newsletter finesettimana #11
Buon venerdì,
questa settimana parliamo dell'aumento dei finanziamenti pubblici alla ricerca
in Spagna, delle cinque regole d'oro per comunicare le prove scientifiche,
di un sistema di deep learning che sintetizza in una frase il contenuto di interi articoli scientifici,
del documentario sui bias degli algoritmi appena uscito negli Stati Uniti,
della qualità dell'aria in Europa e sintetizziamo le notizie salienti sulla COVID-19.
L'argomento che approfondiamo oggi è quello delle strategie ottimali
per distribuire i vaccini contro COVID-19, che probabilmente cominceranno
a essere distribuiti in Europa nel mese di gennaio. Chi dovrebbe avere priorità per il vaccino?
Buona lettura e al prossimo venerdì (per segnalare questa newsletter
agli amici
ecco il link per l'iscrizione)
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SEI PEZZI BELLI
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1 Il governo spagnolo propone un sorprendente aumento di fondi pubblici per la ricerca
Il Governo spagnolo presieduto dal socialista Pedro Sanchez
ha proposto un consistente aumento di bilancio destinato al ministero
della scienza per il 2021. Si parla del 60% in più rispetto al 2020,
per un totale di 3,2 miliardi di euro. Se approvato dal Parlamento,
si tratterebbe del finanziamento più alto mai ricevuto dalla ricerca
pubblica in Spagna. 1,1 miliardi di questa somma provengono
dal fondo NextGenerationEU, stanziato dalla Commissione Europea
per far fronte alla crisi economica causata dalla pandemia.
I ricercatori spagnoli hanno accolto con entusiasmo la notizia,
ma sottolineano l'importanza che questo livello di fondi venga
garantito per un periodo di tempo sufficiente per
poter sostenere delle azioni di lungo periodo e ridare fiato
alla scienza spagnola che più di altri settori ha sofferto
i tagli dovuti all'austerity degli ultimi dieci anni
[Nature]
2 Le cinque regole per comunicare le prove scientifiche
Il Winton Centre for Risk and Evidence Communication dell'Università
di Oxford ha individuato cinque principi da tenere a mente
nella comunicazione della conoscenza scientifica su temi di interesse pubblico.
Una comunicazione di successo, sottolineano i ricercatori, non è quella
che spinge il pubblico verso una particolare decisione, ma piuttosto
quella che chiarisce cosa è noto su un argomento e
come questo debba influenzare il processo decisionale. I cinque principi sono:
informare, non persuadere; includere tutte le prove disponibili, non
solo quelle a favore delle nostre convinzioni; evidenziare ciò che non si
sa e il grado di incertezza su quello che si sa; commentare la qualità
delle prove disponibili; dare spazio ai dubbi più comuni sul tema
per provare a prevenire la disinformazione
[Nature]
3 Un'intelligenza artificiale sintetizza in una frase il
contenuto di articoli scientifici
È stata sviluppata dall'Allen Institute for Artificial Intelligence
che la ha testata per ora sugli articoli dell'area di computer science.
Il risultato è mostrato dal sistema di ricerca di pubblicazioni scientifiche
messo a punto dallo stesso istituto e chiamato Semantic Scholar.
Digitando, per esempio, l'espressione 'natural language processing' in questo motore
di ricerca, vedremo apparire sotto il titolo degli articoli elencati
tra i risultati una frase preceduta dall'acronimo TLDR, too long, didn't read.
