Lo scorso venerdì l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha designato la variante B.1.1.529 del SARS-CoV-2 come variant of concern, variante preoccupante e gli ha assegnato la lettera greca Omicron. È stata rilevata per la prima volta in una manciata di campioni prelevati l’8 novembre nella provincia del Gauteng in Sudafrica, dove è in corso un rapido aumento dei casi. Oltre all’accelerazione del contagio, la variante preoccupa per il gran numero di mutazioni presenti nel suo genoma, più di 50. Oltre 30 di queste si trovano sulla parte dell’RNA virale che determina la forma della proteina spike del virus, quella responsabile per l’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite, e che rappresenta il bersaglio degli anticorpi prodotti in seguito all’infezione o alla vaccinazione. La variante Omicron è stata rilevata in una serie di stati dell’Africa meridionale e poi in diversi paesi del mondo, compresi quattro casi in Italia originati da un cittadino residente in Campania rientrato da un viaggio in Mozambico che ha poi contagiato i suoi familiari e altri conoscenti.
Stando ai dati del National Institute for Communicable Diseases del Sudafrica (NCID), nella provincia del Gauteng, che comprende le città di Johannesburg e Pretoria, i casi diagnosticati nella settimana dal 26 novembre al 2 dicembre sono quasi quintuplicati rispetto alla settimana dal 19 al 25 novembre, passando da 5 500 circa a 26 600 circa. Nella settimana ancora precedente, quella dal 12 al 18 novembre, i nuovi contagi erano stati circa 1 300.
Il rapporto pubblicato mercoledì dal Network for Genomic Surveillance in South Africa (NGS-SA), il consorzio di centri di ricerca e laboratori privati che si occupa del sequenziamento dei campioni che risultano positivi al SARS-CoV-2 in Sudafrica, indica che dei 249 sequenziamenti effettuati nel mese di novembre il 74% sono Omicron. Si tratta di un numero ancora limitato di sequenze per trarre conclusioni. Tuttavia, Omicron ha due delezioni nelle posizioni 69 e 70 del suo genoma e per questo i test PCR più utilizzati per diagnosticare l’infezione con SARS-CoV-2 non rilevano il gene S su cui sono presenti queste delezioni (come accadeva con la variante Alpha). Il test risulta ancora positivo ma è “discordante”, cioè riconosce solo due geni del virus sui tre che cerca. Si può quindi usare la frazione di test discordanti come approssimazione della prevalenza della Omicron. Questo permette di considerare un numero maggiore di campioni e anche di sorteggiarli in modo più casuale. Usando questa strategia, i ricercatori sudafricani hanno stimato che Omicron potrebbe rappresentare fino al 90% dei campioni risultati positivi, come ha spiegato Tulio de Oliveira, che dirige il Centre for Epidemic Response and Innovation della Stellenbosch University e coordina il Network for Genomic Surveillance.
È stato il suo gruppo ad avvisare per primo l’OMS della presenza di Omicron, come de Oilveira ha raccontato al New Yorker. A metterlo in allerta è stato l’aumento dei casi osservato dalla metà di novembre nel Gauteng, una provincia fortemente colpita dall’ondata di Delta dove i test sierologici indicano che tra il 60% e l’80% della popolazione potrebbe essere stata infettata. Oltre a questo, c’è stata la rilevazione da parte di uno dei laboratori del network di sorveglianza genomica di sei sequenze fortemente mutate rispetto al ceppo di Wuhan.
L’altro dato preoccupante riguarda le ospedalizzazioni. Nella settimana dal 21 al 27 novembre sono state ricoverate 788 persone negli ospedali della provincia, più del doppio di quelle ricoverate nella settimana precedente. Come ha osservato John Burn-Murdoch, chief data reporter del Financial Times, i contagi crescono più velocemente che nelle ondate precedenti, inclusa quella guidata dalla variante Delta, ma la velocità di crescita del numero di ricoveri settimanali sembra minore. Tuttavia, è ancora presto per dire se questo dato indichi che la Omicron sia meno virulenta della Delta o che l’elevato grado di immunità già presente nella popolazione, ottenuta soprattutto tramite infezione naturale, la stia proteggendo dalle forme gravi della malattia. Il contagio sembra infatti guidato dagli under 40, ha fatto notare Tom Moultrie, demografo alla University of Cape Town, e questo potrebbe almeno in parte spiegare il minor tasso di ospedalizzazioni. In più sappiamo che il numero di ricoveri segue con almeno una settimana di ritardo i contagi.
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