Essere un ornitorinco

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“Essere un ornitorinco” parla di aspettative e pregiudizi su un animale che appare ai nostri occhi un mosaico, un “collage” di caratteristiche tipiche dei rettili, dei mammiferi e degli uccelli. L’omologia del becco con quello degli uccelli, come vedremo, non è in realtà confermata: il becco dell’ornitorinco non è un “atavismo”, cioè la ricomparsa di un carattere degli uccelli; non una omologia bensì una analogia, di cui Gould si occupa alla fine del saggio.

L’ornitorinco era così strano da far sospettare, al suo primo ritrovamento da parte di scienziati occidentali (1799), ad una frode da parte di fantomatici “imbalsamatori cinesi” (ORN91, p. 33). Quali sono i pregiudizi, le false attese che vengono proiettati su questo essere dalla natura di “collage”? Gould ne individua due, uno tipico della visione predarwiniana, e un altro di quella evoluzionista.

Pregiudizi predarwiniani

Iniziamo dalla fase predarwiniana. Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, l’ornitorinco fu studiato dagli anatomisti europei e americani. Le tessere di quel mosaico cominiciavano ad accumularsi, e sembravano proprio provenire da classi differenti del sistema di classificazione linneano. Mancavano tuttavia alcuni tasselli. Ad esempio, per molti anni non furono trovate ghiandole mammarie; nemmeno le uova erano state trovate in natura, e gli esemplari morti non consentivano di trarre conclusioni su di esse. È qui infatti che Gould descrive un vero e proprio campo di battaglia tra scienziati: la fazione della viviparità, rappresentata dal tedesco Meckel e dal francese Blainville; quella della oviparità che comprendeva Lamarck e Geoffroy Saint-Hilaire; quella della ovoviviparità comprendente gli inglesi Everard Home e Richard Owen, per i quali le uova si dissolvevano nel corpo della femmina (ORN 91, p. 35). Le armi delle fazioni erano predizioni e dati che confermassero la propria ipotesi di fondo. Nel 1824 Meckel scoprì le ghiandole mammarie, punto a favore della sua ipotesi della viviparità. Ma esse erano sproporzionatamente grandi. La battaglia intellettuale infuriava:

Geoffroy, impegnato a sostenere l’oviparità e riluttante ad ammettere qualcosa di simile a cure parentali mammaliane, contrattaccò. Le ghiandole di Meckel, sostenne, non erano organi mammaliani, ma omologhi delle ghiandole odorifere dei toporagni, che secernono sostanze per attrarre partner sessuali. Quando poi Meckel estrasse una sostanza lattea dalla ghiandola mammaria, Geoffroy ammise che la secrezione doveva essere una sorta di cibo, ma non latte. Le ghiandole, sostenne Geoffroy, non sono ghiandole mammarie, ma sono un carattere speciale dei monotremi, e vengono usate per secernere sottili filamenti di muco che si coagulano nell’acqua per fornire cibo ai piccoli usciti dalle uova non ancora scoperte. Owen allora contrattaccò a sostegno di Meckel [prove dal ciclo di vita, dalla comparazione con l’echidna, e da un esperimento in sospensione]. Geoffroy tenne duro, sia in rapporto all’oviparità (punto su cui aveva ragione) sia in relazione allo status speciale delle ghiandole della nutrizione (su cui aveva torto, giacché si tratta effettivamente di ghiandole mammarie) (Ivi, 35-36).

Nel 1884 fu William Hay Caldwell, neolaureato di Cambridge poi caduto nell’oblio scientifico, a trovare per primo le uova dell’ornitorinco. Egli inviò il celebre telegramma “Monotremes oviparous, ovum meroblatic” a Montreal, per una pubblica lettura al Convegno Annuale della British Association. Ebbene? Dove va collocato l’ornitorinco?

Caldwell – nota Gould – risolse un mistero specifico che aveva afflitto la zoologia per quasi un secolo [riempie il vuoto di conoscenza, aggiunge la tessera mancante al mosaico], ma non fece altro che rendere più acuto il problema generale. Egli aveva dimostrato in modo inconfutabile che l’ornitorinco è un miscuglio, e che non può essere incluso in modo chiaro in nessuno dei due gruppi principali dei vertebrati (Ivi, p. 37).

Qual è dunque l’aspettativa che ingabbia l’ornitorinco, condivisa da tutti i partecipanti alla battaglia intellettuale che si concentra su organi e modalità riproduttive, e anzi motivo profondo della battaglia stessa? Fa notare Gould:

La natura aveva bisogno di categorie chiare e stabilite dalla divina sapienza. Un animale non poteva deporre uova e nutrire i suoi piccoli con latte prodotto da ghiandole mammarie. Perciò Geoffory insistette sulle uova negando la produzione di latte, e Meckel insistette sul latte e sulla viviparità (Ivi, p. 37, corsivo mio).