Questo strumento potrebbe aiutare i ricercatori a orientarsi in un'area incredibilmente
produttiva in questo momento storico. Mentre finora si erano sperimentati
dei sistemi cosiddetti 'estrattivi', capaci cioè di individuare le frasi
più salienti all'interno dell'articolo, i progressi nei sistemi di
analisi ed elaborazione del linguaggio naturale hanno permesso di
passare a un approccio cosiddetto 'astrattivo', capace di formulare
nuove frasi a partire da un'analisi del contenuto dell'intero articolo
[MIT Technology Review]
4 È appena uscito negli Stati Uniti il documentario ‘Coded Bias’che racconta come gli algoritmi di machine learning possono essere razzisti
Il documentario racconta la storia di Joy Buolamwini, ricercatrice nera dello MIT Media Lab,
che si rende conto
che i software per il riconoscimento facciale sono in grado di rilevare
il suo volto solo se indossa una maschera bianca. Questo accade perché
la gran parte di essi viene allenata su archivi di immagini
che sono per la maggioranza volti di uomini bianchi. Nel seguire
il viaggio di Buolamwini dalle prime ricerche fino all'audizione
davanti al Congresso sulle tecnologie per il riconoscimento facciale,
Shalini Kantayya, la regista, lega insieme una serie di storie
locali e internazionali che mostrano come i sistemi di machine learning
utilizzati nei campi più diversi, dalla selezione del personale alla
giustizia e la prevenzione del crimine, siano capaci di perpetuare,
amplificandole,
le ingiustizie già presenti nella nostra società
[The New York Times]
5 In Europa tre cittadini su quattro sono esposti a livelli di inquinamento dell'aria sopra i limiti
di sicurezza
Il rapporto annuale dell'agenzia europea per l'ambiente sulla qualità dell'aria, pubblicato lunedì,
mostra che nell'ultimo decennio le cose sono nettamente migliorate: tra il 2009 e il 2018
il numero di morti annuali collegate all'esposizione al particolato fine, il più pericoloso per la salute,
è diminuito di 60 000 unità nel totale dei 28 stati membri dell'Unione, passando da 477 000 del 2009 a 417 000 del 2018.
Questa buona notizia non deve però distrarre dall'altro dato denunciato
dal rapporto: la concentrazione del particolato fine nell'aria respirata dal 77% dei cittadini europei è superiore
ai limiti di sicurezza fissati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità
[Le Monde]
6 Aggiornamenti COVID-19
× Lunedì sono stati pubblicati i primi risultati di efficacia
per il vaccino sviluppato da AstraZeneca insieme all'Università di Oxford. Apparentemente
l'efficacia maggiore, circa il 90%, è stata registrata tra i soggetti che hanno ricevuto mezza dose alla prima iniezione
e un'intera dose solo al richiamo. Ma il gruppo su cui è stata calcolata è troppo piccolo e non include
persone sopra i 55 anni. Gli scienziati e gli investitori sono perplessi e la compagnia probabilmente
ripeterà lo studio, senza però ritardare la richiesta di autorizzazione alle agenzie del farmaco
[The Guardian]
× Come funziona la sperimentazione di un vaccino?
Come si verifica la sua sicurezza? Un'intervista ad alcuni partecipanti e una
riflessione sui meccanismi di compensazione per i danni da vaccino e su come
questi influiscono sul loro prezzo
[Five Thirty Eight]
× L'Organizzazione Mondiale della Sanità sconsiglia l'uso di remdesivir per COVID-19
[The British Medical Journal]
× Tre nuovi studi rinforzano l'ipotesi che la mutazione nota con il nome di 614G,
rilevata per la prima volta all'inizio di gennaio nella Cina orientale, potrebbe aver reso il virus più
capace di infettare gli esseri umani e la pandemia più difficile da contrastare
[The New York Times]
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CHI DOVREBBE AVERE PRIORITÀ PER IL VACCINO?
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Lunedì sono stati resi
pubblici
i primi dati di efficacia del vaccino sviluppato dalla società AstraZeneca in
collaborazione con l'Università di Oxford,
il terzo ad aver completato il suo studio di fase 3.
I primi due sono quelli prodotti da Pfizer con BioNTech e da Moderna,
che hanno dichiarato nelle scorse settimane un'efficacia del 95% nell'evitare infezioni sintomatiche da SARS-CoV-2.
Pfizer e BioNTech hanno inviato all'FDA la documentazione
per l'approvazione in condizioni di emergenza
il
20 novembre scorso.
