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21 marzo 2018
a cura di Chiara Sabelli
Bifacciale risalente al periodo Acheuleano, 500 mila - 300 mila anni fa, ritrovato a Cintegabelle, nella Alta Garonna, una regione della Francia al confine con i Pirenei. Attualmente esposto al Muséum d'Histoire Naturelle de la ville de Toulouse. Credit: Didier Descouens / Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0.
Tre articoli pubblicati sull'ultimo numero di Science documentano la scoperta di una nuova datazione nella transizione tecnologica dall'acheuleano a punte e lame più piccole e più precise, ottenute da ossidiana e pietre silicee. Questi nuovi strumenti risalirebbero a 320 mila anni fa, quando la nostra specie homo sapiens fece la sua apparizione sulla Terra. Un gruppo di paleoantropologi del museo di storia naturale dello Smithsonian Institution e della George Washington University hanno ottenuto questi risultati analizzando i resti ritrovati nei siti di Olorgesailie in Kenya. A rendere ancora più interessante questa scoperta è la correlazione che i ricercatori hanno trovato con i cambiamenti climatici in atto in quel periodo, che suggeriscono che l'innovazione sia stata guidata dalle trasformazioni dell'ambiente circostante. Nell'immagine un bifacciale risalente a 500 mila - 300 mila anni fa, ritrovato a Cintegabelle, nella Alta Garonna francese. Attualmente esposto al Muséum d'Histoire Naturelle de la ville de Toulouse. Credit: Didier Descouens / Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0.
IL CASO CAMBRIDGE ANALYTICA TRAVOLGE FACEBOOK
La società di consulenza Cambridge Analytica, specializzata nello sviluppo di campagne informative di microtargeting per influenzare i risultati elettorali, ha utilizzato i dati Facebook di decine di milioni di elettori americani ottenuti illegalmente nel 2014 per progettare l'algoritmo alla base del suo business. A rivelarlo al New York Times e all'Observer è Christopher Wylie, data scientist canadese ed ex dipendente della società statunitense, in una serie di articoli pubblicati tra sabato e domenica scorsa. Le sue dichiarazioni contraddicono le posizioni ufficiali che Facebook e Cambridge Analytica hanno assunto finora durante le due inchieste in corso nel Regno Unito, su Brexit, e negli Stati Uniti, sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. [The Observer / The Guardian; Carole Cadwalladr]

I dati sarebbero stati ottenuti "per motivi accademici" da Aleksandr Kogan, ricercatore all'università di Cambridge. Tramite la società Global Science Research, Kogan ha reclutato su Amazon Mechanical Turk e Qualtrics elettori americani disposti a eseguire un test della personalità in cambio di un compenso. L'adesione all'esperimento garantiva a Kogan l'accesso ai dati Facebook di coloro che sostenevano il test e dei loro amici, senza che questi ne fossero consapevoli. In questo modo Kogan ha raccolto, in pochi mesi, i dati relativi a decine di milioni di persone che poi ha venduto a Cambridge Analytica per 1 milione di dollari. L'operazione è stata possibile perché Kogan dichiarava di essere interessato ai dati per motivi di ricerca scientifica. Ma la vendita di questi dati a una società terza violerebbe sia i termini di servizio di Facebook che la legge britannica sulla protezione dei dati personali. [The Observer / The Guardian; Carole Cadwalladr e Emma Graham-Harrison]

Ma come ha fatto Cambridge Analytica a sfruttare i dati raccolti da Kogan per influenzare le preferenze degli elettori americani alle presidenziali del 2016? Molto probabilmente ha replicato un modello sviluppato tra il 2012 e il 2015 da altri due ricercatori dell'università di Cambridge, Michal Kosinski and David Stillwell. Il modello in questione è in grado di prevedere il profilo psicologico di un soggetto a partire dalle tracce digitali che questo lascia su Facebook: quali e quante foto profilo condivide, quali sono i post a cui reagisce con un 'Like', quanti sono i suoi amici, dove vive, quanti anni ha. Per mettere a punto il modello, dettagliato in due articoli pubblicati sulla rivista PNAS, Kosinski e Stillwell svilupparono un test della personalità da sostenere online. Al termine del test l'utente poteva scegliere se dare ai ricercatori l'accesso al proprio profilo Facebook. Non si aspettavano di raccogliere in pochi mesi i dati di milioni di persone provenienti da 45 Paesi diversi. Ma il vasto database gli permise di raffinare il loro algoritmo. Cambridge Analytica, con l'aiuto di Kogan, ha probabilmente riprodotto questo algoritmo sui dati dei 50 milioni di elettori americani e li ha poi utilizzati per progettare contenuti digitali personalizzati in grado di influenzarne le preferenze elettorali. [University of Cambridge; Communicatioins Office]