Che cos’è la tassonomia? In un mondo predarwiniano, solitamente si dice, la tassonomia ha lo scopo di individuare la gerarchia ordinata dei “tipi naturali”, l’ordine degli esseri viventi che non ammette eccezioni, intermedi, anomalie. Certo, questa descrizione può essere essa stessa uno stereotipo che imponiamo sugli intellettuali predarwiniani, anche perché non mancano eccezioni e consapevolezze epistemologiche più simili alle nostre. Geoffroy stesso, ad esempio, come sottolinea Gould (ORN91, p. 36), esprime una visione della tassonomia come guida all’azione, nella quale, ad esempio, evitare di collocare l’ornitorinco in una o nell’altra classe esistente “suggerisce la necessità di un ulteriore esame” invece che invitare “l’indolente a credere e adagiarsi”. Tuttavia, sembra a Gould e anche a me, l’idea è che l’ornitorinco lì non debba restare, che alla fine esso debba trovare una collocazione. Unica alternativa: una rivoluzione nell’intera mappa dell’ordine naturale.


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Pregiudizi darwiniani

La seconda parte del saggio di Gould è dedicata a un altro onere per il povero ornitorinco:

…questa volta imposto dall’evoluzione: l’idea stessa che aveva appena liberato questa povera creatura dalla sua classificazione forzata in categorie rigide. L’ornitorinco, in breve, dovette addossarsi (col suo osso dell’interclavicola) il peso della primitività. Esso era senza dubbio un mammifero, ma un’ameba fra gli dèi; un piccolo essere meschino, spregevole, segnato col marchio rettiliano di Caino (ORN 91, pp. 37-38).

La teoria dell’evoluzione di Darwin avrebbe insomma liberato l’ornitorinco dalle aspettative che lo ingabbiavano in un vero e proprio campo di battaglia tra scienziati, soltanto per farlo ricadere in aspettative nuove che Gould si occupa qui di evidenziare e confutare. Perché l’evoluzione aveva liberato l’ornitorinco dalla necessità di appartenere a una delle “grandi classi”? Per il principio della ramificazione e della diversificazione, dove i gruppi sono fasci di discendenze comuni, sono sempre possibili deviazioni, rami collaterali, e i tratti possono essere portati avanti in maniera diseguale nei vari rami: ecco perché “l’evoluzione aveva reso accettabile, se non interessante in senso positivo, l’idea dell’esistenza di forme intermedie (e di miscugli di caratteri)” (Ivi, p. 37). Gould però nota che i biologi evoluzionisti usano ora parlare dell’ornitorinco come se fosse una versione di mammifero mal sviluppata, effetto collaterale della cornice evoluzionistica per lo status del povero ornitorinco. Come mai? Si tratta dell’idea profonda dell’anello mancante, della forma di transizione intesa come punto di passaggio imperfetto verso un miglioramento assoluto. Effettivamente, anche nell’iconografia in Fig. 4 (in basso a destra) si nota una sua collocazione non solo “basale” ma anche “più in basso”. Eppure questo diagramma sulla posizione filogenetica dell’ornitorinco è tratto da un video realizzato da Nature nel 2008 quando il dibattito sull’ornitorinco si è riacceso dopo il sequenziamento del suo genoma. Ciò che Gould promuove è

…la sostituzione della tesi di una primitività limitante con una visione dell’ornitorinco concepito come un animale che si adatta attivamente per proprio conto ( ORN91, p. 39).

L’ornitorinco è un organismo ben adattato, con caratteri che erano tipici di specie contemporanee ai suoi antenati, e altri che sono “invenzioni particolari” esclusive dei suoi progenitori:

I caratteri premammaliani degli ornitorinchi identificano solo l’antichità della loro linea evolutiva come ramo separato rispetto all’albero mammaliano. Semmai, questa stessa antichità potrebbe aver dato all’ornitorinco più agio (ossia, più tempo) per diventare ciò che realmente è, in opposizione al mito della sua primitività: un animale superbamente costruito per un modo di vita particolare, e insolito. L’ornitorinco è una soluzione elegante per la vita dei mammiferi nei fiumi, e non un relitto primitivo di un mondo scomparso. Antico non significa inferiore in un mondo darwiniano (Ivi, p. 39).

Il giusto approccio è dunque quello di distinguere adattamenti condivisi con tutti i mammiferi e invenzioni particolari. A una di queste Gould dedica la parte conclusiva del saggio: il becco, per nulla omologo al becco degli uccelli, e organo olfattivo estremamente funzionale in acqua (dove l’ornitorinco chiude occhi, orecchie e narici) sensibilissimo ed estremamente complesso, correlato a estesissime aree nella corteccia cerebrale come avevano dimostrato ricerche negli anni ’70 e ’80. Possiamo immaginare cosa si prova a essere un ornitorinco? Ecco, in evidenza, la fonte di ispirazione del titolo di questo saggio: “Che effetto fa essere un pipistrello?” (Nagel 1974), uno degli articoli più famosi del filosofo Thomas Nagel.