Secondo le informazioni rese pubbliche finora, l'efficacia del vaccino di AstraZeneca e Oxford è del 70%
in media, ma tra coloro che hanno ricevuto, sembra per errore, nella prima somministrazione
mezza dose e solo nella seconda un'intera dose, l'efficacia sembra
salire al 90%. Questi risultati hanno suscitato perplessità tra gli scienziati e gli investitori.
Pare infatti che il gruppo in cui è stata misurata un'efficacia del 90% sia molto ristretto, circa 3 000 soggetti, e non contenga persone sopra i 55 anni.
Ieri la società farmaceutica ha annunciato che ripeterà lo studio di fase 3
con il dosaggio apparentemente più efficace (mezza dose nella prima somministrazione e un'intera dose nella seconda)
su un campione più grande e più rappresentativo, ma che questo non ritarderà il processo di
approvazione da parte delle autorità farmaceutiche.
Ma l'incognita del dosaggio migliore per il vaccino di AstraZeneca e Oxford è solo
una delle tante a cui ci troviamo difronte in questo momento. Per nessuno di questi tre vaccini sappiamo infatti
come varia con l'età il grado di protezione conferita - per il vaccino antinfluenzale si osserva una perdita di efficacia sopra 60 anni.
Né sappiamo se ci proteggeranno anche dall'infezione, impedendoci di trasmettere
il virus oltre a limitare l'insorgenza della malattia. Non sappiamo neanche
quanto durerà l'immunità conferita, così come del resto non sappiamo
quanto tempo sono immuni le persone che si sono infettate e sono
poi guarite.
Insomma, abbiamo poche certezze. Ma siamo certi del fatto che
i vaccini (questi primi tre come gli altri in fasi più iniziali di sperimentazione) sono la nostra migliore chance per
sopprimere questa pandemia che da ormai nove mesi ci costringere
a rispettare regole rigide di distanziamento e igiene, che sta
sfibrando i nostri operatori sanitari, e che a oggi ha causato la
morte di quasi 1 425 000 persone, più di 52 mila solo in Italia.
È importante quindi non sprecare questa chance.
Sappiamo che all'inizio la disponibilità delle dosi di vaccino sarà
limitata. In Italia, ad esempio, se il vaccino di Pfizer e BioNTech
venisse approvato, a gennaio arriverebbero 3,5 milioni di dosi,
sufficienti a vaccinare 1,7 milioni di persone (ciascuna con una prima
iniezione e poi un richiamo a distanza di alcune settimane).
La domanda è quindi chi vaccineremo per primo? Per rispondere,
diversi gruppi di ricercatori nel mondo si sono imbarcati in un'impresa
ardua: simulare lo sviluppo delle campagne vaccinali durante
l'evolversi dell'epidemia da COVID-19 e capire qual è la
strategia più efficace per ridurre il numero di decessi o di nuove infezioni.
In ciò che segue ragioneremo sulla minimizzazione del numero di decessi.
Nelle campagne vaccinali ci sono due strategie che concorrono
a minimizzare il numero di decessi, una diretta che prevede
di vaccinare prima i gruppi con il più alto tasso di mortalità dovuto alla malattia,
e l'altra indiretta in cui invece si immunizzano prima le fasce della popolazione
maggiormente responsabili per la trasmissione dell'infezione.
Uno studio, pubblicato nel 2009 sulla rivista Science,
ha mostrato, ad esempio, che durante una pandemia influenzale
in cui si ha accesso a una quantità sufficientemente elevata
di dosi di vaccino,
vaccinare prima i bambini tra i 5 e i 19 anni e gli adulti tra i 30 e i 39 anni
è la strategia più efficace per minimizzare il numero di morti. Se
si è a corto di vaccini è meglio dare priorità agli anziani.
Nel caso del COVID-19 sappiamo che il tasso di mortalità per
le persone con più di 60 anni è notevolmente più alto
rispetto alle persone più giovani, e che il gruppo
maggiormente responsabile per la trasmissione è quello dei giovani adulti,
sia perché hanno un maggior numero di contatti sociali
sia perché sviluppano raramente forme gravi della malattia.