IL PRIMO PEDONE VITTIMA DI UN'AUTO A GUIDA AUTONOMA
Elaine Herzberg, 49 anni, è il primo pedone vittima di un'auto a guida autonoma. L'incidente è avvenuto alle 10 di domenica 18 marzo a Tempe in Arizona. Nell'auto, di proprietà di Uber, era presente un guidatore in grado di subentrare al sistema artificiale in caso di pericolo, ma non è stato sufficiente. Nel 2015 lo Stato dell'Arizona aveva emanato un ordine esecutivo per diventare una sorta di regulation-free zone, con la speranza di attirare le grandi società del settore, come Uber e Waymo, che nella vicina California rispondevano a requisiti molto più stringenti. All'inizio di questo mese l'ordine era stato approvato per concedere i test anche senza guidatore di sicurezza. Restano da accertare le responsabilità nell'incidente di domenica sera, ma nel frattempo Uber ha sospeso tutti i test simili in corso a Pittsburgh, San Francisco e Toronto. [The New York Times; Daisuke Wakabayashi]

Prima di farsi vincere dalla paura occorre però ricordare che nel 2016 sulle strade americane sono morti quasi 6 mila pedoni, circa 16 ogni giorno. Si tratta di uno dei bilanci più duri tra i Paesi ricchi e fa parte di un trend negativo che ha visto il numero di vittime della strada aumentare dell'8% dal 2015 al 2016. Parte della responsabilità sarebbe la scarsa attenzione verso regole elementari, come indossare la cintura di sicurezza in macchina o il casco in moto. [Vox; Julia Belluz]

La legislazione americana tratta separatamente i veicoli e gli autisti. Per permettere a un veicolo di circolare richiede certe caratteristiche tecniche (airbag, freni, ecc.), mentre per permettere a una persona di guidare le chiede di passare un esame. Secondo Srikanth Saripalli, ingegnere alla Texas A&M University, dovrebbe succedere qualcosa di simile prima di permettere alle auto a guida autonoma di circolare sulle strade senza un guidatore di sicurezza pronto a intervenire. Invece degli esseri umani dovrebbero essere testati gli algoritmi che governano le self driving car. C'è da dire che è difficile sapere a priori come questi algoritmi si comporteranno sulla strada, un po' come succede con i farmaci: spesso non se conoscono i meccanismi di funzionamento. E allora i test degli algoritmi potrebbero ispirarsi ai processi di approvazione dei medicinali, in cui i ricercatori devono dimostrare che una terapia ha gli effetti previsti e limitati effetti collaterali su una popolazione di pazienti sufficientemente grande e rappresentativa. Analogamente un algoritmo di guida dovrebbe essere messo alla prova in una serie di situazioni che possono verificarsi sulla strada. [The Conversation UK; Srikanth Saripalli]

RICERCA E SOCIETÀ
La crisi di riproducibilità della scienza è ben nota, soprattutto in campo biologico e medico. John Ioannidis, in un articolo pubblicato nel 2006, affermava semplicemente che "la maggior parte dei risultati di ricerca è falso". Cosa fare? Un suggerimento arriva da un recente rapporto pubblicato dalla Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, che identifica alcune pratiche fondamentali. Da una parte aumentare l’accuratezza metodologica e la dimensione dei campioni presi in esame e condividere procedure e dati nel modo più aperto e dettagliato possibile. Inoltre incentivare economicamente e con riconoscimenti di carriera la "cultura della riproducibilità", piuttosto che premiare solamente l'"innovatività degli studi". [Scienza in rete; Luca Carra e Cristina Da Rold]

«Non appena arrivai nel suo istituto egli (Dennis Sciama, uno dei massimi fisici britannici della seconda metà del novecento, allievo di Paul Dirac, ndr) mi scelse per lavorare sulla freccia del tempo: perché il passato è così differente dal futuro? Perché noi ricordiamo il passato e non il futuro?». Riesce a tamburellare con incredibile perizia sulla tastiera con quella scarsa mobilità che ha ormai l'unica mano ancora reattiva. E dopo qualche minuto il computer trasmette il suo pensiero. Era il gennaio del 1992 quando Pietro Greco raccoglieva le parole di Stephen Hawking volato a Trieste per una conferenza. Vi riproponiamo questa intervista in occasione della scomparsa del grande scienziato, avvenuta il 14 marzo scorso. [Scienza in rete; Pietro Greco]


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