newsletter #54
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Tre articoli pubblicati sull'ultimo numero di Science documentano la scoperta di
una nuova datazione nella transizione tecnologica
dall'acheuleano a punte e lame più piccole e più
precise, ottenute da ossidiana e pietre silicee. Questi
nuovi strumenti risalirebbero a 320 mila anni fa,
quando la nostra specie homo sapiens fece la sua
apparizione sulla Terra. Un gruppo di paleoantropologi
del museo di storia naturale dello Smithsonian
Institution e della George Washington University hanno
ottenuto questi risultati analizzando i resti ritrovati
nei siti di Olorgesailie in Kenya. A rendere ancora più interessante questa scoperta è la correlazione
che i ricercatori hanno trovato con i cambiamenti
climatici in atto in quel periodo, che suggeriscono che
l'innovazione sia stata guidata dalle trasformazioni
dell'ambiente circostante. Nell'immagine un bifacciale
risalente a 500 mila - 300 mila anni fa, ritrovato a
Cintegabelle, nella Alta Garonna francese. Attualmente esposto al
Muséum d'Histoire Naturelle de la ville de
Toulouse. Credit: Didier Descouens / Wikimedia
Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0.
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IL CASO CAMBRIDGE ANALYTICA TRAVOLGE FACEBOOK
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La società di consulenza Cambridge Analytica, specializzata nello sviluppo di campagne informative di microtargeting per influenzare i risultati elettorali, ha utilizzato i dati Facebook di decine di milioni di elettori americani ottenuti illegalmente nel 2014 per progettare l'algoritmo alla base del suo business.
A rivelarlo al New York Times e all'Observer è Christopher Wylie, data scientist canadese ed ex
dipendente della società
statunitense, in una serie di
articoli pubblicati tra sabato e
domenica scorsa. Le sue dichiarazioni contraddicono le posizioni ufficiali che Facebook e Cambridge Analytica hanno assunto finora durante le due inchieste in corso nel Regno Unito, su Brexit, e negli Stati Uniti, sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016.
[The Observer / The Guardian; Carole Cadwalladr]
I dati sarebbero stati ottenuti "per motivi accademici" da Aleksandr Kogan, ricercatore all'università di Cambridge. Tramite la società Global Science Research, Kogan ha reclutato su Amazon Mechanical Turk e Qualtrics elettori americani disposti a eseguire un test della personalità in cambio di un compenso. L'adesione all'esperimento garantiva a Kogan l'accesso ai dati Facebook di coloro che sostenevano il test e dei loro amici, senza che questi ne fossero consapevoli. In questo modo Kogan ha raccolto, in pochi mesi, i dati relativi a decine di milioni di persone che poi ha venduto a Cambridge Analytica per 1 milione di dollari.
L'operazione è stata possibile perché Kogan dichiarava di essere
interessato ai dati per motivi di ricerca scientifica. Ma la vendita
di questi dati a una società terza violerebbe sia i termini di
servizio di Facebook che la legge britannica sulla protezione dei dati
personali.
[The Observer / The Guardian; Carole Cadwalladr e Emma Graham-Harrison]
Ma come ha fatto Cambridge Analytica a sfruttare i dati raccolti da
Kogan per influenzare le preferenze degli elettori americani alle
presidenziali del 2016? Molto probabilmente ha replicato un modello
sviluppato tra il 2012 e il 2015 da altri due ricercatori
dell'università di Cambridge, Michal Kosinski and David Stillwell. Il modello
in questione è in grado di prevedere il profilo psicologico di
un soggetto a partire dalle tracce digitali che questo lascia su
Facebook: quali e quante foto profilo condivide, quali sono i post a cui
reagisce con un 'Like', quanti sono i suoi amici, dove vive, quanti
anni ha. Per mettere a punto
il modello, dettagliato in due articoli pubblicati sulla rivista PNAS,
Kosinski e Stillwell svilupparono un test della personalità da
sostenere online. Al termine del test l'utente poteva scegliere se
dare ai ricercatori l'accesso al proprio profilo
Facebook. Non si aspettavano di raccogliere in pochi mesi i dati di
milioni di persone provenienti da 45 Paesi diversi. Ma il vasto database gli permise di
raffinare il loro algoritmo. Cambridge Analytica, con l'aiuto di
Kogan, ha probabilmente riprodotto questo algoritmo sui dati dei 50 milioni di elettori
americani e li ha poi utilizzati per progettare contenuti digitali
personalizzati in grado di influenzarne le preferenze elettorali.