Quasi tutti gli studi sulle strategie di somministrazione
dei vaccini anti-COVID concordano che è ottimale dare priorità alle
fasce più anziane della popolazione, vaccinando poi
le persone più giovani man mano che aumenteranno le dosi disponibili.
Questo risultato è sostanzialmente indipendente dall'efficacia
del vaccino e dal tipo di immunità che questo conferisce (solo alla malattia
o anche all'infezione e dunque alla contagiosità, come accennavamo all'inizio).
La strategia di vaccinare i più anziani per primi sembra essere
la migliore in popolazioni con profili demografici molto diversi.
Uno studio,
pubblicato su medRΧiv all'inizio di settembre da un
gruppo di ricercatori della University of Colorado Boulder e della Harvard
T. Chan School of Public Health, ad esempio, ha mostrato che
vaccinare prima gli anziani è ottimale in Belgio, negli Stati Uniti,
in India, in Spagna, nello Zimbabwe e in Brasile.
Per ottenere questo risultato gli studiosi hanno simulato
l'evoluzione del contagio servendosi di un modello matematico
chiamato SEIR. Si tratta di un sistema di equazioni
che descrive la dinamica
congiunta di quattro popolazioni: quella dei suscettibili (S), quella
degli esposti (E, coloro che sono infetti ma non ancora contagiosi),
quella degli infetti (I) e quella dei guariti (R). Ciascuna di queste popolazioni
è stratificata per età e ha una diversa probabilità di infettarsi, di
sviluppare la malattia e di morire. Come sappiamo, ognuno di questi parametri è affetto
da grande incertezza per quel che riguarda COVID-19,
anche se col tempo stiamo acquisendo un numero di dati sempre maggiore
e migliorando le nostre conoscenze.
Ad esempio per quel che riguarda il tasso di mortalità tra gli infetti,
un lavoro
recentemente pubblicato su Nature, ha fatto dei passi avanti mettendo insieme
i dati di sieroprevalenza e quelli sui decessi, piuttosto che affidarsi alle
stime sul numero dei contagi avvenuti durante la prima ondata che, come sappiamo,
è stato fortemente sottostimato. La variazione con l'età della suscettibilità,
ovvero la propensione a infettarsi se si entra in contatto col virus,
è stata analizzata, tra gli altri, da quest'altro studio
pubblicato a giugno su Nature Medicine, che ha stimato che la suscettibilità delle persone sotto i 20 anni
è circa la metà di quella sopra i 20 anni.
Oltre a rappresentare le caratteristiche di ciascuna fascia di età
rispetto alla malattia, c'è bisogno di simulare anche i suoi comportamenti
sociali, visto che per modellizzare la dinamica del contagio è cruciale
sapere con quante e quali persone ciascun individuo entrerà in contatto.
Tanta complessità è frequentemente sintetizzata in questo tipo di modelli
da una matrice, risultato di un poderoso studio del 2008 pubblicato su
PLOS Medicine
e di un suo aggiornamento del 2017
che tiene conto delle variazioni dei comportamenti
sociali e delle caratteristiche demografiche da paese a paese.
A questa struttura si aggiunge l'effetto del vaccino che può essere
più o meno efficace, può variare la sua azione a seconda dell'età
e può proteggere dalla malattia o dall'infezione. E infine la presenza
o meno di misure di distanziamento sociale e di igiene che sono
ancora imposte in diversi paesi del mondo per tenere sotto controllo
il contagio.
Nello studio della University of Colorado Boulder, si considera il caso
in cui la vaccinazione avviene prima che il virus cominci a circolare nella
popolazione assumendo che non siano applicate misure di distanziamento sociale
e dunque l'indice di riproduzione del virus, Rt, sia costantemente pari al suo
valore nudo R0=2,6. In questo scenario ipotetico
i ricercatori trovano che dare priorità alle persone sopra i 60 anni è sempre la strategia
vincente se si intende ridurre al massimo i decessi, tranne nel caso di un vaccino
capace di bloccare sia la malattia che l'infezione ma con un'efficacia
notevolmente più bassa sopra gli 80 anni e con un numero di dosi
disponibili sufficienti a coprire il 25% della popolazione.
