«La macchina potrà superare l'uomo?
La risposta è no, perché l'uomo è dotato di una capacità di ragionamento che la macchina non ha.
Però i nuovi programmi di intelligenza artificiale sembrano in grado di scrivere come un operatore umano…
Questo è vero, ma è ancora lontano dall'essere in grado di ragionare come un essere umano.
E sono anche in grado di scrivere codice, come un informatico. L'uomo non rischia di essere soppiantato dall'intelligenza artificiale?
Ancora una volta, la risposta è no. L'intelligenza artificiale non è in grado di ragionare come un essere umano, quindi non rischia di soppiantarlo.
Potrà quindi aiutarlo?
Sì, l'intelligenza artificiale potrà aiutare l'uomo in molte attività, grazie alla sua capacità di elaborare grandi quantità di dati in tempi brevi.
Ma che cosa manca all'intelligenza artificiale che invece ha l'uomo? L'intelligenza artificiale non è in grado di provare emozioni, di comunicare in modo creativo o di intuito».
Ecco, questo scambio un po’ mi tranquillizza. Perché a giudicare dall’articolo in cui Chiara Sabelli racconta l’emergere dei due sistemi di intelligenza artificiale - AlphaCode di Google e Codex, derivato da GPT3 di OpenAi (Microsoft) - si può dire che la capacità di scrivere codice di questi programmi sia pari a quella di un programmatore di medio livello. Quindi, dopo aver battuto Kasparov a scacchi, dopo aver stracciato il campione Ke Jie a Go, e dopo aver messo a punto chat in linguaggio naturale praticamente indistinguibili dai nostri messaggi, l’intelligenza artificiale è ormai in grado di… produrre se stessa generando codice di livello professionale. Ma allora gli sviluppatori perderanno il lavoro? si chiede Sabelli. Pare di no. Anzi, in qualche modo gli informatici stanno già usando questi ausili artificiali per poi rifinire il lavoro sulla esigenze del cliente - cosa che ancora non riesce perfettamente all’IA. Ma la generazione automatica di codice - si chiede ancora Sabelli - renderà inutile imparare a programmare? E questa sfida umano-macchina non ci costringerà a rivedere il modo di insegnare le scienze e l’informatica? La risposta, almeno provvisoria, è nell’articolo. (Sappi comunque che il dialogo iniziale l’ho avuto con OpenAi).
«Ero nell’Orchestra di Santa Cecilia quando ho iniziato a mancare singole note e poi passaggi più lunghi. Non riuscivo più a eseguire le legature, un certo tipo di staccato e di dizione». Così inizia il racconto di Maurizio Persia, trombonista dell’orchestra di Santa Cecilia. Maurizio, insieme a non pochi altri musicisti, è affetto da distonia focale, una condizione neurologica che, probabilmente a causa dello strenuo allenamento dei musicisti, li rende progressivamente incapaci di suonare in modo professionale.
“A un certo punto le mani per i pianisti e i chitarristi o i muscoli delle labbra degli strumentisti a fiato non rispondono più ai comandi acquisiti in anni di esercizi e suonare diventa impossibile” spiega su Scienza in rete la giornalista (e musicista) Camilla Fiz. Fino a poco tempo fa di questa condizione non si parlava volentieri, proprio per evitare di bruciare in questo modo la carriera di valenti musicisti, e considerando il fatto che al momento non è considerata una malattia professionale, nonostante le richieste inoltrate all’INAIL, l’ente italiano che certifica incidenti e malattie professionali. Tornare alle performance abituali non è garantito, ed è comunque molto faticoso. Tuttavia, il fenomeno sta emergendo, e pare riguardare almeno l’1% dei musicisti, che fra mille patemi cercano di reagire, sia facendosi curare in appositi centri, sia cercando di modificare alcuni aspetti della didattica musicale e di alleggerire la pressione sociale a cui sono sottoposti i musicisti.
Insieme ai nostri musicisti e informatici, ci terremo a non perdere la varietà di specie animali di cui è ricco il nostro paese. Per questo motivo, periodicamente viene aggiornata la Lista Rossa dei vertebrati italiani, pubblicata a fine 2022. La lista ci dice che per alcune specie le cose non vanno male, anzi stanno addirittura migliorando. È il caso della lontra, del lupo e del gatto selvatico. Ma ci dice anche che altri animali se la passano peggio, come la natrice del collare, le tartarughe palustri italiane, pesci come la cheppia (un pesce osseo) o uccelli come il fagiano del monte, il beccafico, l’orecchione sardo e il mignattino comune. La biodiversità nostrana resta tutto sommato in condizioni non ideali, soprattutto negli ambienti acquatici, come spiega nell’articolo di Anna Romano.
In Europa circa un terzo delle morti per tumore negli uomini è associata a disuguaglianze socioeconomiche (ma si arriva a quasi la metà nell’Europa dell’Est), mentre per le donne questa proporzione è uno a sei (una su quattro nell’Europa dell’Est). Quindi è vero, le disuguaglianze socioeconomiche, espresse in termini di educazione, fanno la differenza anche su questa famiglia di malattie che nel 2021 hanno ucciso 181.200 italiani. A seconda dei tipi di tumore, lo status incide in modo diverso: per l’esposizione a fattori di rischio come il fumo e l’alcol, nel caso per esempio di polmone e fegato, o per il mancato accesso ai programmi di screening e diagnosi precoce come nel caso del cancro della cervice uterina - dove però in Italia al contrario di altri paesi non si apprezzano differenze legate al livello di istruzione. A proteggere quindi dalla piaga del cancro non è solo la ricerca e una buona clinica, ma anche una maggiore uguaglianza di reddito e istruzione, e un pieno accesso a un sistema sanitario pubblico universale. I dati provengono da una ricerca che ha coinvolto i più importanti centri europei, dallo IARC di Lione all’Imperial College di Londra. E a parlarcene su Scienza in rete sono appunto Salvatore Vaccarella dello IARC e Paolo Vineis dell’Imperial College, fra gli autori dello studio.
E per questa volta è tutto. Alla prossima settimana, se nel frattempo non ci siamo estinti a nostra volta. Ma puoi sempre evitarlo, girando questa mail ad amici interessati a iscriversi alla nostra newsletter. E magari sostenendo la nostra attività cliccando qui.