[University of Cambridge; Communicatioins Office]
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IL PRIMO PEDONE VITTIMA DI UN'AUTO A GUIDA AUTONOMA
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Elaine Herzberg, 49 anni, è il primo pedone vittima di un'auto a guida
autonoma. L'incidente è avvenuto alle 10 di
domenica 18 marzo a Tempe in Arizona. Nell'auto,
di proprietà di Uber, era presente un guidatore in grado di subentrare al sistema artificiale in caso di pericolo, ma non è stato sufficiente.
Nel 2015 lo Stato dell'Arizona aveva emanato un ordine esecutivo per diventare una sorta di regulation-free zone, con la speranza di attirare le grandi società del settore, come Uber e Waymo, che nella vicina California rispondevano a requisiti molto più stringenti. All'inizio di questo mese l'ordine era stato approvato per concedere i test anche senza guidatore di sicurezza.
Restano da accertare le responsabilità nell'incidente di domenica sera, ma nel frattempo Uber ha sospeso tutti i test simili in corso a Pittsburgh, San Francisco e Toronto.
[The New York Times; Daisuke Wakabayashi]
Prima di farsi vincere dalla paura occorre
però ricordare che nel 2016 sulle strade
americane sono morti quasi 6 mila pedoni, circa
16 ogni giorno. Si tratta di uno dei bilanci
più duri tra i Paesi ricchi e fa parte di un
trend negativo che ha visto il numero di vittime
della strada aumentare dell'8% dal 2015 al
2016. Parte della responsabilità sarebbe la
scarsa attenzione verso regole elementari, come
indossare la cintura di sicurezza in macchina o
il casco in moto.
[Vox; Julia Belluz]
La legislazione americana tratta
separatamente i veicoli e gli autisti. Per
permettere a un veicolo di circolare richiede
certe caratteristiche tecniche (airbag, freni,
ecc.), mentre per permettere a una persona di
guidare le chiede di passare un esame. Secondo Srikanth Saripalli, ingegnere
alla Texas A&M University, dovrebbe succedere
qualcosa di simile prima di permettere alle auto
a guida autonoma di circolare sulle strade senza
un guidatore di sicurezza pronto a
intervenire. Invece degli esseri umani
dovrebbero essere testati gli algoritmi che
governano le self driving car. C'è da dire che è difficile sapere a priori come questi algoritmi si comporteranno sulla strada, un po' come succede con i farmaci:
spesso non se conoscono i meccanismi di
funzionamento. E allora i test degli algoritmi
potrebbero ispirarsi ai processi di approvazione
dei medicinali, in cui
i ricercatori devono dimostrare che
una terapia ha gli effetti previsti e limitati
effetti collaterali su una popolazione di pazienti
sufficientemente grande e rappresentativa. Analogamente un algoritmo di guida
dovrebbe essere messo alla prova in una serie di
situazioni che possono verificarsi sulla strada.
[The Conversation UK; Srikanth Saripalli]
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RICERCA E SOCIETÀ
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La crisi di riproducibilità della scienza è ben nota, soprattutto in campo biologico e medico. John Ioannidis, in un articolo pubblicato nel 2006, affermava semplicemente che "la maggior parte dei risultati di ricerca è falso". Cosa fare?
Un suggerimento arriva da un recente rapporto pubblicato dalla Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, che identifica alcune pratiche fondamentali. Da una parte aumentare l’accuratezza metodologica e la dimensione dei campioni presi in esame e condividere procedure e dati nel modo più aperto e dettagliato possibile. Inoltre incentivare economicamente e con riconoscimenti di carriera la "cultura della riproducibilità", piuttosto che premiare solamente l'"innovatività degli studi".
[Scienza in rete; Luca Carra e Cristina Da Rold]
«Non appena arrivai nel suo istituto egli (Dennis Sciama, uno dei massimi fisici
britannici della
seconda metà
del novecento,
allievo di Paul
Dirac, ndr) mi
scelse per lavorare
sulla freccia del
tempo: perché il
passato è così
differente dal
futuro? Perché noi
ricordiamo il
passato e non il
futuro?». Riesce a
tamburellare con
incredibile perizia
sulla tastiera con
quella scarsa
mobilità che ha
ormai l'unica mano
ancora reattiva. E
dopo qualche minuto
il computer
trasmette il suo
pensiero. Era il
gennaio del 1992
quando Pietro Greco
raccoglieva le
parole di Stephen
Hawking volato a
Trieste per una conferenza. Vi riproponiamo questa intervista in
occasione della scomparsa del grande scienziato, avvenuta
il 14 marzo scorso.
[Scienza in rete; Pietro Greco]
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