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Sinistra: le diverse strategie testate dai ricercatori della University of Colorado, Boulder.
A destra: il numero di morti evitate dando priorità a ciascuna delle cinque strategie con un vaccino
efficace al 100% (B), al 75% (C) e al 50% (D).
Fonte: Bubar et al., medRΧiv.
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Un risultato leggermente diverso è
quello che ottengono i ricercatori
del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, che limitano la loro
analisi alla popolazione dello stato di Washington. Nello scenario ipotetico in cui
all'inizio della campagna vaccinale il 20% della popolazione è già stato infettato
e non sono attive misure di distanziamento sociale,
trovano che nel caso di un vaccino con efficacia superiore al 60% e
se il numero di dosi disponibili è sufficiente a coprire il 60% della popolazione,
allora è preferibile cominciare a vaccinare prima le persone tra 0 e 50 anni
e poi passare ai più anziani. C'è un altro risultato interessante del loro
lavoro che vale la pena sottolineare. In una situazione in cui nessuna misura
di distanziamento sociale viene osservata, è necessario vaccinare il 70%
della popolazione con un vaccino efficace al 60% per spegnere l'epidemia.
Per un vaccino efficace al 70% "basta" vaccinare il 50% della popolazione.
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Strategie ottimali di vaccinazioni per fasce di età al variare dell'efficacia del vaccino
e della disponibilità del numero di dosi in rapporto alla popolazione. Nel pannello centrale
(F) e in quello a destra (G) si vede che se sono disponibili dosi sufficienti a coprire
il 60% della popolazione totale è più efficace vaccinare prima le fasce più giovani.
Fonte: Matrajt et al., medRΧiv.
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Anche un gruppo di ricercatori dell'università di Warwick
ha studiato il problema della strategia ottimale di vaccinazione,
concentrandosi sul caso del Regno Unito. Il loro modello,
descritto in
questo articolo, è forse più realistico di quelli che abbiamo visto finora, perché parte dall'ipotesi che la vaccinazione inizierà
con la trasmissione del virus ancora in corso e non assume un
livello di sieropositività elevato come nel caso dello studio del Fred Hutchinson Cancer Research Center. L'evoluzione del contagio viene infatti simulata fino alla
fine del 2020 per stimare quale sarà la più credibile distribuzione della popolazione
tra i quattro gruppi del modello SEIR sulla base dei dati su infezioni e decessi
relativi alla prima ondata. A quel punto parte la vaccinazione
con l'ipotesi che siano ancora rispettate delle misure di distanziamento sociale,
che vengono modellizzate scalando al ribasso il numero di contatti sociali
delle diverse fasce di età.
I risultati sottolineano l'importanza di continuare a rispettare
il distanziamento sociale durante la campagna vaccinale per
limitare il numero di decessi. Infatti l'unico tipo di vaccino
capace di evitare una terza ondata nel 2021 in assenza di misure
di distanziamento sociale dovrebbe essere in grado non solo di
evitare l'insorgere della malattia, ma anche di bloccare l'infezione
e quindi la capacità di trasmissione con un'efficacia superiore all'80%
e dovrebbe essere somministrato al 70% della popolazione.
Con vaccini che non proteggono dall'infezione ma solo dalla malattia,
un risultato simile si può ottenere solo mantenendo in piedi misure
di distanziamento sociale che contengano l'Rt a 1,8 e solo se l'efficacia
è superiore al 90% e viene vaccinata una frazione consistente della popolazione.
Con livelli di efficacia inferiori, diciamo intorno al 50%, pur vaccinando il 70%
della popolazione il numero di morti della terza ondata sarebbe paragonabile a quello
della prima ondata (ricordiamo che questi lavori sono tutti precedenti alla seconda
ondata che si sta verificando in Europa dal mese di ottobre e dunque non ne tengono conto).