Twinkle, twinkle, little bat, How I wonder what you’re at, Up above the world you fly, Like a tea-­‐tray in the sky. 

 

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Quarto a pari merito: omaggio di un biologo alla neotenia

“Omaggio di un biologo a Topolino”, scritto da Gould in occasione di un anniversario Disney, è dedicato alla trasformazione di questo personaggio nel corso degli anni (Fig. 5).

 

Aspetto fondamentale di questa storia è la sua descrizione in termini di infantilizzazione: Topolino in questo processo ringiovanisce, e in ciò Gould vede un chiaro parallelo con la biologia:

La progressiva infantilizzazione è un fenomeno noto come neotenia (p. 90).

Quella di Topolino è una infantilizzazione che ripercorre a ritroso lo sviluppo della nostra specieHomo sapiens:

Per dargli le gambe corte e paffute dei bambini, essi gli allungarono e allargarono i pantaloni. (Anche le braccia in seguito si ingrossarono ed acquistarono delle giunture che ne accentuavano l’aspetto grassoccio.) Le dimensioni della testa aumentarono e il volto assunse un aspetto più giovanile. La linghezza del muso di Topolino non è mai stata modificata, ma esso è stato ingrossato e così appare meno sporgente. Gli occhi di Topolino crebbero in due modi: innanziautto l’occhio del primo Topolino divenne, attraverso una trasformazione evolutiva discontinua, una pupilla, in seguito l’intero occhio assunse dimensioni maggiori. Le trasformazioni subite dalla testa sono particolarmente interessanti perché non dovevano alterare l’immagine convenzionale di Topolino [...]. La testa rotonda non poteva, quindi, essere trasformata per dare l’idea del caratteristico cranio sporgente dell’infanzia. Le orecchie furono così spostate indietro, aumentando la distanza tra naso e orecchie, e dando rotondità alla fronte (pp. 91-­‐92).

Gould si profonde poi in divertenti misurazioni precise, allo scopo – dice – di “dare alle mie osservazioni il marchio della scienza quantitativa”. La neotenia è un elemento fondamentale della nostra evoluzione, Gould l’ha sempre sostenuto. Rispetto alle scimmie antropomorfe nostre parenti, abbiamo uno sviluppo rallentato, manteniamo più a lungo caratteri morfologici, ma probabilmente anche comportamentali e neurologici, infantili. Questo apre ad esempio a grandi possibilità di apprendimento, maggiore dipendenza della prole dai genitori, minore specializzazione. Siamo una “scimmia bambina” nel senso che, rispetto al nostro comune antenato, le nostra discendenza e quella delle scimmie antropomorfe hanno prodotto cicli di sviluppo regolati a diverse velocità. Vale la pena di notare, però, che qui Gould sta giocando con una analogia tra biologia e cultura (Topolino è un artefatto) ardita e di facile fraintendimento. Un fraintendimento di cui non ci rendiamo neanche conto. Se, come dice Gould, “Topolino ringiovanisce” e “questo è noto come neotenia”, allora siao autorizzati a pensare che la neotenia consiste nel ringiovanimento di un individuo – che, per di più, anagraficamente invecchia. Non è così, e Gould nasconde, a mio parere, la chiave di lettura in un breve passaggio:

...l’aspetto del popolare personaggio dei cartoni animati si sta evolvendo verso una sempre maggiore somiglianza con i rappresentanti più giovani della sua genia, anche se ha ancora molta strada da percorrere per quel che riguarda le dimensioni della testa (p. 93, corsivo mio).

La genealogia di Topolino viene modificata intenzionalmente per comunicare determinati messaggi. Interessante il cambiamento parallelo di fisionomia e comportamento, dal Topolino dispettoso e crudele di Steamboat Willie (1928) all’uomo retto dall’aspetto fanciullesco che subisce le angherie del malvagio topo Mortimer, dalle fattezze decisamente più adulte, diMickey’s rival (1936). Tutto ciò è molto diverso dal meccanismo “cieco” della selezione naturale, che così spesso viene caricata di finalismo e teleologia. Da una parte, dunque, l’analogia tra evoluzione biologica e culturale è rischiosa. Dall’altra, anche in questo Gould sembra essere stato un anticipatore: studi sempre più avanzati stanno precisando somiglianze e differenze, utilizzandole per ricostruire storie e per sviluppare tendenze e previsioni di come cambiano le culture e gli oggetti culturali. Senza dimenticare, inoltre, i vincoli biologici che probabilmente continuano ad agire sugli oggetti culturali, ad esempio attraverso il gradimento istintivo cui essi devono sottostare. In questa linea, Gould dedica una buona parte del saggio al “potere che le caratteristiche infantili hanno su di noi” (p. 95), studiato da Lorenz e da Darwin.