono stati ritrovati nel 2007 all'interno della grotta di Hoyo Negro, un sito archeologico del Pleistocene situato nella penisola dello Yucatan in Messico. Credit: James Chatters / Hoyo Negro / University of California San Diego.
ERADICARE LA MALARIA
Nel 2015 la malaria ha ucciso tra le 438 000 e le 720 000 persone: il 72% erano bambini di età inferiore ai 5 anni e circa il 90% abitava l'Africa subsahariana. La speranza dei ricercatori è di utilizzare la tecnologia chiamata 'CRISPR gene drive' per eradicare la malattia. Consiste nel modificare il DNA di alcuni individui delle specie di zanzare responsabili per la diffusione del parassita per diffondere la stessa modifica a tutta la specie. Si potrebbe interventire sul loro DNA perché generino solo maschi, causandone così l'estinzione, oppure renderle resistenti alla malaria e impedirgli così di trasmetterla agli esseri umani. Questi sono i due approcci studiati dai due gruppi di ricercatori impegnati su questo fronte: uno in California (presso le Università della California di San Diego e Irvine) e l'altro all'Imperial College di Londra. È quest'ultima istituzione che ospita il progetto Target Malaria che aspira a testare sul campo il 'CRISPR gene drive' entro il 2023. Ma a ostacolare l'impiego di questa tecnologia ci sono soprattutto questioni politiche e di governance. Il primo problema è l'uniformità delle regolamentazioni sui trial clinici. Un esperimento con 'CRISPR gene drive' non rimarrebbe, per sua natura, all'interno dei confini nazionali di uno Stato, ma interesserebbe rapidamente i Paesi confinanti. Inoltre bisogna considerare l'accettabilità sociale di una tecnica simile, sviluppata da scienziati occidentali ma da impiegare nel continente africano. [Vox; Dylan Matthews]

Un progetto pilota esiste già, anche se non riguarda un gene drive ottenuto con la tecnica CRISPR. Si tratta dell'esperimento condotto da Kevin Esvelt di MIT sulle isole di Nantucket e Martha's vineyard negli Stati Uniti, dove gli scienziati hanno introdotto dei topi geneticamente ingegnerizzati per combattere la malattia di Lyme. Ad affiancare Esvelt in questo progetto definito di responsive science c'è la bioeticista Jeantine Lunshof, che ha ideato e coordinato gli incontri con le comunità locali. [The Atlantic; Ed Yong]

IL TRIZIO DI FUKUSHIMA
Il Governo giapponese si appresta a organizzare un dibattito pubblico nella zona di Fukushima per decidere come smaltire 1 milione di tonnellate di acqua contaminata con trizio, fuoriuscite dai reattori della centrale nucleare in seguito allo tsunami del 2011. La International Atomic Energy Agency (IAEA) ha raccomandato la diluizione e lo smaltimento nell'Oceano Pacifico: si tratta in assoluto della strategia con i rischi minori. Ma il Governo non ha ancora preso nessuna decisione, spaventato dalle reazioni negative delle popolazioni locali, in particolare delle cooperative di pescatori. [Japan Times; Azby Brown]

E il bilancio è destinato a salire. Ogni giorno infatti circa 150 tonnellate di acqua di falda filtrano all'interno dei reattori, trascinando con se materiale radioattivo. La TEPCO, proprietaria dello stabilimento, pompa le acque contaminate fuori dai reattori e le depura dagli elementi più radioattivi, come cesio e stronzio, ma non dal trizio, l'isotopo 3 dell'idrogeno. L'acqua viene per questo immagazzinata all'interno di enormi barili stagni, oggi sono circa 850, ma la TEPCO stima che dal 2020 non avrà più spazio per posizionare nuovi barili. È dunque necessario procedere allo smaltimento. [Wired; Vince Beiser]

RICERCA E SOCIETÀ
Il risultato del processo di autovalutazione dello European Research Council è chiaro: investire in progetti ad alto rischio paga. Il 31 maggio è stato pubblicato il terzo rapporto di valutazione della ricerca finanziata dallo ERC. Quest'anno sono stati analizzati 223 progetti arrivati a conclusione nella prima metà del 2015. I valutatori, scelti tra i ricercatori europei più esperti, hanno concluso che il 79% di questi 223 progetti ha portato ad avanzamenti scientifici rilevanti e il 19% a vere e proprie scoperte fondamentali. Solo l'1% non ha generato contributi scientifici sufficienti. Ai valutatori è stato poi chiesto di concentrarsi sulla rischiosità dei progetti. Ebbene secondo loro solo il 10% del totale ha intrapreso un percorso scientifico a basso rischio. Si tratta di un esperimento di valutazione nuovo per gli enti finanziatori della ricerca in Europa, che di solito misurano l'efficacia dei loro investimenti singolarmente per ogni progetto e considerano solo l'impatto in termini di pubblicazioni e non di effetti sull'economia e la società. [Nature; Inga Vesper]

Nonostante la crisi economica che ha colpito l'Europa tra il 2008 e il 2012, il tasso di mortalità tra le fasce meno istruite della popolazione europea è diminuito. Questo il risultato dello studio coordinato dall'epidemiologo Johan Mackenbach dell'Erasmus Medical Center nell'ambito del progetto europeo Lifepath, e pubblicato sulla rivista PNAS. Al contrario di quanto accaduto negli Stati Uniti, in 27 Paesi europei la salute dei cittadini meno istruiti è migliorata negli anni della crisi economica, probabilmente grazie alla tenuta dei sistemi di welfare. In particolare i Paesi dell'Europa dell'Est hanno vissuto un'inversione di tendenza: se tra il 1980 e il 2008 il tasso di mortalità tra le persone di età compresa tra 45 e 60 anni è aumentato, tra il 2008 e il 2012 è diminuito. [Scienza in rete; Luca Carra]

L'introduzione, nel 2010, dell'abilitazione scientifica nazionale per accedere ai concorsi di professore associato e ordinario avrebbe determinato un aumento nel numero di auto-citazioni dei ricercatori italiani. Ad affermarlo è uno pubblicato sulla rivista Research Policy. [Nature Index; Dalmeet Singh Chawla]


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