Per quanto riguarda le priorità,
anche questo lavoro trova che nella maggior parte degli scenari considerati
la strategia migliore è quella che vaccina prima gli anziani e le persone
con altre patologie pregresse. Solo per vaccini la cui efficacia varia con l'età
e scende sotto il 20% per chi ha più di 80 anni è conveniente cominciare dalle persone tra 40 e 60 anni.
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Numero di decessi applicando le strategie ottimali per un vaccino che blocca sia l'infezione che la malattia
con diversi livelli di efficacia (ogni linea colorata un livello di efficacia come descritto nella legenda)
e con o senza misure di distanziamento sociale in atto (sinistra e destra rispettivamente).
La linea orizzontale tratteggiata è il numero di morti associato alla prima ondata nel Regno Unito
(circa 50 mila). Si vede che in assenza di misure di distanziamento sociale l'epidemia
si spegne solo con un vaccino efficace al 90% e somministrato al 70% della popolazione in modo ottimale
(prima gli over 80, poi gli over 60, ecc.). Al contrario, mantenendo delle misure di distanziamento
sociale tali da contenere Rt a 1,8 un vaccino efficace all'80% è in grado di spegnere l'epidemia
quando viene somministrato a poco più della metà della popolazione.
Fonte: Moore et al., medRΧiv.
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L'importanza del distanziamento sociale è evidenziata anche in
un
altro lavoro, realizzato da un gruppo di ricercatori di University
of California, Davis e Georgia State University, e pubblicato su medRΧiv
all'inizio di ottobre. In questo caso i ricercatori distinguono,
all'interno di ciascuna classe di età, i lavoratori essenziali da quelli
non essenziali. Le loro attività gli impediscono infatti di rispettare
le regole di distanziamento sociale più rigide imposte, per esempio,
durante i lockdown (si tratta, tra gli altri, degli operatori sanitari, di chi lavora nel settore alimentare, degli
insegnanti). Il modello
prevede che la vaccinazione avvenga nell'arco di sei mesi e che ogni
mese venga vaccinato il 10% della popolazione. Per minimizzare il numero di
decessi la strategia ottimale prevede di vaccinare prima i lavoratori
essenziali tra 40 e 59 anni, poi le persone sopra i 75 anni,
successivamente chi ha tra i 60 e i 74 anni e solo alla fine i lavoratori essenziali
tra i 20 e i 39 anni. "Questi gruppi", commentano gli autori, "sono un misto
tra i gruppi ad alta mortalità e quelli ad alta capacità di trasmissione".
Questo approccio permetterebbe di evitare tra le 7 000 e le 37 000 morti
in più rispetto al caso in cui il vaccino
venisse somministrato al 10% della popolazione ogni mese indipendentemente
dall'età e dal tipo di lavoro che svolge.
Gli studi che abbiamo passato in rassegna finora hanno tutti un punto
di vista nazionale. Ma cosa succede se si considera il problema della
vaccinazione a livello globale? Questa domanda è al centro del
Report 33
redatto dall'Imperial College COVID-19 response team.
In questo lavoro i ricercatori considerano l'effetto che le vaccinazioni
avrebbero in quattro tipi di paesi: ad alto reddito, a reddito medio-alto,
a reddito medio-basso e a basso reddito. Ciascuno di questi ha
caratteristiche demografiche diverse, strutture sociali diverse e
un livello diverso di accesso alle cure sanitarie. Tenendo in considerazione
tutti questi fattori e assumendo che il vaccino sia capace di bloccare l'infezione
con un'efficacia del 70%, il team dell'Imperial College raggiunge due conclusioni.
La prima: anche se le popolazioni dei paesi più ricchi hanno età media più alta
e dunque popolazioni a rischio elevato più numerose
rispetto ai paesi più poveri, la ridotta disponibilità di cure sanitarie di alto livello
nei paesi più poveri fa sì che l'allocazione di vaccini che salva il maggior numero
di vite è quella che distribuisce le dosi in proporzione alla grandezza delle popolazioni.
La seconda conclusione: in paesi a reddito alto e medio-alto se sono disponibili vaccinazioni per una percentuale tra il 20%
e il 40%
della popolazione totale, è più efficace vaccinare prima
il gruppo dai 5 ai 25 anni e dai 40 ai 60 anni, privilegiando quindi la strategia
di protezione indiretta dei gruppi più fragili rappresentati dagli anziani.
In paesi a reddito medio-basso e per una disponibilità di dosi tra il 20% e il 40%
della popolazione, la strategia ottimale prevede di vaccinare una parte dei giovani
fino a 25 anni e una parte degli over 50. Questo probabilmente è dovuto alla struttura
delle società dei paesi a reddito medio-basso che prevede un maggior mescolamento
tra gruppi di età diverse che si trovano anche a vivere nella stessa casa.
Studiando questi lavori si capisce che sono quattro le variabili
importanti per valutare l'efficacia delle vaccinazioni nel limitare i morti.
Che tipo di vaccino avremo: sarà efficace solo nel bloccare la malattia
o ci proteggerà anche dall'infezione e dunque ci impedirà di trasmettere
il virus?
Quale sarà il numero di riproduzione dell'epidemia quando saranno somministrati i vaccini?
Se osserveremo ancora il distanziamento sociale sarà sufficiente vaccinare
meno persone con vaccini anche meno efficaci per spegnere l'epidemia.
Questi due punti sono fondamentali e vengono sintetizzati chiaramente
da questi grafici tratti dallo studio dell'Imperial College.
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Sinistra: A che livello di copertura vaccinale si raggiunge l'immunità di popolazione
per differenti valori di efficacia del vaccino? La curva blu mostra questa dipendenza
in assenza di misure di distanziamento sociale, quella rossa con qualche limitata
misura di distanziamento ancora valida. Destra: le linee continue mostrano la crescita
del numero di morti evitate all'aumentare dell'efficacia di un vaccino che blocca l'infezione oltre che
la malattia. Quelle tratteggiate mostrano lo stesso andamento nel caso di un vaccino
che blocca solo la malattia.
Fonte: Imperial College.
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Gli altri due fattori importanti saranno la variazione di efficacia con l'età e la quantità di dosi disponibili.
Ma i modelli matematici, per quanto si sforzino di raccogliere il maggior numero
di tratti di realtà, sono sempre insufficienti quando si considerano problemi
come l'equità, la giustizia sociale e più in generale l'etica.
Il SAGE Working Group on COVID-19 vaccines dell'Organizzazione Mondiale della Sanità
ha pubblicato a metà settembre
questo documento
in cui traccia il quadro di valori di riferimento per la distribuzione dei vaccini
contro COVID-19. L'allocazione dei vaccini deve tenere conto dei principi di equità
a livello globale, assicurando che anche i paesi a basso e medio reddito vi abbiano accesso,
ma anche a livello nazionale, tenendo in considerazione le comunità che per
fattori sociali, medici e geografici subiscono maggiormente i danni della pandemia.
Un esempio, in questo senso, è la comunità afro americana degli Stati Uniti che
ha subito perdite incredibilmente maggiori rispetto a quella bianca soprattutto
a causa di un accesso limitato alle cure mediche. Il gruppo di esperti
richiama anche l'importanza del principio di reciprocità che prevede di
proteggere maggiormente coloro che per garantire il benessere degli altri
sono più esposti al rischio di ammalarsi, come medici, infermieri e lavoratori essenziali.
L'ultimo dei valori elencati è la legittimità, ovvero l'importanza di
assicurare la massima trasparenza del processo di distribuzione dei vaccini,
coinvolgendo tutti i paesi e tutti i maggiori portatori di interesse, oltre che
garantire che il pubblico possa valutare l'operato dei decisori. Questo sarà
fondamentale per conquistare la fiducia dei cittadini, senza la quale nessuna
strategia vaccinale può avere successo.
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